Altro che compagni di viaggio!

di Angelo Tumino*
Qui, invece, il rischio è che proprio agli studenti con disabilità si dia la colpa di far funzionare male la scuola! E ciò non può che portare a un lento, ma inesorabile ritorno alle classi differenziali. Un'opinione che prende spunto da un precedente intervento di Giorgio Genta ("Perché litigano due compagni di viaggio?"), apparso sempre nel nostro sito. Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo

Bimbo a scuola con la bocca aperta e un buffo cappello in testaMi ha lasciato molto perplesso l’articolo pubblicato da Superando a firma di Giorgio Genta, intitolato Perché litigano due compagni di viaggio? [lo si legga cliccando qui; i “due compagni di viaggio”, nella metafora di genta, erano da una parte le famiglie con disabilità, dall’altra la scuola, N.d.R.]. E la perplessità deriva non tanto dall’obiettivo finale che Genta propone («un viaggio tranquillo e armonioso, per arrivare davvero alla destinazione con reciproca soddisfazione») – anche se poi lo situa nel mondo delle favole – quanto da una visione a mio parere semplicistica della scuola di oggi.

In sostanza – e semplificando – per Genta la scuola e le persone con disabilità (con i loro familiari) sarebbero “compagni di viaggio”, vale a dire entrambi con una propria visione della disabilità e delle problematiche ad essa connessa, magari divergente sì, ma di pari livello e dignità. Ed è proprio su questo che non sono d’accordo. Si potrebbe infatti condividere in parte quanto si afferma nell’articolo (ad esempio che la scuola vede l’integrazione se non la presenza del disabile come «un gravoso dovere») e comprendere quello che spesso il personale scolastico fa trapelare con afflizione («con lui/lei in classe riesce difficile far lezione…»), se noi avessimo una scuola dove si studia con profondo impegno e serietà, dove si acquisiscono già dall’inizio concetti profondi, dove la Cultura sparge i suoi semi sulle giovani menti assetati di sapere; per una simile scuola potrebbero essere “gravosi” – dico potrebbero – lo strillo inaspettato del disabile o la sua lentezza esasperante. Ma, fuor di battute, le nostre scuole sono ben altra cosa. Qui lo strillo del disabile viene tranquillamente sommerso dalle urla continue e prolungate dei ragazzi “normali” (?!?) e per aria volano continuamente “oggetti non identificati” (che non sono certo mosche); l’insegnante, poverino, è completamente emarginato nella sua cattedra; e, ironia della storia, spesso il disabile è quello che va più “veloce”!

La scuola italiana, si sa, è un disastro totale e infatti chi ne ha le possibilità non ci pensa nemmeno a mandarvi i propri figli. Altro che “compagni di viaggio”! Altro che “gravoso dovere”! Semplicemente si cerca di addossare la crisi della scuola italiana ai disabili. Di fronte alla crisi gravissima che sta attraversando il Paese, c’è chi pensa utile e conveniente scaricare le colpe e le responsabilità proprio sui più deboli. Dal mio punto di vista la scuola è in prima fila in questa “battaglia”: se la società è in crisi è perché “gli immigrati rubano, stuprano e ci tolgono il lavoro”! La scuola non funziona o funziona male perché “è piena di disabili” (e anche di figli di immigrati)! Se non ci rendiamo conto di questo, non riusciremo ad avere alcuna integrazione, anzi ci avvieremo lentamente e inesorabilmente verso le cosiddette classi differenziali, se non peggio.
E allora si deve avere il coraggio di denunciare e combattere apertamente e pubblicamente qualunque atteggiamento razzista da parte dei dirigenti scolastici e degli insegnanti. Ma si deve anche avere il coraggio di rimettere in discussione il ruolo e la figura dello stesso insegnante di sostegno. Ci si batte infatti ad ogni anno scolastico per ottenere l’assegnazione di un insegnante di sostegno, senza mai chiedersi che cosa debba fare questa figura con i ragazzi, se è preparata, se è in grado di farli studiare o se sta lì solo perché “perdente posto” e capace solamente di cantar loro le canzoncine o far “recitare” sempre “il solito Pinocchio” anche alle Superiori. E senza mai chiedersi se in questo modo non si dà loro troppo potere sui nostri ragazzi.

*Genitore di un ragazzo con disabilità.

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