Cari dirigenti scolastici…

di Giuseppe Felaco*
«I buoni risultati per l'integrazione scolastica - vien detto - non arrivano perché le ore di sostegno sono insufficienti»: ma c'è chi pensa che non sia così e che gran parte della responsabilità vada proprio a quei dirigenti scolastici che delegando ad esempio l’integrazione ai soli insegnanti di sostegno, non hanno saputo accettare una sfida e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi con disabilità che "non capiscono". Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo

Bimbo alla lavagna con aria corrucciataSappiamo bene che il ruolo del dirigente scolastico è quello di vigilare sull’azione dei docenti, ma purtroppo conosciamo bene la realtà e come stanno veramente le cose. È un “lasciar correre”, un “tirare a campare”… E del resto perché complicarsi la vita? Li lasciano fare un po’ come vogliono, in modo che questa azione funga da contrappeso, che le classi siano sempre coperte e le “carte” siano a posto.
Ma non sono i soli, anche tutti gli altri, fino al gradino più alto dell’Istruzione, fanno il medesimo ragionamento. Sanno e tacciono. Non vogliono rompere quell’equilibrio che si è venuto a creare. Non vogliono complicarsi la vita. E così, con il loro agire da “uomini buoni”, non producono niente di buono per se stessi e per gli altri; e per amore del vivere in pace, evitano di prendere posizione di fronte al dilagare di errori che vedono e sanno riconoscere. La loro “bontà” si limita a mantenere in piedi questo castello di carta.

Non hanno reagito nemmeno quando gli insegnanti curricolari hanno “semplificato” la situazione, trasformando in curricolare il ruolo del sostegno, quando gli alunni con disabilità già erano penalizzati da un monte ore ridotto. Non è importato loro, pur di deresponsabilizzarsi da qualsiasi progetto che prevedesse anche il loro impegno. Forse per pigrizia o malavoglia hanno escogitato – con furbizia e calcolo – il modo migliore per diminuire i loro doveri. Anzi, nei confronti di questi alunni si comportano come se gli stessi non facessero parte del gruppo a loro affidato.
Tuttora ogni tanto si assiste, tra gli insegnanti di sostegno – parlo di quelli nuovi, alle prime armi, quelli che non sono ancora stati “addomesticati” all’andazzo corrente – ad accenni di resistenza, a tentativi di ribellione con l’intento di cambiare qualcosa, ma poi, per non farsi isolare, in genere lasciano perdere. Anche quelli più “resistenti” si arrendono, per non mettersi contro tutti. Anche loro decidono di indossare la maschera dell’indifferenza, conformandosi alla realtà circostante e alle sue pressioni. E così vivono confinati, negli ultimi banchi, negli angoli più remoti delle aule, dove è stato “ritagliato uno spazio”, dove “non danno fastidio”, consumando “tranquillamente” con il loro alunno quelle poche ore, lavorando in modo parallelo alla classe, senza mai incrociare in alcun modo le proprie attività con quelle degli altri.

I buoni risultati per l’integrazione scolastica non arrivano perché le ore di sostegno sono insufficienti, ci dicono, ma non è così: è solo il modo per giustificare la poca voglia o l’incapacità di mettersi insieme, per accettare una sfida e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi che “non capiscono”, persi in un mondo in cui gli altri “capiscono”.
Ma a chi giova tutto ciò? Certo, con questo non pretendo che tutti i dirigenti scolastici debbano avere una spina dorsale forte. Ma sicuramente sono tra i primi responsabili del diffondersi dei mali che ha colpito la scuola del nostro Paese, un tempo fiore all’occhiello per il mondo intero. Poveri ragazzi, in che mani siete finiti!

*Genitore.

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