Due indizi non fanno una prova, ma ci siamo vicini

di Franco Bomprezzi
Pochi giorni fa l'avventore di una pizzeria insulta una bimba con sindrome di Down, chiedendo a "quella mongoloide" di uscire dal locale, mentre in TV, al "Grande Fratello", si litiga a base di offese simili, come denunciato nei giorni scorsi dall'Associazione Italiana Persone Down. Che si tratti di un crescente scadimento nella qualità della convivenza e del rispetto della dignità delle persone, con l’uso, tra l'altro, di termini come "focomelico" e "mongoloide", che sottolineano un'anomalia fisica trasformandola in stigma?

FrancescaAmmetto che ormai da molti anni non seguo il Grande Fratello di Canale 5: lo trovo ripetitivo, noioso, spesso dannoso. Sono dunque prevenuto, con tutto il rispetto per chi lavora a questo format, che è sicuramente una delle macchine televisive più fortunate degli ultimi tempi. E dunque non posso testimoniare di aver sentito con le mie orecchie gli insulti a base di “mongoloide” che si sarebbero scambiati ripetutamente gli ospiti della casa, durante la trasmissione di Canale 5. Ma conosco la serietà dell’AIPD, l’Associazione Italiana Persone Down, e perciò sono sobbalzato sulla mia sedia a rotelle quando ho letto la denuncia diffusa nei giorni scorsi e ripresa su queste pagine [se ne legga nell’articolo intitolato Chieda scusa, il «Grande Fratello», a queste persone degne di rispetto, disponibile cliccando qui, N.d.R.].
Scriveva tra l’altro l’AIPD che «il reiterarsi di questi spiacevoli episodi fa male; fa male alle 49.000 persone con la sindrome di Down e alle loro famiglie che vivono in Italia e che lottano ogni giorno per far capire che avere la sindrome di Down, essere “mongoloide”, non vuol dire essere sciocchi e incapaci e quindi degni solo di disprezzo». E ancora: «Da tempo lavoriamo per abbandonare il termine “mongoloide”, proprio perché troppo spesso usato in senso dispregiativo, ma quello che davvero vogliamo non è solo abbandonare la parola, ma abbandonare l’idea che si possa disprezzare una persona». E infine: «Chi fa televisione sa che molte persone lo vedranno e lo ascolteranno, deve sapere di avere delle responsabilità, di fare, a volte suo malgrado, cultura. E se domani due bambini giocando davanti alla scuola si scherniranno chiamandosi “mongoloide”, deve sapere che ha contribuito a rinforzare questo comportamento anziché ridurlo».

Mi domando come nessuno sia intervenuto prima, senza costringere un’associazione a prendere posizione in modo formale. Mi domando cioè come mai non sia già scattata una forma di autoregolamentazione civile, da parte dei responsabili del programma.
Il linguaggio greve dei coltissimi personaggi del Grande Fratello evidentemente ammorba i cervelli e le coscienze, intorpidisce le reazioni. Le scuse, se ci saranno, risulteranno ridicole, tardive e pure ipocrite. Ricordo che pochi giorni fa abbiamo commentato da queste pagine la vicenda del papà di Treviso, che aveva visto la propria figlia insultata, appunto come “mongoloide”, da un avventore in pizzeria [se ne legga cliccando qui, N.d.R.]. Due indizi non fanno una prova, ma ci siamo vicini.
Vedo uno scadimento allarmante della qualità della convivenza e del rispetto della dignità delle persone. Faccio anche notare la crudeltà di termini che sottolineano un’anomalia fisica, trasformandola in stigma. Focomelico, ricordava giorni fa acutamente Giampiero Griffo, sempre nel nostro sito [si veda cliccando qui, N.d.R.], significa “a forma di foca”, e “mongoloide” si concentra sull’allungamento degli occhi, a mandorla, tipico della popolazione della Mongolia. Si tratta, in entrambi i casi, di una sottolineatura estetica, che sottende perfino un “giudizio lombrosiano” sulle persone, come se dall’aspetto fisico si potesse dedurre il livello delle capacità intellettive e di relazione. E questo è un vergognoso luogo comune dell’inconscio collettivo. Non credo che le scuse bastino, ma almeno partiamo da lì.

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