È partendo dai particolari, dai più piccoli dettagli, che spesso si può comprendere il grado di attenzione che un Paese concede ai suoi cittadini. In Italia, chi desidera diventare scrittore si trova a fare i conti con una realtà editoriale molto complessa: le case editrici medio-piccole, infatti, chiedono spesso contributi per pubblicare autori esordienti, mentre quelle di grandi dimensioni difficilmente se ne occupano. Da un lato si afferma che tutti devono poter avere le stesse opportunità in ogni campo della vita sociale, dall’altro lato si riconosce alle case editrici la libertà di pubblicare sulla base di regole che permettano loro di raggiungere un profitto, poiché si tratta pur sempre di aziende.
Ciò che tuttavia sorprende ancora di più sono le norme per la partecipazione ai concorsi. Mi riferisco a quelli letterari, poiché questo è il mio campo che, per interesse personale, ho avuto modo di indagare. Credo però che lo stesso si possa affermare per altri tipi di concorsi, ad esempio fotografici, di pittura o di scultura.
In sostanza, una persona con disabilità o con problemi di salute tali da impedire la libertà di movimento, se desidera partecipare a un concorso letterario, spesso si scopre discriminata in partenza, poiché si vede preclusa qualsiasi possibilità – in caso di vittoria – di ritirare il premio, soprattutto se si tratta di una somma in denaro. Non è infrequente, infatti, trovare bandi in cui si leggono formule come quella qui riportata, tratta – a solo titolo di esempio – da un bando aperto proprio in questi giorni: «I premi dal 1° al 3° posto dovranno essere ritirati personalmente dai vincitori: l’assenza degli stessi alla cerimonia di premiazione, qualunque ne sia la causa, sarà considerata tacita rinuncia al premio in denaro che verrà incamerato dall’Associazione Culturale “xxx”; in tal caso, verranno spedite, a mezzo posta, le sole pergamene, nonché le targhe o medaglie ricordo».
Una formula che francamente mi sembra assurda: ancora una volta, infatti, viene leso il principio di uguaglianza ricordato nella Carta Costituzionale e ribadito in altri importanti documenti: tutti gli uomini hanno gli stessi diritti e doveri; e qui mi riferisco in particolare al principio di uguaglianza, alla libertà di espressione, di pensiero e di pari opportunità, oltre che alla dignità in tutti i campi della vita sociale. Per quale motivo allora, nel caso in cui un disabile partecipi a un concorso letterario e vinca un premio in denaro, quest’ultimo non gli deve essere elargito se non può presenziare alla cerimonia? Spesso questi premi sono finanziati anche da Enti Locali e prevedono una tassa di iscrizione, ma, nonostante ciò, sono di fatto preclusi a chi ha seri problemi. Non dovrebbero essere considerati solo i testi meritevoli, cioè quel che un autore sa scrivere ed esprimere? Non ritengo che tali formule siano eque, corrette e rispettose della dignità di tutte le persone che sono impossibilitate a spostarsi.
Si parla tanto di pari opportunità tra persone con disabilità e non, ma anche in un campo come questo non mi sembra vi sia una reale parità di trattamento né sensibilità e attenzione ai problemi di chi ha difficoltà maggiori rispetto alle persone normodotate. Si tratta di piccoli particolari, certo, ma è anche su questi che, a mio parere, si evidenzia la “sensibilità” di un Paese che si professa civile. Ciò dimostra invece quanto siamo ancora lontani dal rendere effettiva la partecipazione di tutti i cittadini alla vita sociale, politica, economica e culturale della società, ciascuno in base alle proprie capacità. Rivendico perciò il sacrosanto diritto di avere le stesse opportunità di tutti: chiedo troppo forse?
*Poetessa, narratrice, persona con disabilità. Recentemente ha pubblicato la sua prima raccolta di prose liriche, intitolata Sedici milioni di colori (per informazioni: info@libertaedizioni.net).