Per Vincenzo la diagnosi arriva all’età di tre anni: poliomielite, un “verdetto” che nell’Italia degli anni Cinquanta equivale alla condanna a una vita di emarginazione. Ma il piccolo Vincenzo viene affidato dalla famiglia a uno degli istituti fondati da don Carlo Gnocchi, un prete che ha dedicato l’intera vita alle persone con disabilità, per dare loro il diritto a una vita degna.
Oggi, quasi sessantenne, Vincenzo Russo – già direttore di un centro socio-educativo e di una comunità alloggio per minori a Sesto San Giovanni (Milano) e ora docente universitario a contratto del corso in Educazione Professionale presso la Fondazione Don Gnocchi ONLUS – ha voluto raccontare la propria storia nel libro Se il destino è contro di me peggio per il destino, che viene presentato in questi giorni in varie città italiane (il 16 giugno a Torino, il 17 a Milano e prossimamente il 19 a Genova, il 25 a Firenze, il 30 a Roma e il 7 luglio a Napoli).
Nato a Santa Maria Capua Vetere (Caserta), durante l’infanzia Russo viene accolto prima dall’Ospedale Gaslini di Genova, poi dai collegi della Fondazione Don Gnocchi a Roma e a Inverigo nel Comasco. Ma è Milano la città in cui cresce e sceglie di rimanere. Dal 1961 vive nel Centro Santa Maria Nascente della Don Gnocchi, dove, fino al 1976, viene «accolto, assistito e riabilitato nel corpo e nello spirito, secondo gli insegnamenti di don Carlo: “Accanto alla vita. Sempre”».
Grazie alla Fondazione, Vincenzo ha la possibilità di ricevere una formazione professionale e di maturare quella dignità che gli permette di sopportare la solitudine e l’impotenza nei confronti della malattia.
Se il destino è contro di me peggio per il destino non è però semplicemente la storia di una diversità, ma è anche la storia della Milano degli anni Sessanta e Settanta, di una città che offre opportunità e amicizie, delle influenze del Sessantotto sui giovani italiani e sui collegi della Don Gnocchi, costretti dall’incalzare degli eventi a radicali trasformazioni tra vertenze sindacali, dibattiti infuocati e occupazioni delle università.
Nel 1970 lo stesso Russo entra come operaio alla Sit Siemens di Piazzale Zavattari, scoprendo quanto il clima della fabbrica sia lontano dal “mito della Rivoluzione” in cui si sarebbe aspettato di essere coinvolto. Alla Sit Siemens (poi Italtel), Vincenzo lavora per anni fino a comprendere – grazie anche ai silenziosi dialoghi sulla tomba di don Carlo – che può pretendere di più da se stesso e dalla vita: si iscrive allora a una scuola serale e poi all’Università di Milano, dove si laurea in Scienze Politiche.
Un libro, questo, che è un vero e proprio grido di battaglia, un urlo di rabbia verso una sorte che sembra accanirsi su di un solo individuo e, soprattutto, un inno alla vita, capace di raccontare gli ardori e l’irrequietezza dell’adolescenza, le prime infatuazioni, l’amore, la fame di vita di un ragazzo entusiasmato da “santoni” della musica contemporanea come Jimi Hendrix, i Jethro Tull e i Led Zeppelin, fino alle prese di coscienza proprie dell’età adulta.
Nelle sue pagine Russo ha il coraggio di narrare anche il dolore per la deriva della sua famiglia, emigrata dalla Campania alla Svizzera alla ricerca di un riscatto: l’insofferenza allo straniero celata dietro l’ipocrisia della Locarno degli anni Settanta sarà tra le ragioni che spingeranno due dei tre fratelli di Vincenzo all’eroina e, di conseguenza, all’AIDS e alla morte. Ed è anche per loro che – senza rassegnazione e con molta voglia di combattere – Vincenzo ha voluto raccontare di come abbia smesso di sopravvivere per cominciare a vivere. (Silvia Conti)
Per informazioni anche sugli incontri di presentazione del libro: Ufficio Stampa Mursia, tel. 02 67378515, ufficiostampa2@mursia.com.
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