Ma a che serve fare tante petizioni e una serie di inutili convegni sull’integrazione e l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, quando non si riesce da trent’anni a far sì che le ASL, la Scuola e la Riabilitazione cessino di lavorare in piena autonomia?
Tutti sanno e tacciono. Non vogliono rompere quell’equilibrio che si è venuto a creare. Non vogliono complicarsi la vita. E così, con il loro agire, non producono niente di buono e per amore del vivere in pace, evitano di prendere posizione di fronte al dilagare di errori che vedono e sanno riconoscere. La loro azione si limita a mantenere in piedi questo “castello di carta”, pur di tutelare il proprio tornaconto.
Chiaramente – ci tengo a ribadirlo – il raccordo tra le parti – ASL, Scuola e Riabilitazione, appunto – sarebbe una condizione indispensabile, come indica anche la legislazione ormai da un paio di decenni, ma, a quanto pare, tutti preferiscono disimpegnarsi da tale progetto. Che sia perché si prevede un maggiore/diverso impegno o perché esso è innovativo rispetto al passato?
Il fatto è che queste sono le condizioni necessarie per migliorare e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi che “non capiscono”, persi in un mondo in cui gli altri “capiscono”. Di modi non ce ne sono altri.
E la verità è che chiunque a qualsiasi titolo tratti l’handicap, se veramente intende farlo in modo proficuo per sé e per i soggetti portatori, deve continuamente porsi la seguente domanda: quali sono i miei handicap che non mi consentono di affrontare al meglio la questione della disabilità?
*Genitore.
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