Non è vero che la Convenzione non parla di sesso, ma come ne parla?

di Simona Lancioni
Quello che c'è nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità non è poco: vi si parla infatti del riconoscimento, del godimento e dell’esercizio - su base di uguaglianza con gli altri - di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. E anche se l'unico riferimento esplicito alla sessualità è relativo alla predisposizione di servizi sanitari, niente lascia ragionevolmente supporre che questa sfera fondamentale della vita sia esclusa da tale quadro

Pablo Picasso, Il bacio, 1925, Musée National Picasso di ParigiHo letto con attenzione il testo di Bruno Tescari in tema di sessualità e disabilità, pubblicato nei giorni scorsi da Superando [disponibile cliccando qui, N.d.R.]. Esso si apre con un quesito – «ma perché la Convenzione non parla di sesso?» – che probabilmente andrebbe posto diversamente.
La Convenzione di cui parla Tescari è quella delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09). Si può argomentare che non vi è nella Convenzione un articolo specifico dedicato al tema della sessualità – e questo è vero -, ma non è corretto affermare che di sessualità non se ne parli.

Nel dettaglio, l’articolo 25 (specificamente dedicato alla tutela della salute), al comma 1, lettera a, stabilisce che gli Stati che ratificano la Convenzione devono: «fornire alle persone con disabilità servizi sanitari gratuiti o a costi accessibili, che coprano la stessa varietà e che siano della stessa qualità dei servizi e programmi sanitari forniti alle altre persone, compresi i servizi sanitari nella sfera della salute sessuale e riproduttiva e i programmi di salute pubblica destinati alla popolazione [grassetti nella citazione dell’Autrice, N.d.R.]».
Questo è un riferimento esplicito al riconoscimento della sessualità della persona disabile. Ma, a guardar bene ve ne sono altri, che si possono definire impliciti, ma non per questo meno importanti. Ne segnalo qualcuno.
L’articolo 23, ad esempio (Rispetto del domicilio e della famiglia), sancisce e tutela il diritto di ogni persona con disabilità, che sia in età per contrarre matrimonio, di sposarsi e fondare una famiglia sulla base del pieno e libero consenso dei contraenti. Non solo: riconosce e tutela il diritto delle persone con disabilità di decidere liberamente e responsabilmente riguardo al numero dei figli e all’intervallo tra le nascite e di avere accesso, in modo appropriato secondo l’età, alle informazioni in materia di procreazione e pianificazione familiare, fornendo i mezzi necessari ad esercitare tali diritti. E, infine, impedisce le pratiche di sterilizzazione, cosa non secondaria, se si considera che essa è attualmente in uso anche in diversi Paesi europei. Interessante è anche l’articolo 6, espressamente dedicato alla tutela dei diritti della donna con disabilità (in quanto esposta a discriminazioni multiple).

Indicazioni come queste non avrebbero potuto essere scritte se non considerando la persona con disabilità come persona sessuata. Quindi, forse, la domanda iniziale potrebbe essere più correttamente riformulata in questi termini: «Come è trattato il tema della sessualità della persona con disabilità all’interno della Convenzione ONU?». Probabilmente non in modo molto chiaro, se a qualcuno questi riferimenti sono sfuggiti.
Si può osservare che l’unico richiamo esplicito alla sessualità è relativo alla predisposizione di servizi sanitari, mentre la sessualità non è solo (e non principalmente) una questione sanitaria. Si può anche notare che si riconosce esplicitamente il diritto a contrarre matrimonio (confinando in qualche modo la sessualità a un ambito giuridicamente formalizzato), mentre rimangono scoperte di tutela le coppie di fatto, la loro sessualità, la loro affettività… ma non c’è bisogno di andare all’ONU per notare questa miopia che – democraticamente – riguarda molti cittadini e le cittadine italiane (non solo quelli/e con disabilità).

Credo che – nonostante gli importanti segnali positivi di cambiamento (non è più così raro che la persona disabile trovi occasioni per esprimere/sperimentare la sessualità) – il tema in questione continui ad essere problematico e doloroso per molte persone e dunque fa bene Tescari a trattarlo in questi termini. Quanto alla Convenzione, cercherei di interpretare e utilizzare correttamente quello già c’è. Che, se applicato interamente, non sarebbe poco: si parla infatti del riconoscimento, del godimento e dell’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Niente lascia ragionevolmente supporre che la sessualità sia esclusa da questo quadro.

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