Ha suscitato un certo scalpore, nei giorni scorsi, la lettera inviata alla «Tribuna di Treviso» al papà di una ragazzina con disabilità. «Quando si hanno dei figli mongoli è meglio restarsene a casa», è l’elegante frase pronunciata dall’avventore di una pizzeria della città veneta, infastidito dai giochi di un gruppo di bambine all’interno del locale, fra le quali, appunto, una ragazzina disabile.
«Non importa se quelle parole le ha dette “sapendo” oppure no – dice il papà della ragazzina, Luca, che ha scritto una lettera al giornale -. A quel punto, ce ne siamo andati, dopo aver detto a voce alta che purtroppo ci sono persone infastidite dai bambini. Spero che, con l’acculturarsi progressivo della gente, di questi individui ne rimangano ancora pochi in circolazione. Spero possano riflettere sulle loro miserie e su come migliorarsi, in tempo per dare ai figli dei valori che non li costringano alla paura, alla diffidenza, al deserto. Siamo usciti e, come sempre, ho abbracciato forte la mia figlia più grande. A me il suo handicap riempie il cuore».
Ecco, riporto volentieri questa parte della lettera, perché la trovo di una dignità e di una modernità eccezionale. Quasi tutti i commenti si soffermano sulla parte negativa, ossia il becero commento del cliente infastidito e l’indignazione, come sempre, si esprime con i prevedibili aggettivi: “un essere bestiale”, “ignorante”, “vergogna” e così via. Pochi si accorgono della parte bellissima di questa storia, ossia il fatto che un papà (e non, come quasi sempre accade, una mamma) eviti di imbarcarsi in una discussione sgradevole che potrebbe mortificare sua figlia ed esca con dignità dal locale, rivolgendosi poi civilmente al giornale della sua città che ospita in modo adeguato la sua storia.
Questa forma di orgoglio non è generico amore per la figlia, ma consapevolezza della ricchezza di valori contenuta in quell’esistenza, unica, irripetibile, gioiosa. Un orgoglio che va raccontato, diffuso, trasportato ovunque, perché questo è l’unico modo per combattere lìignoranza e il pregiudizio.
Portare la figlia con disabilità in pizzeria, lasciarla giocare tranquillamente con le amichette, è un segno importante, una testimonianza concreta di come oggi sia possibile allontanarsi definitivamente dalle definizioni offensive e discriminatorie del passato. Il termine “mongoli”, inutile negarlo, sopravvive nelle zone buie della nostra società. L’handicap come stigma, come minorazione da dileggiare, o comunque da allontanare, è duro a morire, e noi “benpensanti” abbiamo bisogno di rassicurarci, di affermare che il mondo è cambiato, che la bontà trionfa.
Non è sempre così. L’indifferenza, il cinismo, l’idea che i disabili e le loro famiglie “pretendono troppo”, sono fattori sempre presenti. Ma proprio per questo va apprezzata la forza di un genitore, e di quegli altri genitori che in ogni angolo d’Italia, ogni giorno, affrontano la vita a testa alta, con orgoglio. Tanto più che ormai da tempo ai genitori si affiancano i figli, e anche nella disabilità intellettiva sono sempre più numerosi coloro che riescono a rappresentare se stessi in modo chiaro e positivo.
Perciò consiglierei a tutti i genitori di ragazzi con disabilità di andare insieme in pizzeria, a brindare al papà di Treviso.
*Testo apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di Vita.blog, con il titolo: L’orgoglio di un papà.
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