Questo Patto non scoppia di salute

di Nerina Dirindin*
Il Patto della Salute proposto dal Governo alle Regioni per gli anni 2010 e 2011 - rispetto al quale la Conferenza di queste ultime ha nei giorni scorsi presentato una controproposta - sembra ridurre il confronto a una questione di mera rivendicazione di soldi, offuscando temi che, prima ancora dei soldi, dovrebbero impegnare il Governo e le Regioni in un vero patto per la tutela della salute, in particolare in quelle realtà dove l'assistenza sanitaria è ancora pesantemente carente. L'opinione di una persona da molto tempo "addetta ai lavori"

Nerina DirindinLo scorso 8 settembre il Governo ha proposto alle Regioni un nuovo Patto per la Salute, il documento con il quale dovrebbero essere definiti e condivisi gli obiettivi di governo del Servizio Sanitario Nazionale [successivamente alla stesura del presente testo, la Conferenza delle Regioni ha raggiunto una sintesi unitaria sulla proposta per un nuovo Patto della Salute da presentare al Governo. Se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.].

Tensioni Governo-Regioni
Più volte richiesta dalle Regioni, tanto che nel luglio scorso avevano sospeso tutti i tavoli di confronto in attesa di risposte chiare su questioni ripetutamente poste e mai affrontate dall’Esecutivo, la proposta rischia di peggiorare i rapporti istituzionali fra livelli di governo. Significativa, in tal senso, appare la lettera inviata il 2 luglio scorso da Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi [la si legga cliccando qui, N.d.R.].
Le Regioni hanno infatti immediatamente criticato la bozza perché squisitamente economica e perché sottostima il fabbisogno per il servizio sanitario per il 2010 di almeno 7 miliardi di euro. La proposta si limita ad aggiornare alcuni aspetti del precedente Patto del 2006, senza adeguarne i contenuti né alle esigenze dell’attuale fase storica – certamente molto diversa sotto il profilo economico e sociale – né agli orientamenti della nuova legge sul federalismo fiscale, nel frattempo approvata. Non a caso l’assessore alle Finanze della Regione Lombardia, Romano Colozzi, teme che il Patto diventi la «tomba del federalismo» [se ne legga cliccando qui, N.d.R.].
Le tensioni rischiano di inasprirsi soprattutto sul tema delle risorse, riducendo così il confronto a una questione di mera rivendicazione di soldi, offuscando temi che, prima ancora dei soldi, dovrebbero impegnare il Governo e le Regioni in un vero patto per la tutela della salute, in particolare in quelle realtà dove l’assistenza sanitaria è ancora pesantemente carente.
Ma vediamo i contenuti della proposta del Governo.

Patto per la Salute o per il contenimento della spesa pubblica?
Sul piano delle risorse, il Governo fissa il finanziamento per il 2010 in 104 miliardi di euro, una somma in valore assoluto inferiore (ancorché di poco) a quella fissata in precedenza per il 2009, nonostante l’impegno assunto dal presidente del Consiglio il 1º ottobre 2008 a «stabilire  regole e fabbisogni condivisi, nel rispetto dei vincoli generali previsti dal Patto Europeo di Stabilità e Crescita, considerando che le Regioni valutano sottostimato il fabbisogno 2010-2011».
Sul piano dei vincoli di bilancio, il Governo inasprisce gli adempimenti a carico delle Regioni, prevedendo, in caso di squilibrio (già a metà anno, sulla base dei dati relativi al secondo trimestre), l’adeguamento del sistema dei ticket e l’abolizione di ogni forma di esenzione. La proposta dà attuazione all’articolo 79 della Legge 133/08, prevedendone un’interpretazione estensiva: ricorso a ticket elevati, anche sui ricoveri ospedalieri, a copertura di «almeno il 75 per cento dello squilibrio rilevato». Il che produce l’effetto di trasformare il ticket da strumento di promozione dell’appropriatezza e di consapevolezza del costo delle prestazioni, come storicamente inteso nel nostro Paese, a strumento di vero e proprio finanziamento della spesa, grazie a un prelievo diffuso e iniquo, perché a carico soprattutto dei malati cronici, e nonostante l’impegno del Governo a non «mettere le mani nelle tasche dei cittadini». Il superticket potrebbe inoltre ampliare il ricorso alle prestazioni private, il cui prezzo potrebbe risultare inferiore al ticket, vanificando così le previsioni di gettito, senza peraltro produrre, nel breve, risparmi per il settore pubblico.
Sul fronte della non autosufficienza, un tema che vede l’Italia agli ultimi posti fra i Paesi sviluppati per offerta di servizi, la proposta del Governo si limita a indicare livelli massimi di dotazione di posti letto in strutture residenziali per anziani, precisando che eventuali eccedenze resteranno a carico dei Bilanci Regionali, senza indicazioni per l’assistenza domiciliare e senza alcun impegno per il Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza.
Sull’assistenza ospedaliera – poco meno della metà della spesa sanitaria – il Governo impegna le Regioni a ridurre entro il 2011 la dotazione di posti letto accreditati a 4 per mille abitanti, rafforzando in tal modo il processo di de-ospedalizzazione dell’assistenza sanitaria (attualmente la dotazione di posti letto accreditati è di 4,5 per mille abitanti, come si può vedere nel sito del Ministero cliccando qui).
Sul personale, infine, il Governo impegna le Regioni a una riduzione stabile delle consistenze organiche e rinvia a un successivo provvedimento la fissazione di parametri per l’attivazione di strutture apicali e di posizioni organizzative (di responsabilità), parametri che dovrebbero essere estesi anche alle realtà universitarie.
In sintesi, molti adempimenti con l’obiettivo di tagliare la spesa pubblica e nessuna strategia di politica per la salute, salvo la semplice conferma del Piano Nazionale per la Prevenzione. Un Patto poco coraggioso, che non affronta seriamente neanche i problemi di efficienza, in teoria cari al centrodestra, a partire dalla spesa farmaceutica, responsabile di buona parte dei disavanzi delle Regioni con squilibri di bilancio.

Che cosa non c’è nella proposta del Governo
Il Patto per la Salute proposto dal Governo è criticabile non tanto per quello che dice, ma piuttosto per quello che non dice. Un Patto per la Salute degno di questo nome non può infatti non proporre una strategia per potenziare i servizi territoriali a favore degli anziani non autosufficienti, la cui cura grava ancora  pesantemente sulle famiglie, così come non può non partire da una serena analisi critica delle azioni fino ad ora messe in campo per garantire, anche ai cittadini di molte regioni del Centro-Sud, un adeguato accesso a prestazioni sanitarie di qualità.
Il Governo centrale – responsabile della garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale – potrebbe cogliere l’occasione dell’avvio del processo di attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione, grazie alla legge sul federalismo fiscale, per superare il mero approccio economico, pur sacrosanto, al problema delle realtà in disavanzo e disegnare – insieme alle Regioni – un rinnovato percorso di tutela dei diritti dei residenti nelle Regioni in disavanzo. L’esperienza degli ultimi anni ha infatti dimostrato che i vincoli di bilancio da soli non sono sufficienti a costringere le Regioni meno virtuose a programmare una sanità sobria ed estranea agli interessi particolari, siano essi economici, professionali, partitici o condizionati dalla criminalità.

*Dipartimento di Scienze Economiche e Finanziarie dell’Università di Torino. Già assessore all’Igiene, alla Sanità e all’Assistenza Sociale della Regione Sardegna, ha ricoperto in passato incarichi di governo, anche a livello internazionale ed è stata tra l’altro membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre che della Commissione Tecnica per la Spesa Pubblica, del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica.
Il presente testo è già apparso con lo stesso titolo in
www.lavoce.info e viene qui ripreso per gentile concessione.

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