Giocattolaio affetto da nanismo, Fin decide di trasferirsi in un casolare ereditato vicino a un deposito di treni a Newfoundland, anonima e piccola cittadina del New Jersey. Qui fa la conoscenza di una donna separata e di un venditore di hot-dog, instaurando con entrambi un’amicizia che darà ad ognuno la forza di affrontare i problemi, superando il timore di mostrare le proprie debolezze.
È questa la trama – tipica del buon cinema indipendente americano – di Station Agent (The Station Agent nell’originale americano), il film con cui nel 2003 l’attore americano Thomas McCarthy ha esordito nel lungometraggio. Di McCarthy è uscito recentemente in Italia, ottenendo un grande e inaspettato successo, L’ospite inatteso (candidato all’Oscar per l’attore protagonista Richard Jenkins), ma di lui si era già parlato molto in America proprio con Station Agent.
Caratteristica peculiare del film, premiato al Sundance Film Festival di Robert Redford e al San Sebastian Film Festival spagnolo, è proprio la presenza silenziosa del protagonista, quasi misantropo a causa della sua condizione resa pesante – più ancora che dalle difficoltà che essa presenta in sé – dallo sguardo ghettizzante rivolto dalla società. Fin, dunque, è misantropo per autodifesa: una difesa che lentamente si dissolverà di fronte alle necessità dei sentimenti.
Opera dimessa, umile, senza spettacolarità o enfatizzazioni, dal ritmo moderato, ma anche divertente, Station Agent – disponibile in DVD – è insomma una pellicola di cinema americano indipendente che qui rivela la sua forma più smagliante, grazie anche alle misurate interpretazioni di Peter Dinklage (Fin) e dalla più conosciuta Patricia Clarkson.
*Testo apparso nel n. 169 di «DM», giornale nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e qui ripreso per gentile concessione.