Ma veramente le persone con disabilità sono “aggressive e maldisposte verso il prossimo”? C’è chi lo pensa e lo dice. In Francia, infatti, il quotidiano «Libération» ha aperto qualche tempo fa un blog perché i lettori commentassero la storia di Stéphanie, una giovane madre di famiglia paraplegica che vive la sua vita tranquilla, nella quale però può accadere che la realtà irrompa non in modo piacevole… Andiamo a scoprire perché.
Il breve racconto di Stéphanie
Ore 16,30: è l’ora delle mamme che vanno a riprendere i figli a scuola. Come ogni giorno, Stéphanie arriva, accompagnata dalla sua bambina di due anni. Questa volta è in anticipo. È un giorno qualsiasi. Prima che esca suo figlio, c’è tempo per qualche battuta con le altre mamme. Una in particolare, dopo averle chiesto «come va?» e dopo essersi sentita dire «bene, e lei?» – il tutto molto amichevolmente – si allontana per parlare con un’altra mamma. Stéphanie è vicina e ascolta cosa si dicono le due donne.
«È da tanto tempo che non ci vediamo…». «Devi sapere che ho trovato un lavoro». «Di cosa si tratta?». «Lavoro presso un disabile». «Tutto bene, immagino». «Sì, ma tu sai che questa gente è sempre un po’ aggressiva. Comunque tiro avanti».
Stéphanie viene colpita da queste parole e riflette tra sé e sé: «Quello che è appena accaduto pone la questione di come la gente guarda all’handicap. Il fatto di essere disabile comporta necessariamente che uno debba avere un cattivo carattere? E se uno è disabile ha diritto, solo per questo, di saltare la fila quando va a fare la spesa al supermercato? Personalmente non credo che essere disabile significhi necessariamente essere aggressivo, perché ci sono disabili molto simpatici, anche se hanno problemi seri o meno seri, e altri, con le stesse caratteristiche, che sono invece molto aggressivi. Penso che la differenza la faccia l’individuo. Alla fine di una giornata faticosa, non mi è venuto mai in mente di dire: “Per favore sono una disabile, lasciatemi passare”. Penso di essere una cittadina comune, con i suoi diritti e i suoi doveri e il mio handicap non mi autorizza a non rispettare le regole, a pretendere favori».
Le reazioni dei lettori
Innanzitutto vale la pena ricordare che siamo in Francia, Paese nel quale il cittadino ha una specie di “culto delle regole”. Detto questo, può essere utile capire quali commenti abbia suscitato la testimonianza di Stéphanie, rispetto a un tema “universale” come quello della disabilità. Ne proponiamo alcuni qui di seguito
– «Grazie signora per la sua testimonianza che pone la questione dell’aiuto e, più in generale, del sostegno e dell’assistenza».
– «Quando incontro una persona in carrozzina, da una parte vorrei parlarle, dirle buongiorno, dirle qualcosa; dall’altra temo che il mio comportamento possa essere interpretato male, come un gesto di commiserazione».
– «Il disabile non è un santo, è una persona come le altre, con i suoi pregi e i suoi difetti, spesso – bisogna dirlo – accentuati dal suo handicap. Questa constatazione non deve però modificare il nostro sguardo. L’aiuto, che è loro dovuto, deve giustamente portarli allo stesso livello degli altri, partecipando quando possono alle attività di tutti. Per questa via si arriva all’integrazione».
– «Debbo raccontare quello che mi è capitato. Per giorni sono stato aggredito da un paraplegico, tutte le volte che con la sua macchina capitava che si trovasse davanti alla mia. Finché un giorno, un amico – anche lui disabile – mi ha spiegato che la frustrazione provocata dall’handicap aveva spinto quest’uomo a considerarmi come il suo “capro espiatorio”. Dopo di che è stato questo amico a togliermi dall’imbarazzo, perchè lui stesso ha affrontato – anche duramente – il mio “aggressore paraplegico”».
– «Mi lascio guidare dalla spontaneità della mia giovinezza. Un disabile non mi fa paura e non lo considero “ingombrante”. Ero alla fermata di un autobus con in mano i sacchetti della spesa, quando ho notato che un uomo in carrozzina aspettava il mio stesso autobus. Gli ho detto che lo avrei aiutato e quando il mezzo è arrivato e si è aperta la porta posteriore ed è fuoriuscita la pedana per la sedia a rotelle, non c’è stato uno o una che mi abbia aiutato. Peggio: molti hanno approfittato della porta che si era aperta, per salire senza badare agli altri, spingendo e prendendo d’assalto il mezzo pubblico. Una mano, per fortuna, dall’interno dell’autobus ha afferrato la carrozzina. Era una donna che aveva accanto a sé un bambino di dieci anni gravemente disabile. Ci siamo guardate. Avevamo motivo di essere arrabbiate. Ma ci siamo scambiate un sorriso, mentre l’autobus ripartiva».
– «Perché non difendersi con gentilezza? Ci si guadagna in rispetto e si contribuisce a cambiare un po’ la mentalità delle persone. Io sono sorda profonda e debbo dire che pochi conoscono questo handicap. Un chiarimento, fatto con diplomazia, è necessario in molti casi. Proprio ieri camminavo per strada, quando un ciclista mi ha superato. Era nervoso, perché mi aveva chiesto più volte di scansarmi, ma io non potevo sentirlo; è stato allora che anch’io, innervosita, gli ho spiegato che ero sorda e non potevo sentirlo e che lui poteva essere più gentile. Il suo atteggiamento è cambiato. Si è scusato. Io credo che, senza mettere benzina sul fuoco, un disabile può difendersi bene dagli altri».
– «Non lasciatevi mettere in crisi, dato che conducete una vita normale e dunque siete persone normali».
– «Non credo che i disabili vogliano favori o privilegi. Il fatto è che a volte il loro malumore dipende da come ci si occupa di loro, da come vengono trattati dai terapisti e dagli assistenti».
– «La bestialità è un grande handicap!».
– «I luoghi comuni possono ferire o lasciare indifferenti: i francesi sono “brontoloni”, i portoghesi “coraggiosi”, i professori “depressi”, le bionde “stupide”… Si può andare lontano. Diceva Philippe Geluck [artista belga, N.d.R.]: “Gli imbecilli pensano che tutti i neri si assomigliano. Io conosco un nero che trova che tutti gli imbecilli si assomigliano”».
– «Aggressivi i disabili? Ho un figlio disabile lieve e incontro altri disabili nel corso della vita di ogni giorno. Mi è capitato di essere aggredito verbalmente, con durezza. Queste persone esibivano il fatto di essere disabili o parenti di disabili per pretendere vantaggi a cui non avevano diritto in quelle circostanze. Lo dico perché se la maggior parte dei disabili si comporta normalmente, una minoranza lascia un ricordo non positivo».
– «I disabili sono una minoranza e cosa si nota in questa minoranza? Che c’è gente che manifesta il proprio malcontento, che ha un brutto carattere e che è aggressiva perché non accetta il proprio handicap. La mia esperienza – all’interno di associazioni che si occupano di loro – mi porta però a dire che nell’insieme è più facile trattare con loro che con i “validi”. Se anche si presentano come un po’ spigolosi, basta un po’ di cuore, di attenzione, di tolleranza per farsi accettare: è la base di ogni relazione sociale».
– «Il mio handicap riguarda tutte e due le mie mani. Vorrei difenderli tutti, i disabili, vorrei che un partito ci rappresentasse affinché il governo capisse che vita facciamo. Siamo disabili, è vero, ma abbiamo qualità, ci adattiamo ai lavori che ci offrono, non ci spaventiamo per la nostra sofferenza, né dello sguardo che la gente ci rivolge. Ci vorrebbero disabili nel Governo, perché le persone normali non possono parlare per noi. Siamo disgustati per le discriminazioni sul lavoro, per l’atteggiamento di irresponsabilità della gente nei nostri confronti. Siamo cittadini come gli altri. Bisogna che le cose cambino. I disabili non sono aggressivi, ma non possono sopportare di essere trattati da stupidi».
– «Io penso che la scritta “Priorità ai disabili” racchiuda un’affermazione incoerente e troppo generale, perché dà un privilegio, invece di mettere le persone su un piano di parità. Per cui capisco la collera di chi si chiede: “Ma che cos’ha di più questo disabile?”. Disabile sì, ma non quel più, perché l’handicap è piuttosto una caratteristica della persona. Meglio sarebbe se si parlasse di “Adatto ai disabili”. Può sembrare utopistico, ma dobbiamo arrivare a dire: “Grazie per il fatto di cedere il vostro posto a una persona che ha un problema fisico ed è in situazione di difficoltà”».
– «La gente disprezzerà i disabili fino al giorno in cui non verrà toccata direttamente dal problema e allora il suo sguardo cambierà. Per noi che abbiamo una figlia gravemente disabile – a causa di una Malattia Rara – la vita è veramente difficile. Non bisogna fare i conti solo con una società dura con i disabili, ma anche con lo Stato che li ha dimenticati. La nostra è una vita difficile, fatta di rinunce. Perché le cose cambino ci vorrebbe uno Stato che obbligasse le aziende a dare un lavoro ai disabili, imponesse alle scuole di inserirli nei corsi normali, migliorasse i trasporti. Il fatto è che la gente non accetta i disabili perché sono stati sempre isolati e trattati come “paria”».
– «Cara Stéphanie, il tono delle sue parole mostra una grande indulgenza. Io non sono disabile, ma dirigo un’agenzia di viaggi per il Cile, che lavora con i disabili in carrozzina. Due anni fa ero a Miami per un convegno dell’associazione che riunisce tutte le agenzie specializzate nei viaggi accessibili. Negli Stati Uniti è in vigore una legge, la Disability Act [Americans with Disabilities Act, N.d.R.], che disciplina in modo rigoroso l’accesso a tutti i luoghi pubblici (hotel, aerei, bus ecc.). Un collega che partecipava a questo seminario raccontò di essere rimasto sorpreso quando una hostess dell’Air France, al momento della registrazione dei viaggiatori, si era rivolta ad un’altra hostess, indicando un passeggero disabile in questo modo: “Bisogna far passare la carrozzina”. Non aveva detto la “persona in carrozzina”, o “il signore o la signora in carrozzina”, ma solo “la carrozzina”. Non penso che ci sia della cattiveria, ma una brutta abitudine, una mancanza di formazione, soprattutto tanta ignoranza».
– «Ho incontrato, un giorno, in un ufficio, una persona classificata come “disabile mentale” che mi ha detto: “Non voglio che mi si chiami disabile, perché quando sono con i miei compagni e le mie compagne, mi dicono che sono come loro”. Quelle parole, ricche di buon senso, mi hanno segnato per sempre».
*Servizio apparso in «Riabilitare News» (numero doppio 04-05 del 4 maggio 2009), periodico della FOAI (Federazione degli Organismi per l’Assistenza alle Persone Disabili) e qui ripreso per gentile concessione.
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