Il lavoro, la cooperazione sociale e le persone con disabilità

di Martina Luciani
Il duplice ruolo di impresa economica e impresa sociale svolto dalle cooperative sociali, la corretta e omogenea definizione delle persone con svantaggio e disabilità, la necessità di adeguate risorse finanziarie: di questo e altro si è parlato in provincia di Udine, nel corso di un seminario promosso qualche giorno fa da Legacoopsociali del Friuli Venezia Giulia

Persona in carrozzina al tavolo di lavoroSvantaggiati e disabili. Sappiamo chi sono? è il titolo del seminario promosso da Legacoopsociali – Associazione Nazionale Cooperative Sociali, che si è svolto il 22 maggio a Strassoldo di Cervignano del Friuli (Udine). Scopo dell’iniziativa era il tentativo di fare chiarezza su una questione – quella stessa sollevata nel titolo – che gli organizzatori hanno definito come «uno dei tanti interrogativi che troppo spesso non trovano risposta nemmeno tra gli addetti ai lavori».
Dopo la nostra presentazione dell’evento (di cui si può leggere cliccando
qui), presentiamo ora un ampio resoconto sullo stesso.

Un sistema economico sociale internazionale sempre più tempestoso e contraddittorio, nel quale le aree di debolezza e di svantaggio si allargano a categorie di cittadini alle prese con nuovi rischi di emarginazione, prodotti sostanzialmente dalla non sostenibilità degli attuali modelli di sviluppo: è in questo scenario che le cooperative sociali italiane – principali soggetti cui la legge demanda la responsabilità di realizzare l’inclusione lavorativa delle persone svantaggiate – devono sostenere il duplice ruolo di impresa economica e impresa sociale. Continuare cioè a produrre, in un contesto sempre più difficile, i risultati economici necessari a rimanere sul mercato e il valore sociale aggiunto insito nella propria natura giuridica.
I riferimenti normativi della materia sono numerosi, stratificati e spesso non supportati da strumenti applicativi organici e condivisi; l’idea dello svantaggio tutelato – proprio nel momento in cui si estende e si precisa – pone infatti nuovi problemi interpretativi e pratici; numerosi interrogativi che emergono nella quotidiana esperienza delle cooperative, tanto nei confronti dei servizi socio-sanitari, quanto nelle relazioni con le amministrazioni pubbliche, si prestano a risposte diverse e non univoche; gli operatori della cooperazione propongono dal canto loro nuovi percorsi operativi e pretendono sia meglio considerata la propria capacità di effettuare inclusione lavorativa. Infine, gli stessi enti competenti sul territorio si muovono con difficoltà e invocano omogeneità di interpretazione e di prassi: altrimenti va a finire che il diritto delle persone svantaggiate ad essere considerate come cittadini uguali agli altri, con pari opportunità di accesso al lavoro e uguale dignità, risulta essere non esigibile. Che è esattamente ciò che non si vuole ottenere.

Intorno a questi temi si è sviluppata una vivace discussione durante i lavori del seminario di Strassoldo di Cervignano (Udine), organizzato da Legacoopsociali, sul tema Svantaggiati e disabili. Sappiamo chi sono?.
L’introduzione di Fabrizio Valencic – coordinatore del nascente Progetto Transfrontaliero SES (Sviluppo dell’Economia Sociale) – è stata anche l’occasione per anticipare i contenuti di quest’ultima iniziativa, attualmente nella fase di prima manifestazione d’interesse rispetto alla costituzione di un organismo italo-sloveno, competente a favorire, con attività di confronto ed elaborazione sulle materie giuridiche, finanziarie e di politiche del lavoro, lo sviluppo delle imprese di inclusione socio-lavorativa.
Successivamente Antonia Barillari, project leader dell’Equal Iso New e consulente della Società Syntegra, ha delineato le criticità presenti nelle strutture normative relative alla disabilità e allo svantaggio, approfondendo i contenuti e gli obiettivi della legislazione nazionale – integrazione e coesione sociale e inclusione lavorativa – e di quella comunitaria – massima occupazione per le persone in età lavorativa – ciò che le ha consentito di sottolineare le ambiguità presenti nelle intersezioni delle diverse previsioni di legge.
Ad esempio, dopo che il Regolamento Europeo 800/2008 in materia di aiuti pubblici ha giustificato l’adozione di misure dirette ad incentivare i livelli occupazionali in particolare a beneficio dei lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati (elencandone le categorie), è inevitabile chiedersi come valutare le diverse difficoltà di accesso al lavoro, soprattutto nella definizione della graduazione di priorità in un ambito che, sommato lo svantaggio di ieri a quello di oggi, è divenuto davvero molto vasto.
Per quanto poi concerne le modalità di inserimento lavorativo di disabili e svantaggiati, una significativa esperienza è stata avviata attraverso Iso.New, in provincia di Gorizia, attivando all’interno dei Centri per l’Impiego Provinciali il Servizio di Inclusione Lavorativa: dotato di competenze specialistiche e multidisciplinari, esso è concepito per fare da “snodo” tra servizi sociali e sanitari del territorio, enti pubblici, mondo imprenditoriale privato e cooperazione sociale, uniformando gli approcci e le metodologie e creando un meccanismo diretto a sostenere i percorsi di accesso e pari opportunità al lavoro delle persone svantaggiate, nel mercato profit e in quello no profit.
Il raccordo con le cooperative sociali, in particolare, va sviluppato per valorizzarne la loro funzione di inclusione lavorativa e la loro capacità di offrire alle persone in condizioni di svantaggio progetti che integrano lavoro, formazione, partecipazione consapevole all’impresa e inserimento sociale: competenze, queste, che normalmente non sono evidenziate nelle procedure di affidamento di servizi da parte degli Enti Pubblici. E che se lo fossero, costituirebbero probabilmente la chiave di volta di quell’operazione di ripensamento dell’identità e del ruolo della cooperazione sociale che le stesse imprese di inclusione ritengono necessaria per affrontare il futuro.

Persona con sindrome di Down al lavoroSempre guardando al futuro, uno strumento di grande rilevanza nella valutazione delle disabilità è quella procedura di Classificazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, meglio nota come ICF, che permette ai servizi sociali e sanitari di operare con un linguaggio comune nella definizione di quali siano le persone destinatarie degli interventi e come questi vadano strutturati. Ne ha parlato Lucilla Frattura, dell’Agenzia Regionale della Sanità del Friuli Venezia Giulia, ente che nel 2007 è stato inserito dall’OMS tra i dodici Centri Collaboratori per le classificazioni internazionali distribuiti in tutto il mondo.
In sostanza l’ICF parte dal presupposto che la disabilità non è una caratteristica della persona, ma il risultato della relazione tra una certa condizione di salute e un ambiente sfavorevole sotto diversi punti di osservazione: il funzionamento di una persona – di tutte le persone in verità – si esplica pertanto in maniera variabile a seconda del contesto in cui avviene. Circostanze opportune, e interventi che le realizzino e le mantengano, permettono di annullare la condizione di disabilità, anche in presenza di menomazioni fisiche e psicologiche.
Le potenzialità dell’ICF sono vastissime, nel settore per cui è stato elaborato e in quelli “affini”. Considerando ad esempio che il sistema consente di valutare il funzionamento della persona nella vita sociale e di comunità, oltreché nella partecipazione al lavoro, è immaginabile un suo utilizzo anche per descrivere e controllare la qualità e l’efficacia dei processi di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate nella cooperativa sociale. Verrebbe così soddisfatta, con un approccio uniforme, la specifica richiesta in materia contenuta nell’Atto di Indirizzo per la Redazione del Bilancio Sociale da parte delle Cooperative Sociali, emanato dalla Regione Friuli Venezia Giulia a completamento della Legge Regionale 20/06: gli «specifici indicatori qualitativi e quantitativi» potrebbero in altre parole essere proprio quelli già collaudati e condivisi dell’ICF.
Analoga utilità di impiego si configura rispetto alla valutazione dell’attività sul «tessuto sociale di riferimento», anch’essa necessaria a comporre il Bilancio Sociale, estendendola ad ambiti di solito esclusi, ma di concreta rilevanza, come ad esempio i nuclei familiari cui appartengono le persone svantaggiate e che condividono con esse il rischio e lo stato di emarginazione sociale.

La conclusione dei lavori di Strassoldo è stata afffidata a Gianluigi Bettoli, presidente di Legacoopsociali Friuli Venezia Giulia, che ha ritenuto positiva la riflessione avviata e praticabile, così come appare orientata la ricerca delle armonizzazioni tra competenze e responsabilità. Purché, comunque, i soggetti istituzionali non dimentichino che le problematiche dello svantaggio sociale potranno essere realmente affrontate non solo grazie a correzioni normative e protocolli condivisi, ma anche attraverso la messa a disposizione di adeguate risorse finanziarie, nei diversi livelli operativi, dalle “cabine di regia” dislocate sul territorio, fino all’operatore che si misura sul mercato per garantire la sopravvivenza economica della cooperativa sociale.

Per ulteriori informazioni: Legacoop Friuli Venezia Giulia (Federica Visentin), tel. 0432 299214, visentinf@fvg.legacoop.it.
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