C’è un momento in cui le attività dei singoli, le azione intraprese diventano importanti a livello collettivo e ribadiscono princìpi già in parte enunciati, ma dando loro una forza che prima non avevano. È quanto è successo a San Pellegrino Terme, nell’aprile di quest’anno [se ne legga in questo sito cliccando qui, N.d.R.].
Qui – a conclusione di un convegno che ospitava associazioni di familiari riunite nei coordinamenti nazionali La Rete (Associazioni Riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite) e FNATC (Federazione Nazionale Associazioni Trauma Cranico), operanti nel “Seminario Permanente di Confronto sugli Stati Vegetativi e di Minima Coscienza”, promosso dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali – è stato redatto un documento chiamato La Carta di San Pellegrino. In essa le associazioni – al fine di tutelare la dignità, la libertà e i diritti delle persone in stato vegetativo e minima coscienza e le loro condizioni di grave disabilità acquisite – in sintonia con gli operatori sanitari in un percorso di alleanza terapeutica concordavano i seguenti punti:
1) Nessuna discriminazione deve essere attuata in base alle condizioni di età, salute fisica e/o mentale.
2) Le persone che non hanno la capacità di decidere devono essere tutelate e protette.
3) Qualsiasi intervento medico o assistenziale deve essere un aiuto alla vita.
4) La tutela del paziente deve prevalere su ogni altro interesse.
5) L’alimentazione e l’idratazione sono atti dovuti.
6) Il paziente ha diritto alle migliori cure mediche e riabilitative.
7) La ricerca clinica e scientifica sugli stati vegetativi e di minima coscienza deve essere promossa e sostenuta.
8) La famiglia ha diritto ad una sistematica informazione corretta, comprensibile e completa e deve avere libera scelta del posto di cura.
9) La famiglia ha il diritto di essere tutelata ed assistita nel percorso di cura e di disabilità.
10) Le associazioni devono essere riconosciute a supporto e in rappresentanza delle famiglie come risorsa qualificata, durante tutto il percorso.
Sembrano punti scontati, ma in realtà non lo sono ed enunciano una serie di problematiche molto sentite dalle persone che sono in queste condizioni e dalle famiglie che convivono con la malattia.
C’è un punto in questo documento che sta molto a cuore alle associazioni ed è quello che ribadisce che «alimentazione e idratazione sono atti dovuti». Si tratta di un convincimento nel rispetto della libertà di scelta e al di là di uno scontro politico e accademico. Perché, se nell’accesa discussione di oggi a margine del progetto di legge sulle direttive anticipate, dovesse essere ribadita la natura terapeutica dell’idratazione e del nutrimento artificiale, potrebbe esserci il convincimento che sarebbe giusto fossero inserite nel Piano Sanitario Nazionale e adeguatamente finanziate, prevedendo l’istituzione di una rete di cure per l’idratazione e il nutrimento artificiale, così come è prevista l’istituzione di una rete per le cure palliative e la terapia del dolore.
Nel rientro a casa dopo un lungo ricovero ospedaliero, le famiglie imparano a gestire in maniera autonoma questa procedura. L’assistenza domiciliare le accompagna in questo percorso in maniera molto dissimile nel nostro Paese, scompensato tra Regioni virtuose e altre meno, tra territori dove l’associazionismo e il volontariato fanno sentire la loro voce in maniera anch’essa disomogenea. Le competenze familiari sulla gestione di queste persone gravemente cerebrolese, in questo caso, devono essere sottoposte a regime sotto stretto controllo medico. Se ciò determinerà nuovi e o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche questo sarà un atto dovuto nei confronti delle migliaia di famiglie che sentono la solitudine del loro operare senza alcun senso di gratitudine da parte della collettività e, spesso, senza alcun sostegno economico.
Le problematiche su coma e stato vegetativo, sulle gravi cerebrolesioni acquisite, sono state affrontate in questi anni nella Giornata Nazionale dei Risvegli – Vale la pena [sul più recente di questi eventi si legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.], l’iniziativa promossa dall’associazione di volontariato ONLUS Gli Amici di Luca ogni 7 ottobre sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica ed esse sono state poste all’attenzione della comunità scientifica, del Ministero della Salute e dell’opinione pubblica per un lavoro comune da sviluppare e meglio delineare in futuro.
Convegni scientifici, spettacoli teatrali, appuntamenti pubblici e una campagna di comunicazione di Alessandro Bergonzoni testimonial della Casa dei Risvegli Luca De Nigris hanno fatto riflettere attorno al coma e promuovere una nuova alleanza terapeutica tra strutture sanitarie, famiglie e associazioni. La Giornata Nazionale dei Risvegli – che si celebra dal 1999 – è divenuta un punto di riferimento per approfondire, insieme agli esperti del mondo scientifico, le nuove frontiere della prevenzione, della ricerca e dell’assistenza e per dare voce alle famiglie.
La manifestazione è cresciuta nel tempo insieme alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris, la struttura pubblica frutto di un progetto dell’Azienda USL di Bologna e degli Amici di Luca, un centro pilota in grado di proporre in tutta Italia una nuova modalità di assistenza incentrata sulla famiglia, alla quale viene data la possibilità di integrarsi con il team multidisciplinare sanitario e non, acquisire competenze, affinare esperienze e incamminarsi in un percorso di consapevolezza. È la dimostrazione – non solo a Bologna, ma in generale in molte parti d’Italia – di come l’incontro tra strutture sanitarie e associazionismo abbia prodotto buone pratiche. Infatti, le associazioni in tutti questi anni hanno dimostrato di essere in grado di svolgere un ruolo in tre funzioni:
– saper intercettare da alcuni decenni una serie di bisogni e comprenderli nella loro globalità e nelle loro priorità, a partire da un’esperienza vissuta e saper essere propositivi;
– saper raccogliere intorno a questi bisogni risorse di tipo economico;
– saper sperimentare modelli di intervento innovativo con una buona collaborazione tra le famiglie e la comunità tecnico-scientifica, un’alleanza con il personale medico, nel progettare, nel disegnare, nel validare queste costruzioni di percorso, soluzioni che dimostrano la forte capacità delle famiglie di dialogare con i professionisti.
Siamo ancora distanti dall’esperienza francese dell’UNAFCT [Union Nationale des Associations de Familles de Traumatisés Craniens, N.d.R.], che raggruppa oltre cinquanta associazioni in tutta la Francia, riunite sotto un’unica denominazione, con una grande capacità di mostrare unione ed essere punto di riferimento e coordinamento delle associazioni nazionali, e un valido interlocutore per molte commissioni nazionali e regionali che affrontano le problematiche della disabilità.
In ogni caso i bisogni espressi mostrano come ad ogni cittadino debba essere garantita l’assistenza sanitaria, ma anche sociale. In Italia continuano però a sussistere ampie zone di insufficiente informazione e di abbandono del familiare e paziente nella fase postacuta, specie dopo la dimissione dei presìdi sanitari riabilitativi. C’è molto, ma quello che c’è spesso non si conosce e c’è poca informazione delle realtà di altre Regioni. Una tutela assistenziale è maggiormente garantita in fase acuta e riabilitativa, ma purtroppo ancora disomogenea, determinando un’offerta difforme tra le varie Regioni. Anche nelle strutture esistenti, l’offerta terapeutica non garantisce uniformi interventi, per cui bisogna sviluppare il concetto di molteplicità condivisa di buone pratiche, allineate sul tutto il percorso assistenziale.
La nuova frontiera è oggi quella della fase degli esiti e della domiciliarità. Risulta difficile, infatti, il ritorno a domicilio e la partecipazione alla vita sociale, mentre invece bisogna facilitarli con una richiesta di assistenza sociale, psicologica ed economica. Emerge in sostanza il bisogno di un approccio che esplori soluzioni innovative nei modelli di assistenza.
Lo stesso procedimento si è visto nelle conferenze di consenso partite con l’approfondimento della “fase acuta” di Modena (2000) per arrivare alla “fase degli esiti” di Verona (2005). Occorre comunque una rete nazionale di riferimento, collegando alle aree di rianimazione un sistema di informazione certificato e riconoscibile sui percorsi disponibili e le soluzioni possibili, sia nella fase di riabilitazione che in quella di gestione avanzata degli esiti. Bisogna organizzare una logica di rete, buone pratiche che si devono consolidare e trasformare in un sistema di intervento che garantisca diritti esigibili su tutto il territorio nazionale. L’assistenza a questi pazienti va concepita in termini di percorso e non di strutture a ciclo completo. Occorre un protocollo per le dimissioni dalla riabilitazione del paziente con esiti di grave cerebrolesione che preveda sempre modalità di dimissione concordata e negoziata fra la struttura dimettente, i servizi di assistenza a valle nel percorso e la famiglia.
Alcune proposte e riflessioni che si possono fare riguardano:
La residenzialità: pensare cioè servizi diurni e residenziali a minore protezione sanitaria, servizi per la maggioranza delle persone con esiti neuromotori cognitivi e comportamentali, con gravi disabilità; ripensare i modelli tradizionali: i modelli socioriabilitativi, modelli appartamento per disabili, di lavoro protetto ecc. Garantire residenzialità anche per chi non ha una rete familiare, attraverso strutture con maggiori caratteristiche comunitarie.
Il coinvolgimento della famiglia: in ogni fase del percorso in un ruolo attivo dell’assistenza, rispettando il diritto ad essere informati, partecipi, attori delle scelte, delle modalità e della durata dell’intervento.
Una rete diffusa di assistenza che va garantita anche per la residenzialità a lungo termine. Nel 2005 [in realtà 2006, N.d.R.], il documento elaborato dalla Commissione Di Virgilio [la Commissione Ministeriale per lo Studio e l’Assistenza ai Pazienti in Stato di Coma Vegetativo, presieduta dall’allora deputato Domenico Di Virgilio, N.d.R.], insediata nella precedente Legislatura – pur nella sua non completezza – ha avuto però il merito, forse per la prima volta, di analizzare il problema dello stato vegetativo e di minima coscienza. In questo documento si ribadisce tra l’altro l’intenzione di creare una rete di SUAP (Speciali Unità di Accoglienza Permanente) in un sistema di rete regionale integrato con i reparti ospedalieri e con il territorio. Il documento, che va sicuramente approfondito e discusso, è un buon punto di partenza.
La possibilità che una persona torni a domicilio dipende dalla disponibilità dei familiari a partecipare al lavoro di cura. Se è possibile, bisogna trovare una soluzione che estenda e migliori i benefìci anche nei confronti di una famiglia che al suo interno gestisce una persona con grave disabilità. Le persone con cerebrolesioni meritano dunque risposte di sistema e prestazioni che rispondano a livelli essenziali di assistenza, rappresentando una delle componenti importanti della non autosufficienza sulla quale è determinante – anche per quanto riguarda i pazienti con esiti di coma e stato vegetativo – avere voce in capitolo nel Fondo Nazionale che si costituirà per alimentare e finanziare l’assistenza domiciliare a lungo termine. Intanto le famiglie continuano a vivere nella drammaticità delle situazioni private ed emerge sempre più la necessità di un sistema del coma in Italia: dalla fase acuta a buone pratiche, dal domicilio ai centri per stati vegetativi cronici.
Migliorare la Legge 104/92: nonostante lo sforzo fatto in passato attraverso questa legge, la normativa sui “permessi” può essere migliorata ulteriormente per permettere di conciliare un lavoro di cura con un impegno lavorativo. In generale, poi, l’analisi della legislazione che riguarda i diritti dei disabili – in particolare la citata Legge 104/92 – e una serie di scambi con sindacati e istituzioni su questo argomento, ci hanno permesso di definire alcune proposte di modifica al quadro legislativo e far sì, prima di tutto, che queste proposte siano conosciute.
Ambiti internazionali: sarebbe anche utile realizzare un network europeo all’interno del quale diffondere e sviluppare nuovi modelli di assistenza per l’uscita dal coma.
Casa dei Risvegli Luca De Nigris: un nuovo modello assistenziale
Parlare di buone pratiche ci rimanda a un esempio dell’Emilia Romagna, il luogo delle professionalità multidisciplinari, della partecipazione delle famiglie, dell’associazionismo, del volontariato, dell’integrazione con la comunità di riferimento.
La storia della Casa dei Risvegli Luca De Nigris dal mio punto di vista tiene conto di un’esperienza vissuta, fondamentale: il coma di mio figlio Luca, l’esperienza di riabilitazione in un centro straniero in Austria, la sua vicinanza, l’essere due genitori impreparati, ma aperti all’emergenza, coinvolti nel percorso di riabilitazione. In quell’occasione il nostro villaggio, la nostra comunità, nel rispondere all’appello degli amici di Luca per la raccolta fondi, fu indispensabile nel permettere a lui e a noi di intraprendere un viaggio. Un percorso che non avremmo voluto né potuto affrontare da soli, men che mai in una terra straniera, eppure importante per la nostra conoscenza, anche se forse non altrettanto efficace nell’accompagnarlo/ci nella fase del rientro a domicilio. Ma eravamo tutti abbastanza impreparati a quell’evento.
Molto dura fu l’esperienza in rianimazione e poi nei centri di riabilitazioni prima in Italia e poi all’estero. Quello fu per noi un apprendistato molto forte che allora non sapevamo a cosa ci sarebbe servito. Innanzitutto capimmo che c’era un tempo dell’attesa che andava riempito, poi che c’era un’osservazione che non poteva solo rimanere tale, ma che andava “agita”. Tempo, osservazione e azione furono tre degli elementi che caratterizzarono la nostra esperienza.
Il progetto della Casa dei Risvegli Luca De Nigris nasce nel 1998 dall’incontro fra un’associazione di volontariato ONLUS – Gli Amici di Luca – e un’azienda sanitaria, l’AUSL di Bologna. La drammatica vicenda di Luca, 15 anni, che entrò nel cuore della città per l’appassionata iniziativa di noi genitori e dei tanti amici, mise in luce la necessità di una diversa articolazione dell’offerta sanitaria nei percorsi di riabilitazione per il coma. Da qui, l’intenso lavoro svolto negli anni successivi dagli esperti dell’Azienda USL, diretti da Roberto Piperno, direttore della Casa dei Risvegli, insieme ai professionisti e ai volontari dell’associazione, con la collaborazione del Comune e dell’Università di Bologna, oltre che della società civile, ha progressivamente delineato un progetto innovativo che per la prima volta prende forma in questa struttura.
Questa prima “Casa dei Risvegli”, dedicata al giovane Luca De Nigris, è un Centro ospedaliero di riabilitazione per persone in stato vegetativo o postvegetativo in fase postacuta, con ancora un potenziale di cambiamento, ed è una tappa fondamentale dell’assistenza nell’ambito del percorso integrato della Provincia di Bologna per gli esiti gravi o gravissimi di coma. Il modello di assistenza valorizza il ruolo centrale della famiglia e la possibilità di una convivenza continuativa dei familiari con un ruolo attivo e consapevole che permette di mantenere la relazione, i ritmi e i riti della vita quotidiana. La collaborazione operativa fra l’Azienda USL di Bologna e l’Associazione Gli Amici di Luca consente la presenza di diverse figure professionali, non solo sanitarie, e di volontari organizzati, e quindi una flessibilità della riabilitazione che non potrebbe esistere in una struttura tradizionalmente ospedaliera.
L’apertura nei primi mesi del 2005 a Bologna della struttura – centro pubblico innovativo per giovani e adulti in stato vegetativo e postvegetativo – propone dunque, nell’ambito della rete assistenziale della Regione Emilia Romagna, un nuovo modello di assistenza e ricerca, propedeutica al domicilio.
Ormai sembra riconosciuto che il “coma” è una sintomatologia della famiglia e come tale è tutto l’ambito familiare, la rete amicale e affettiva che dev’esserne coinvolta. C’è un proverbio africano che dice: «Per educare un bambino non basta una famiglia, ci vuole l’intero villaggio». Adattandolo alle nostre tematiche, potremmo dire: «Per riabilitare (aiutare, accompagnare) un paziente in coma e stato vegetativo non basta la famiglia, ci vuole l’intera comunità». Questo vuol dire che passato il coma, sopravvenendo stati provvisori e/o persistenti di uno stato vegetativo o di minima coscienza, bisogna affrontare il tema in maniera multidisciplinare, da vari punti di vista, tenendo conto che il fattore ambientale è molto importante.
Bisogna dire poi che l’incontro tra chi sa di coma e chi vive il coma diventa molto significativo. Il sapere e il vivere sono due competenze che a volte si incontrano, spesso si scontrano, ma che in ogni caso devono tendere all’integrazione. Quando la vita incontra la malattia, genera persone che imparano a convivere con essa. È una convivenza fatta di emozioni e di praticità. È fatta di tanti sentimenti diversi e a volte contrapposti. È fatta anche di disagio, dolore, a volte di disperazione. È fatta di speranza. È fatta di coraggio di vivere, organizzando i momenti pratici che aiutano la persona in difficoltà e la sua famiglia a vivere. La famiglia a volte si chiude come un “bozzolo d’amore” che protegge, e proteggendo spesso non permette ad altri di entrare. Le reti amicali, la società, le associazioni hanno questo compito, quello di aprire, di non ghettizzare, di far sì che i luoghi dove si convive con la malattia siano integrati nella comunità.
La particolarità della Casa dei Risvegli Luca De Nigris (all’interno della quale c’è un Centro Studi per la Ricerca sul Coma) è nell’intersezione tra tre progetti sulla persona che comprendono l’ambiente, la riabilitazione, l’integrazione e l’inclusione sociale. È la concezione di un servizio con valenza di assistenza e ricerca in un’area ospedaliera che riesce a interpretare anche le vocazioni sociali dell’intervento e diventa così carica di maggiori potenzialità e ricchezze. È quel luogo dove si affronta la solitudine nella malattia, quell’incomprensione tipica che vivono le famiglie quando sono in un mondo che non conoscono, che non capiscono e dal quale vorrebbero fuggire. È quel modo per entrare a piccoli passi nella loro vita, nel loro ambiente (occupando meno spazio possibile), sapendo che in quel momento loro sono affidate a noi. Un mondo che nella Casa dei Risvegli Luca De Nigris non è chiuso, ma si apre con la famiglia, con il volontariato, con chi sa di sociale, per tentare l’impresa più difficile: quella del ritorno.
Per ritornare c’è bisogno di una collettività forte che individua questa struttura come uno dei servizi virtuosi nel percorso assistenziale. La novità dell’integrazione progettuale fra l’Azienda USL di Bologna, il Comune e l’Associazione Gli Amici di Luca è un elemento significativo ed essenziale nella stabilizzazione dell’intervento. A questo proposito il Comune di Bologna – che dedica una propria unità di personale al progetto – ha mostrato in questi anni di saper interpretare le problematiche degli esiti di coma e stato vegetativo, i bisogni delle famiglie, le condizioni di benessere e di qualità della vita, i percorsi, l’evoluzione delle buone pratiche, gli strumenti operativi per sviluppare una tendenza che sembra diffondersi nell’intero Paese.
Il personale non sanitario a carico dell’Associazione Gli Amici di Luca nella Casa dei Risvegli Luca De Nigris (educatori, operatori teatrali, musicoterapeuti confluiti nella nuova Cooperativa Sociale perLUCA in convenzione con Gli Amici di Luca) si integra con il personale sanitario nel desiderio di prendersi cura del paziente nelle fasi riabilitative con un accompagnamento attivo e consapevole, sapendo che l’associazionismo e la rete dei servizi della città potranno traghettare le famiglie nel mondo sociale – possibilmente al domicilio – dove si continuerà quel percorso che un centro di riabilitazione non può compiere da solo. In questa fase l’associazione mette in campo altri operatori (psicologo clinico, pedagogista) impegnati nel “progetto del dopo”, nel continuare il percorso del rientro a domicilio.
Bisogna integrarsi nella società, uscire dalla specificità di un luogo anche se di eccellenza. Per questo lo scambio con la città, con il mondo esterno dev’essere – ed è – molto forte. Il ritorno ha certamente a che fare con il risveglio (quello auspicato del paziente; quello del familiare nella consapevolezza, nella competenza, nella potenzialità degli strumenti, nel percorso al di fuori della Casa dei Risvegli Luca De Nigris), ma anche laddove il risultato atteso non fosse possibile, il percorso del dopo deve coinvolgere tutte le componenti con la stessa volontà e determinazione.
Nell’ambito del percorso riabilitativo, un importante ruolo è rappresentato dalla ricerca sostenuta dal citato Centro Studi per la Ricerca sul Coma che finanzia due ricercatori psicologi, non impegnati sull’assistenza, ma su studi che esplorano la dimensione del carico emotivo dei familiari, per fornire modelli e dati da applicare via via nei processi di adjustment [“adattamento”, N.d.R.] e di empowerment [“rafforzamento della consapevolezza”, N.d.R.] dei familiari all’interno della Casa Dei Risvegli Luca De Nigris.
Assimilandola a una terminologia comune alle strutture universitarie, potremmo dire che la Casa dei Risvegli è un campus, uno spazio che si caratterizza per:
– capacità di assistenza e modello sulla persona;
– attività didattiche/formative;
– attività di ricerca (attraverso il Centro Studi per la Ricerca sul Coma, i laboratori e la strumentazione);
– attività di servizio per gli operatori;
– formazione del volontariato e programmazione di attività per il tempo libero.
Il rapporto tra la Casa dei Risvegli Luca De Nigris e il territorio si orienta allo sviluppo di un percorso nella rete dei servizi. Al tempo stesso la struttura si pone come un osservatorio tipologico, un progetto che nella sua stabilizzazione intende:
– sviluppare la trasmissione di un nuovo modello assistenziale integrato nella rete regionale delle gravi cerebrolesioni;
– caratterizzarsi nella pluralità di competenze;
– essere un luogo di tirocinio e di collaborazione con vari Dipartimenti dell’Università (il Dipartimento di Scienze dell’Educazione, il DAMS, altri);
– evolversi nel confronto con il mondo esterno;
– essere aperta al territorio;
– rispondere ai bisogni delle famiglie attraverso il servizio gratuito Comaiuto (punto di ascolto, informativo e per la diffusione di guide di apprendimento);
– utilizzare l’arte per inserire il luogo di cura nei percorsi culturali del territorio;
– promuovere la presenza organizzata dei volontari;
– “Comunicare il coma” attraverso un percorso informativo anche tramite il periodico «Gli Amici di Luca Magazine»;
– dibattere le linee guida a livello nazionale nel corso della Giornata Nazionale dei Risvegli.
Nel centro di riabilitazione – grazie alla possibilità di accogliere i familiari, di personalizzare gli spazi, di disporre di una piccola zona cucina per ogni unità abitativa – si sperimenta un modo di assistere diverso, con il mantenimento dell’ambiente familiare e delle relazioni affettive, dei ritmi e dei riti della vita quotidiana: un modello di tipo familiare in un contesto però ad alta intensità delle cure riabilitative.
A più riprese ci siamo proposti come coordinatori di una rete di “Case dei Risvegli” in Italia per la fase postacuta – dove la speranza è ancora viva – e di una serie di centri adatti per i casi cosiddetti cronici.
Comunicare il coma
C’è un diritto di cronaca, di privacy e di deontologia sull’informazione della malattia. C’è però una grande difficoltà nel comunicare questo specifico problema per la sua intrinseca complessità. Per questo anni fa proponemmo l’idea di un “Osservatorio per la Comunicazione della Salute” con l’Università di Bologna, per monitorare, orientare, informare non solo sull’emergenza coma, ma anche sulla creazione urgente di un Registro Nazionale che consentisse di raccogliere dati finalizzati a sapere con maggiore precisione possibile:
– incidenza dei comi ed eziologia che li ha determinati;
– tipologia dei pazienti colpiti (età, residenza ecc.);
– evoluzione (quanti si svegliano, quanti decedono, quanti rimangono in stato vegetativo);
– esiti e loro gravità;
– quanti comatosi sono in reparti di cura e riabilitazione idonei e finalizzati e quanti no;
– quanti rimangono accuditi in strutture di accoglienza per gravissimi esiti;
– quanti con gravi esiti rientrano a domicilio e usufruiscono o meno di supporti;
– quanti sono in grado di usufruire di programmi per il reinserimento scolastico-lavorativo.
Al modello della Casa dei Risvegli Luca De Nigris, che vede la famiglia coinvolta e al centro della terapia, corrisponde un modo nuovo di raccontare e affrontare la tematica in oggetto. Il coma non è un tema che esiste da sempre, si sta affermando sempre di più in questi anni proprio perché stanno aumentando i tassi di sopravvivenza. È importante dunque che la comunicazione affronti correttamente e scientificamente il problema: perché se ne definisca l’ambito, perché non si creino facili illusioni tra chi lo vive direttamente, perché lo si affronti e lo si diffonda con convinzione e competenza.
Nell’ottobre del 2005 – durante il Convegno Comunicare il coma. Diritto di cronaca, privacy e informazione [se ne legga in questo sito cliccando qui, N.d.R.] – è stata proposta una dichiarazione di intenti che comprende norme sulla redazione e la diffusione di notizie sul coma e sulla malattia in generale. Questa Carta – Comunicare il coma – è stata redatta sotto l’egida della Rete Italiana Città Sane, dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna, del Segretariato Sociale della RAI, dell’Università di Bologna, dell’Azienda USL di Bologna e dell’associazione Gli Amici di Luca. Con Mauro Sarti, docente universitario giornalista dell’Agenzia Agenda – con la quale Gli Amici di Luca collaborano da molti anni – ci ponemmo una serie di quesiti sulla comunicazione e la “notiziabilità” del coma. Innanzitutto: «Come si comunica il coma?»; «Dove finisce il diritto di cronaca e cominciano la privacy, il rispetto. Il silenzio del dolore?». Sono domande che molte volte ci eravamo posti prima di incontrare ancora una volta quel giornalista che ci aveva chiesto “la storia” da raccontare sul suo giornale, quell’ora d’intervista da rimandare a pezzettini nel talk-show della sera. E a molti, non a tutti, avevamo sempre cercato di dare un’informazione corretta e equilibrata. Pensammo che forse valeva la pena fare il punto della situazione su quanto stampa e televisione hanno fatto in questi anni per raccontare il coma, la malattia, i malati, le luci, le ombre e le rinascite.
Oltre a un dibattito, però, volevamo fare anche una proposta: una carta scritta, dieci consigli ai giornalisti, in positivo, su come trattare questa “oscura tirannia” che si chiama coma. E raccontarla bene. Per farla conoscere, distinguere. Accettare. Superare. Il coma e il risveglio fanno notizia, la disabilità decisamente meno. La metafora del risveglio è una metafora molto forte, ma non è la metafora del sonno e del risveglio. Il risveglio dal coma è un lento riconnettersi dell’attività del cervello, che non ha niente a che vedere con lo switch, l’interruttore “dormo/sono sveglio”. Quello che sui giornali si vende di più è “la storia miracolosa”, la “battaglia per la cura e la guarigione”, la “malasanità”. Buone storie come la Casa dei Risvegli Luca De Nigris sono rare eccezioni. Ma è l’eccezione che oggi conferma questa regola. È la dimostrazione che è possibile comunicare una buona storia che porta buone strutture e buona sanità.
I casi emblematici negli Stati Uniti di Terry Schiavo e più recentemente nel nostro Paese quello di Eluana Englaro hanno aperto un dibattito etico sul diritto alla vita che l’associazione e le famiglie, rispettando le esigenze di libertà, perseguono nell’esperienza diretta e quotidiana, affrontata con realtà, coraggio e competenza.
Concetto di normalità
La Carta dovrebbe sì tutelare i soggetti deboli (come secondo la Carta dei Doveri del Giornalista e la Carta di Treviso), ma dovrebbe cercare di ampliare il concetto di normalità come oggi acquisito e perseguito nell’ottica dell’indirizzo espresso nella Casa dei Risvegli Luca De Nigris. Ovverosia:
– La riabilitazione per i soggetti in coma e stato vegetativo può essere applicata in centri paradomiciliari, dove il grado di ospedalizzazione viene mantenuto al fine di una corretta fase terapeutica e di innovazione tecnologica espressa in ambiti familiari. La riabilitazione è intesa in senso ampio e non si esaurisce entro questi centri, ma continua in una fase riabilitativa e di integrazione sociale al di fuori di essi, alla quale partecipa tutta la società civile e le sue componenti di vita, nelle professioni e nei luoghi del tempo libero.
– Il vecchio enunciato «Non pubblicare le foto e non mandare in onda le immagini di malati o handicappati quando queste possano costituire un’offesa alla dignità della persona, anche quando il fine sia la presentazione di un “caso pietoso” da sottoporre alla pubblica opinione per intervenire in suo aiuto» deve quindi essere rivisto nell’enunciazione di un grado di normalità e di dignità della persona svantaggiata e disabile che non vuole essere emarginata, ma vista nella sua normalità fatta di tante diversità che non devono impaurire o essere evitate. Per questo un gruppo di familiari soci degli Amici di Luca, che vivono direttamente il problema, sono tra i consulenti e I firmatari di questa Carta.
Essi da tempo esprimono il desiderio di esternare i loro problemi, discuterne sui media e in pubblici convegni, di “far vedere” i loro figli e parenti che “non devono far paura”, “devono essere accettati nella società abile e civile”, visti nelle loro mancanze e problematiche affrontate, nel desiderio legittimo di affermazione intellettiva, di affetto e di contatto, di rapporto (nella sfera sentimentale e anche sessuale) con loro simili abili e diversamente abili. Solo una trattazione non pietistica e ghettizzata può permettere a una minoranza di essere “vista” e integrata con i suoi giusti valori all’interno di una società che tende a massificare altri tipi di valori come universali nel loro immaginario stereotipato.
La notizia
In questo senso il consenso dei familiari e del personale medico e paramedico evidenziano che nel dare notizia del paziente sono pregiudiziali:
– il diritto a un’informazione corretta e compiuta dello stato reale del paziente e del suo contesto familiare e di cura;
– il dovere a rappresentare la storia del paziente, l’evento correlato al suo stato attuale come non fine a stesso, non pietistico, ma nel contesto di assistenza delle aziende sanitarie, delle famiglie, di apporto delle associazioni e del volontariato, della filosofia del Centro riabilitativo – tipo Casa dei Risvegli Luca De Nigris – attivato come elemento fondante di un nuovo modo di accettare e intendere il coma e lo stato vegetativo, il grado di riabilitazione e di reinserimento sociale;
– il diritto a rappresentare il risveglio non come fatto miracolistico, enfatizzato nei suoi aspetti (compresi titoli ad effetto), che possa nuocere alla credulità di quanti sono in una situazione analoga e possono essere tratti in inganno dalla semplicità del racconto e dell’esposizione. L’informazione e la divulgazione devono insomma contenere tutti gli elementi necessari a non creare false aspettative nei malati e negli utenti e devono essere distinte in maniera evidente e inequivocabile da ogni possibile forma di pubblicità sanitaria.
Conclusioni della Carta Comunicare il coma: «In particolare i direttori responsabili ed editoriali di quotidiani, agenzie di stampa, periodici, notiziari televisivi e radiofonici s’impegnano, firmando espressamente questo protocollo, a diffonderlo tra i loro redattori e ad applicarlo negli organi d’informazione di cui sono responsabili». In realtà dovevano impegnarsi, anche se il confronto c’è stato ed è ancora in atto nel lavoro delle singole associazioni in tutto il territorio.
Noi abbiamo la fortuna di vivere in una Regione come l’Emilia Romagna dove – come abbiamo già accennato – è forte la rete del volontariato, dove la collaborazione tra non profit, strutture sanitarie e amministrazioni locali dà eccellenti risultati. Ma dobbiamo pensare a un territorio nazionale “a macchia di leopardo”, fatto prevalentemente di reparti ospedalieri dove la famiglia è tollerata se non esclusa, dove la solitudine procura disperazione e casi limite che provocano accorati appelli tipo “stacchiamo la spina”, anche dove poi, in effetti, non c’è nulla da staccare perché le funzioni vitali sono spontanee. E invece bisogna affrontare una malattia di sistema che riguarda il nucleo familiare, il nucleo affettivo, il nucleo sociale. È un problema di tutti e nessuno può abbassare lo sguardo dinanzi ad esso.
*Direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma (Associazione Gli Amici di Luca). Testo pubblicato dal «Bollettino Notiziario» dell’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli odontoiatri di Bologna, anno XL, n. 10, ottobre 2009 e qui ripreso per gentile concessione.