Negli ultimi giorni dell’aprile 1945 le truppe statunitensi occuparono la città tedesca di Kaufbeuren a meno di novanta chilometri ad ovest di Monaco di Baviera. Nella piazza della cittadina un mese dopo i veterani della 36a Divisione americana celebrarono la vittoria.
Il generale John Ernest Dahlquist, rivolgendosi ai suoi uomini schierati in parata, disse: «Nessun’altra nazione nella storia del mondo moderno è stata così completamente sconfitta. L’intero Paese è sotto il nostro completo controllo». Per un’ironia della storia Dahlquist si sbagliava e la dimostrazione del suo errore era a poche centinaia di metri dal luogo in cui parlava ai suoi soldati. La clinica per malattie mentali di Kaufbeuren, a pochi passi dal Comando statunitense, era circondata da cartelli che avvertivano di tenersi lontani a causa di un’epidemia di malattie infettive.
Erano stati gli stessi medici della clinica a distribuire quei cartelli. Nessun ufficiale americano osò quindi mettere piede nella clinica per più di due mesi e così i medici dell’ospedale continuarono indisturbati a uccidere i loro pazienti, privandoli del cibo o avvelenandoli con iniezioni letali. Soltanto il 2 luglio 1945 un gruppo di ufficiali americani entrò nella clinica, scoprendo cadaveri sparsi per le stanze e degenti ridotti in inimmaginabili condizioni di salute. Un’infermiera, “Suor” Wörle [in realtà non una suora, appellativo usato comunemente all’epoca, N.d.R.], ammise senza difficoltà di aver ucciso 210 bambini e di aver ricevuto un’integrazione mensile allo stipendio pari a 35 marchi per svolgere questa funzione di sterminio. Una scoperta identica per atrocità e inumanità venne fatta nella clinica di Irsee, un villaggio a pochi chilometri da Kaufbeuren.
Un viaggiatore che oggi si recasse a Kaufbeuren o nel piccolo villaggio di Irsee alla ricerca di testimonianze sul sistematico massacro dei disabili ad opera dei nazisti avrebbe qualche difficoltà a ritrovare i luoghi della memoria. Come il generale Dahlquist nel 1945 anche il viaggiatore di oggi farebbe infatti fatica a pensare che il bell’albergo di Irsee fu il luogo della morte di duemila persone. Ad aiutare il ricordo vi è solo un piccolo monumento nascosto in un boschetto vicino, così come a Kaufbeuren l’unica traccia è un piccolo monumento celato in un parco lontano dal centro cittadino e costruito a spese dei medici della clinica. Nient’altro.
La storia dello sterminio dei disabili durante il regime nazista – meglio noto come Aktion T4 – per molti versi è una questione imbarazzante. Dal punto di vista storico l’indagine che ne ha messo in luce gli aspetti è stata condotta negli anni da ricercatori per lo più estranei alle università.
La prima ricerca condotta sull’argomento si svolse nel 1946 quando l’Ordine dei Medici Tedeschi incaricò una commissione presieduta dal dottor Alexander Mitscherlich di riferire sul cosiddetto “processo ai medici” che si svolgeva a Norimberga. I risultati della commissione non furono mai resi pubblici; l’Ordine dei Medici ritenne che le atrocità commesse erano talmente orribili da poter scuotere la stessa fiducia dei cittadini nella professione medica. La questione del massacro dei disabili scompare così per quasi quarant’anni e riemerge soltanto verso il 1980 ad opera di Ernst Klee, un docente di pedagogia per i disabili e giornalista.
L’oblio non può stupire perché è noto che un numero rilevante di medici coinvolti negli omicidi di massa dopo la fine della guerra ricominciarono ad esercitare la professione e in molti casi riuscirono ad ottenere cattedre universitarie prestigiose. D’altro canto in linea generale le pene inflitte a quei pochi che vennero processati e condannati furono relativamente miti o seguite in poco tempo da atti di clemenza.
Vi è poi un’altra ragione che – con molta probabilità – ha favorito il silenzio intorno a questo spaventoso massacro: le sue implicazioni. La prima implicazione è la più evidente e cioè che il programma di eliminazione dei disabili rappresentò una specie di “training” al successivo genocidio degli ebrei e all’eliminazione delle altre categorie di “indesiderabili” nei campi di sterminio nazisti.
Tutto ciò che ritroviamo nel sistema di eliminazione di Auschwitz, di Sobibor, di Treblinka, di Belzec o di tutti gli altri campi di sterminio nasce con la cosiddetta “operazione eutanasia”. In primo luogo l’organizzazione basava la propria efficienza sulla segretezza: i membri dell’Aktion T4 giurarono infatti di non rivelare mai la propria attività, i capi della struttura assunsero falsi nomi e – soprattutto – venne creato un “vocabolario” fatto di eufemismi, sotto i quali si nascondeva la realtà degli omicidi, esattamente come più tardi venne fatto per nascondere la realtà del genocidio.
In secondo luogo gli uomini che parteciparono all’eliminazione dei disabili furono impiegati operativamente nel genocidio. L’esempio più evidente è quello di Christian Wirth che da direttore amministrativo della clinica di sterminio di Grafeneck, diventerà il protagonista dell’operazione di sterminio dei campi di Treblinka, Sobibor e Belzec, per poi morire in Istria dopo aver creato l’unico campo di eliminazione italiano della Risiera di San Sabba.
L’Aktion T4 risolse il problema principale che assillava le gerarchie naziste: come uccidere in modo rapido un numero enorme di persone. Nelle cliniche di sterminio venne inventata la tecnica delle camere a gas applicata poi su più larga scala nei campi della morte. Con i disabili si affinarono le tecniche di organizzazione dei trasporti, l’uso di coinvolgere le istituzioni nella raccolta dei dati sulle vittime, l’uso delle persone come strumenti di ricerca scientifica. Nell’Aktion T4 furono coinvolti a vario titolo gli interessi dei medici e delle aziende farmaceutiche.
Tra il luglio e l’agosto del 1941, dal pulpito della Cattedrale di Münster il vescovo Clemens von Galen denunciò che nella Germania era in atto un massacro ai danni della parte più debole e bisognosa del popolo tedesco. Secondo quanto dichiarò Viktor Brack – uno dei dirigenti dell’Aktion T4 – al Processo di Norimberga, il programma venne interrotto: «Nel 1941 ricevetti un ordine verbale di sospendere il Programma Eutanasia. Ricevetti quest’ordine sia da Bouhler che dal dott. Brandt. Per preservare il sollevamento dall’incarico delle truppe militari e per avere l’opportunità di iniziare un nuovo Programma Eutanasia dopo la guerra, Bouhler richiese, credo dopo un incontro con Himmler, che io mandassi le truppe a Lublin e le mettessi a disposizione di SS Brigadefuehrer Globocnik. Ebbi poi l’impressione che queste persone fossero state utilizzate nei campi di lavoro gestiti da Globocnik. Più tardi, alla fine del 1942 o all’inizio del 1943, venni a sapere che erano stati impiegati per assistere allo sterminio di massa degli ebrei».
Che fosse in atto un’operazione di sterminio sistematico nel 1941 era cosa nota alla maggior parte dei tedeschi. La segretezza non era stata mantenuta con la rigidità auspicata. Manifestazioni pubbliche contro l’operazione cominciarono a verificarsi anche se in modo occasionale in alcune cittadine tedesche. I sermoni di von Galen furono pubblicati e cominciarono a circolare in tutta la Germania. Il 24 agosto Hitler ordinò segretamente la sospensione della Aktion T4, così come segretamente ne aveva ordinato l’inizio.
La reazione dell’opinione pubblica tedesca e soprattutto i sermoni del vescovo von Galen determinarono la sospensione dello sterminio dei disabili? Apparentemente l’operazione terminò e le cliniche di sterminio vennero chiuse. Tuttavia all’Aktion T4 si sostituì una fase in cui la morte dei pazienti venne amministrata direttamente dalla classe medica. Si tratta di quella che venne chiamata “eutanasia selvaggia” ossia una sorta di gestione autonoma del massacro con l’utilizzo di iniezioni letali e la privazione del cibo.
Si calcola che mentre la prima fase condusse all’omicidio di più di 70.000 persone, la fase di “eutanasia selvaggia” provocò la morte di oltre 140.000 pazienti.
Se l’Aktion T4 può essere considerata la “palestra” nella quale si allenarono i carnefici che più tardi avrebbero amministrato la morte nei campi di sterminio, sorge spontanea la domanda su quali conseguenze avrebbe procurato una presa altrettanto netta e non ambigua della opinione pubblica tedesca e della Chiesa anche contro lo sterminio degli ebrei. Così come l’eliminazione dei disabili anche il genocidio del popolo ebraico era noto al popolo e alle gerarchie ecclesiastiche. Si sarebbe arrestata la macchina della morte se fosse stata assunta una posizione di condanna netta e chiara? Se nel 1942 – agli inizi del genocidio – l’opinione pubblica avesse preso una posizione probabilmente per gli ebrei della Polonia sarebbe stato oramai tardi. E tuttavia, con molta probabilità, sapere che lo sterminio era cosa chiaramente nota avrebbe reso molti governi collaborazionisti (come ad esempio quello di Vichy o quello ungherese) meno inclini alla partecipazione attiva al genocidio.
La collaborazione delle polizie locali fu infatti notoriamente decisiva per lo sterminio soprattutto nell’Europa occidentale: i nazisti non avrebbero potuto portare a termine le deportazioni senza il decisivo aiuto dei collaboratori. L’esempio più evidente fu quanto accadde in Danimarca dove la popolazione assunse un ruolo non collaborativo riuscendo a mettere in salvo gli ebrei del loro Paese.
L’insegnamento positivo che la storia dell’Aktion T4 ci consegna a settant’anni di distanza è che per quanto dura e repressiva possa essere una dittatura le spinte che provengono dal basso – se numerose e decise – possono influire in modo decisivo. L’idea che una dittatura possa stroncare ogni forma di dissenso impunemente è un alibi per chi fa la scelta di rimanere “spettatore” inerme e inattivo di fronte a decisioni moralmente intollerabili.
Vi è però anche un insegnamento purtroppo negativo su cui dobbiamo tristemente riflettere. La fase della “eutanasia selvaggia” non venne condotta in prima persona dall’apparato nazista, ma dalla classe medica che spontaneamente si assunse l’orrendo compito di proseguire il crimine iniziato dalle autorità. Questo ha una grande rilevanza quando si riflette sul fatto che i medici in ogni società organizzata rappresentano una sorta di “segmento sociale d’élite” sul quale il resto della popolazione fa affidamento.
Le élite funzionano nell’orientamento delle idee di un popolo come veri e propri opinion-makers, giustificando con la loro azione le scelte politiche, avvalorandole e divenendone garanti. Ciò che i medici in Germania avvalorarono fu l’idea che l’omicidio di massa potesse essere una specie di “terapia” rispetto a quelli che erano avvertiti come problemi. Occorre fare molta attenzione al fatto che un genocidio o un qualsiasi progetto di sterminio può compiersi soltanto se esiste la disponibilità di una parte della società non soltanto a trasformarsi fisicamente in assassini, ma se un’élite accetta di razionalizzare, giustificare e legittimare l’atto dell’uccidere. Serve una tigre per uccidere, ma anche qualcuno che la faccia uscire dalla gabbia. La giustificazione, la razionalizzazione e la legittimazione del massacro dei disabili prima e degli ebrei poi venne delegata dal nazismo ai medici e agli esperti in giurisprudenza. Medicina e legge funzionarono per certi versi da “fornitori di alibi” per il resto della popolazione che scelse di rimanere inerte sia in Germania che negli altri Paesi europei che rientravano nella sfera di influenza nazista.
Ogni azione violenta verso una minoranza funziona nel momento in cui questa viene giustificata dal punto di vista legale e dal punto di vista scientifico. Questa attività di giustificazione, razionalizzazione e legittimazione è assolutamente decisiva non soltanto per rendere la maggior parte della popolazione indifferente spettatrice degli eventi, ma è anche decisiva per rendere efficaci ed efficienti gli esecutori, i carnefici. Perché si sviluppi l’azione violenta contro una collettività occorre infatti che i carnefici abbiano la possibilità di sdoppiare la propria percezione morale ossia costruire in se stessi un doppio binario di moralità.
Tra i molti esempi che si possono fare per spiegare cosa intendo per “sdoppiamento della percezione morale” il più evidente è quello rappresentato dalle lettere che il dottor Friedrich Mennecke scrisse a sua moglie mentre operava come carnefice.
Mennecke, quarantenne, laureato in medicina, membro del partito nazista e delle SS dal 1932, a partire dal 1940 divenne parte dell’Aktion T4. Il suo compito era quello di visitare gli ospedali psichiatrici tedeschi per selezionare i malati da inviare alle cliniche della morte. Più tardi, quando l’Aktion T4 venne interrotta, Mennecke venne utilizzato nella cosiddetta “Operazione 14 f 13” ossia la selezione dei malati, degli inabili al lavoro e dei “ribelli patologici” nei campi di Dachau, Buchenwald, Ravensbrück e Auschwitz. In questa sua attività di “consulenza” fu responsabile della messa a morte di 2.500 persone.
Durante la sua attività Mennecke aveva l’abitudine di scrivere anche diverse lettere al giorno alla moglie Eva per descriverle ciò che gli accadeva durante le ore di lavoro e qui, con la stessa naturalezza con la quale vezzeggia la moglie o parla di ciò che ha mangiato, egli riferisce la sua attività di selezione che significa – per quella stessa giornata – la morte per decine se non centinaia di persone.
Certamente Mennecke era un marito affettuoso, un vicino simpatico, una persona educata e affabile, rispettoso della legge. Ma questo era soltanto uno dei due binari morali sui quali si reggeva la propria vita quotidiana. Il secondo binario era quello dell’indifferenza assoluta verso la sorte delle persone che “selezionava”. Per questo motivo, grazie a questo doppio binario morale, può descrivere nella stessa lettera le «fette di salame che ha mangiato» e il suo lavoro di carnefice. Mennecke è stato autorizzato dal suo ambiente, giustificato e legittimato a priori. Per questo motivo lui e molti altri carnefici di cui conosciamo l’attività risultano tranquillamente ottimi padri di famiglia, sposi affettuosi e amici premurosi e benvoluti. Non si tratta di quella che Hannah Arendt ha definito “banalità del male” perché siamo al di là sia della banalità che del male: Mennecke e i molti Mennecke che agirono dapprima contro i disabili e poi contro gli ebrei avevano retrocesso con il consenso di tutto il loro mondo le vittime a oggetti animati da una “vita indegna di essere vissuta” e – in quanto tali – eliminabili senza che la loro morte producesse in loro alcun turbamento.
Qual è dunque l’insegnamento per il futuro che la memoria del massacro delle persone con disabilità tedesche ci consegna? Direi che in ciò che non accadde possiamo ritrovare gli elementi per una strategia che impedisca che ciò riaccada.
Occorre anzitutto assolvere al dovere politico della vigilanza che ognuno come cittadino deve esercitare senza distrazioni. Ciò significa essere costantemente disponibili ad alzare la propria voce di fronte alla più piccola discriminazione di cui siamo testimoni. La nostra attenzione quotidiana è il segnale più efficace diretto a chi tenta di seminare divisioni, odi su base etnica, religiosa o politica. L’attenzione è una diga, la sua assenza incoraggia chi si adopera per indirizzare l’odio verso le minoranze.
Tuttavia essere vigili e disponibili a parlare può non bastare. Occorre esaminare criticamente i discorsi che le élite elaborano e usare una discriminante per affidare il proprio consenso politico: nessun consenso a chi giustifica, relativizza o legittima in qualsiasi forma e per qualsiasi motivo l’ineguaglianza giuridica, morale, politica tra gli esseri umani e qualsiasi forma di terrorismo in nome di qualsiasi causa. Perché non c’è alcuna causa che possa giustificare la morte anche di un solo individuo. L’odio nasce e trasforma se stesso in violenza attiva solo con la complicità di spettatori e con la loro indulgenza. Qualsiasi atto di violenza giustificato genera poi successivi atti di violenza perché una volta legittimata la disumanizzazione di un gruppo di persone, se ne autorizza l’odio e l’aggressione.
Il massacro dei disabili in Germania fu realmente il preludio del genocidio degli ebrei d’Europa non soltanto tecnicamente e cronologicamente, ma anche moralmente. Il suo compimento non trovò argini sociali solidi e ruppe quella diga che separa l’inumanità dal senso di giustizia e tolleranza. Consentire la morte per i propri figli più deboli e bisognosi permise l’infamia di Auschwitz.
*Presidente dell’Associazione Olokaustos. Ringraziamo per la concessione del presente testo (qui leggermente ridotto in alcune parti) la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), che lo ha pubblicato nel proprio sito www.personecondisabilita.it (titolo: Lo sterminio delle persone con disabilità da parte del regime Nazista come preludio all’Olocausto).
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– L’olocausto rimosso delle persone con disabilità, disponibile cliccando qui.