Qualche mese fa, Daniele Brogi, socio dell’ANFFAS Mortara e Lomellina (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), in provincia di Pavia, si è rivolto a numerosi organi d’informazione, scrivendo una lunga lettera-appello, della quale riportiamo qui di seguito i brani più significativi.
«La mia seconda bimba – ha raccontato Brogi – è colpita da una Malattia Rara con disabilità al 100%. Abitiamo a Cassolnovo, un paese alle porte di Vigevano, in provincia di Pavia, in Lombardia, nella Regione, cioè, che vanta i migliori parametri di gestione fiscale e amministrativa e dalla quale chiunque si aspetterebbe il massimo. Invece abbiamo dovuto fare i conti con una Neuropsichiatria Infantile obsoleta, sottostimata e condotta con lo stesso entusiasmo di “un’agenzia di pompe funebri”, un paragone duro, questo, ma che prende spunto dall’accoglienza che si ha presso tale struttura, puramente burocratica, dove nei documenti dei bambini sono apposti i dovuti timbri, si viene informati delle sovvenzioni statali e via… “accomodatevi pure nel girone dei vegetali”… Dove insomma i nostri figli servono a far girare un sistema burocraticamente necessario!
Personalmente ho detto no a tutto questo. Abbiamo perciò iniziato a guardarci in giro, ad approfondire quanto di meglio si poteva fare per la nostra bambina e ovviamente, fuori dagli schemi convenzionali, abbiamo ottenuto tanto, arrivando a sentirci dire – da quegli stessi medici pagati per farci raggiungere ciò che abbiamo potuto ottenere solo privatamente – che per la loro esperienza la bimba avrebbe di poco superato lo stato vegetativo, ragion per cui ciò che si era avuto era tutto “grasso che cola”!
Rimasi letteralmente inorridito da questo concetto, da questa politica, e cominciai a pensare a come potessero andare le cose rispetto alla maggior parte dei bambini in situazioni di grave disabilità, ovvero alla totale mancanza di interesse nel coglierne e nello svilupparne il massimo delle capacità, lasciandoli invece sopravvivere nella loro condizione, così da trascinare quel “filone”, dove poter inserire, all’occorrenza, qualche figura professionale, sia in ambito sanitario che scolastico.
Oggi mia figlia corre, ride, parla, gioca con i bambini e alla luce di tutto questo come non soffermarsi a pensare a quelle altre famiglie che non hanno avuto la stessa forza, gli stessi stimoli, a quei bambini “condannati” invece che aiutati dalla società? E così ho iniziato a chiedere chiarimenti, ad esempio sul perché all’interno del plesso scolastico di mia figlia non venisse contemplato, come previsto per legge, il Gruppo Lavoro Handicap Operativo, che altro non sarebbe che una serie di incontri tenuti durante il corso dell’anno, ai quali sono chiamate a partecipare tutte le figure che ruotano attorno al bambino con disabilità, al fine di stilare una serie di programmi e documenti (il Profilo Dinamico Funzionale e il Piano Educativo Individualizzato), volti a creare un filo conduttore nella vita del bambino tra l’ambiente scolastico e quello familiare, elaborando le linee guida individuali necessarie alla crescita del bambino stesso, compito che è impensabile delegare all’ultima insegnante di sostegno, la quale, dopo una manciata di ore di frequentazione, viene investita di tale responsabilità.
Pertanto ho richiesto colloqui con l’insegnante responsabile dei docenti di sostegno, con i dirigenti scolastici via via susseguitisi e la risposta è stata che in tutta la Provincia di Pavia “viene ottemperato questo meccanismo” e che comunque secondo loro, sono “incontri di dubbia utilità”.
A quel punto, carico della forza che mi hanno dato i progressi della mia bimba – per la quale ho ottenuto tutti i procedimenti previsti – ho iniziato a scrivere agli Uffici Scolastici Provinciali e Regionali, al Ministero e alla Procura della Repubblica, con la viva speranza che tutti quei bambini e le loro famiglie non siano abbandonati ma che con il contributo delle Istituzioni preposte possano migliorare la loro condizione di vita.
Se perciò un Cittadino qualsiasi, con la sola licenza di terza media, ha potuto far tanto, chissà, con il vostro aiuto, a quanti altri bambini potremmo donare il sorriso, semplicemente raccontando, avendo il coraggio di prendere a cuore, senza ipocrisia, situazioni per le quali sono tutti convinti che si faccia tutto il possibile. Infatti, in questa società detta “civile”, nella quale si studiano le barbarie degli spartani o dei nazisti, spesso non ci si rende conto di quanto anche noi, con la nostra indifferenza, ogni giorno “buttiamo giù dal burrone” centinaia di bambini, che hanno la “colpa” di non rientrare nei nostri parametri.
Mia figlia mi ha insegnato che l’unico limite alla speranza e alla fede è quello che ci poniamo noi e perciò mi auguro che di fronte a questo mio appello non si ripeta la frase “tanto non cambierà mai niente”, con la quale tante volte sono stato “liquidato”».
Fin qui la lettera-appello di Daniele Brogi che purtroppo – fa quasi male doverlo dire – pur essendo chiara e ben dettagliata, non ha trovato praticamente spazio presso alcun organo d’informazione.
In ogni caso, nel marzo scorso, Brogi ha indirizzato un Esposto alla Procura di Milano, a quella di Pavia, ai Ministeri della Sanità e dell’Istruzione, alla Regione Lombardia, all’Ufficio Scolastico di quest’ultima e all’Ufficio Scolastico Provinciale di Pavia, ove ha scritto tra l’altro di avere «riscontrato gravi anomalie nello svolgimento dei processi d’integrazione scolastica, sia da parte dell’ambito sanitario, quanto di quello scolastico, nello specifico per quanto riguarda lo svolgimento dei Gruppi Lavoro Handicap d’Istituto (G.L.H.I.), per i quali è prevista la presenza degli operatori socio-sanitari, come specificato nella Legge del 5 febbraio 1992 numero 104, art. 15, comma 2, all’interno dei quali da anni è documentata l’assenza. Inoltre, nei Gruppi Lavoro Handicap Operativi (G.L.H.O.), all’interno dei quali per ogni alunno diversamente abile vengono redatti il Profilo Dinamico Funzionale (P.D.F.) ed il Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.), incontri diretti da un’équipe di lavoro composta anche dagli operatori dell’ASL che si occupano del caso, è altrettanto documentato che da svariati anni questi ultimi non prestano seguito a quest’obbligo di legge, nello specifico la Legge del 5 febbraio 1992 numero 104, art. 12, comma 5 e il Decreto del Presidente della Repubblica del 24 febbraio 1994 artt. 4 e 5».
«Come da esperienza vissuta – ha scritto ancora Brogi nel suo Esposto – l’applicazione di queste norme copre un ruolo fondamentale nel diritto all’integrazione scolastica e nello sviluppo di questi bambini, oltre che nella vita delle loro famiglie, ragion per cui ho ritenuto doveroso inviare 10 r/r [raccomandate con ricevuta di ritorno, N.d.R.] a varie istituzioni sanitarie e per conoscenza alle associazioni per i diritti dei disabili, al fine di avere delucidazioni inerenti la libertà di non rispettare leggi della Costituzione italiana a scapito di altri cittadini, oltretutto in condizione disagiata. A seguito di tali raccomandate ricevevo un’e-mail dalla Direzione Generale della Sanità della Regione Lombardia, nella quale si affermava testualmente che “l’UONPIA [Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, N.d.R.] non è tenuta a partecipare ai Gruppi di Lavoro Handicap (GLH)”».
Vale certamente la pena riportarlo, il contenuto di quella risposta del 21 gennaio 2011, inviata dalla Direzione Generale Sanita della Regione Lombardia (Programmazione e Sviluppo Piani), che parla da sé e non merita troppi commenti. Vi si scrive infatti: «A seguito della Sua lettera, abbiamo richiesto chiarimenti alle Direzioni Generali della ASL e della Azienda Ospedaliera competenti, e il Direttore del Dipartimento di Salute Mentale ha riferito quanto segue: – la dotazione di organico della UONPIA, compresi i dirigenti medici, è coerente con le indicazioni tecniche della ASL, così come da questa constatato nel corso dell’attività ispettiva messa a punto in vista dell’emanazione del formale provvedimento di accreditamento; – i bambini disabili in carico al Distretto Lomellina sono mediamente una decina; – l’UONPIA non è tenuta a partecipare ai gruppi di lavoro handicap (GLH), ma sul territorio è attivo un tavolo di discussione con i genitori dei bambini disabili della Lomellina con i quali, secondo il Direttore del DSM [Dipartimento di Salute Mentale, N.d.R.], si è stabilito un rapporto continuativo di confronto e dai quali non sembrerebbero mai essere state rappresentate particolari problematicità (in termini di omissione e/o negligenza) da parte dei curanti».
Interessante è a questo punto notare come – ciò che verrà evidenziato anche dalla LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) e dall’ANFFAS Lombardia, nell’ultimo documento cui tra breve faremo riferimento – lo stesso Ministero della Salute si sia detto ben poco convinto da tale risposta, come risulta dalla nota inviata alla Regione Lombardia il 30 marzo, ove «si fa presente che questa Direzione Generale [la Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, N.d.R.] gradirebbe essere informata circa le modalità di partecipazione degli operatori sanitari nella formulazione del PEI (piano educativo individualizzato), nonché nelle procedure di verifica del medesimo ai sensi delle vigenti disposizioni di legge».
E veniamo dunque alla citata lettera di Fulvio Santagostini, presidente della LEDHA e di Carla Torselli, presidente dell’ANFFAS Lombardia, indirizzata recentemente a tutti i responsabili delle varie istituzioni sanitarie di Pavia (e per conoscenza al Ministero della Sanità, alla Regione Lombardia, all’Ufficio Scolastico Regionale e a quello Provinciale), ove – in totale sostegno alle istanze promosse da Daniele Brogi – si richiede anche un incontro urgente di verifica e chiarimento.
«Il signor Daniele Brogi – vi si scrive -, socio ANFFAS Mortara e Lomellina, padre di una bimba con disabilità grave che frequenta una scuola materna, ha avuto il merito di segnalare, a più riprese, una situazione purtroppo non circoscritta al solo ambito di sua residenza (la Lomellina, distretto in provincia di Pavia), ma diffusa in diversi ambiti della nostra Regione.
A seguito dell’individuazione dell’alunno in situazione di handicap, attuata dalla Commissione ASL preposta (in ottemperanza del DPCM 185/2006, della DGR 3449 del 7/11/2006 e delle Linee Operative Regione Lombardia 11/2/2008), la partecipazione attiva al processo di integrazione scolastica degli alunni con disabilità dell’équipe multidisciplinare all’interno delle Unità Operative dell’Infanzia e dell’Adolescenza delle Aziende Ospedaliere (UONPIA) si riduce fino in molti casi a scomparire. Si tratta di un diritto riconosciuto come esigibile da parte dell’alunno disabile e della sua famiglia dalla nostra legislazione (Legge 104/1992, art. 12, commi 5-7; art. 13 comma 1.a; D.P.R 24/2/1994 “Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle Unità Sanitarie Locali in materia di alunni in situazione di handicap”, in particolare art. 3-5) e della collegialità della presa in carico dell’alunno con disabilità ribadita anche dalle recenti Linee Guida per l’Integrazione Scolastica ministeriali (II Parte, punto 2).
Molte famiglie, a fronte di liste di attesa sempre più lunghe e talvolta inaccessibili di UONPIA e specialisti pubblici, ma anche di Enti privati accreditati di branca, si trovano costrette a rivolgersi al privato accreditato o al privato tout court non solo per la presa in carico riabilitativa del proprio figlio, ma anche per la stesura della diagnosi clinica e della relazione funzionale necessarie per accedere al Collegio di accertamento, della Diagnosi Funzionale da consegnare alla scuola e dei successivi atti programmatori (Profilo Dinamico Funzionale e Progetto Educativo Individualizzato), che sono premessa indispensabile per realizzare un’integrazione scolastica degna di questo nome. In tal modo spesso esse “pagano”, in termini non solo economici, ma anche di tempo, fatica e disagio, ciò che dovrebbe essere loro assicurato per legge.
La partecipazione della componente sanitaria ai Gruppi di Lavoro Scolastici (GLHI- GLHO) e persino l’attivazione di detti gruppi, che dovrebbero essere obbligatoriamente promossi dal Dirigente Scolastico sulla base della normativa (Legge 104/1992, art. 12, comma 5 e art. 15, comma 2) sono spesso affidati solo alla buona volontà del Dirigente stesso o dello specialista che si rende disponibile.
Alle proteste del Sig. Brogi la Direzione Generale Sanità della Lombardia ha dato una risposta che riteniamo evasiva, oltre che non rispettosa del dettato legislativo, contraddetta giustamente dal Ministero della Salute che chiede apertamente alla Direzione regionale stessa “informazione sulle modalità di partecipazione degli operatori sanitari nella formulazione del PEI, nonché nelle procedure di verifica del medesimo ai sensi delle vigenti disposizioni di legge”.
Per questo chiediamo che si svolga un incontro con l’ASL e l’Azienda Ospedaliera di Pavia, in particolare con l’Organismo di Coordinamento della Neuropsichiatria Infanzia e Adolescenza della provincia di Pavia, con la partecipazione di esponenti delle Associazioni territoriali.
Crediamo sia innanzitutto fondamentale verificare se le attuali risorse specialistiche (con particolare riferimento agli organici di medici specialisti in Neuropsichiatria, nonché alle altre figure di terapisti) a disposizione dell’Azienda Ospedaliera siano congrue ai fabbisogni che emergono dal territorio. Vorremmo soprattutto confrontarci con le Istituzioni su come si intendano predisporre i necessari accomodamenti ragionevoli, come previsto dalla Convenzione ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità, al fine di fare tutto il possibile per garantire il diritto all’educazione e all’istruzione degli alunni con disabilità sulla base di uguaglianza con gli altri, realizzando concretamente una loro presa in carico precoce, coordinata e continuativa».
E siamo quindi arrivati all’oggi. Ci siamo dilungati molto nel raccontare questa vicenda, ma crediamo ne valesse la pena, anche perché alla fine – al di là delle stesse opinioni – ciò che maggiormente conta sono sempre i documenti, i testi e le risposte ufficiali.
C’è un passaggio della lettera-appello di Daniele Brogi che ci ha particolarmente colpito, quando cioè scrive che tutto ciò avviene «in Lombardia, nella Regione, cioè, che vanta i migliori parametri di gestione fiscale e amministrativa e dalla quale chiunque si aspetterebbe il massimo». Sin troppo facile, a questo punto, è porsi un quesito: se tutto ciò avviene nell'”avanzata Lombardia”, cosa succede davvero in quelle Regioni italiane dove “si sta peggio”? Oppure – rovesciando il quadro – ci si potrebbe anche chiedere se davvero si stia cominciando a “stare peggio” un po’ dappertutto, come ben dimostra l’attuale ondata di proteste delle persone con disabilità e delle loro famiglie, che sta coinvolgendo praticamente tutto il Paese.
Continueremo quindi a presentare i nostri ampi approfondimenti fatti di leggi, sentenze e di ogni altro provvedimento volto a garantire una reale inclusione scolastica degli alunni con disabilità e daremo sempre spazio a tutti quei casi di “buone prassi” che possono indurre all’ottimismo. Ma non mancheremo nemmeno mai di denunciare tutte quelle situazioni di leggi disattese o male applicate, che fanno purtroppo capire quanto ci sia ancora da lavorare per arrivare alla vera “scuola di tutti”, dovendo schivare di volta in volta ostacoli come i continui tagli finanziari o le fasi di arretramento culturale. (Stefano Borgato)