Quelle migliaia di famiglie che aspettano in dignitoso silenzio

di Fulvio De Nigris*
Se molto spesso negli organi d'informazione è il gesto disperante o l’urlo più forte ed eclatante che viene raccolto, dobbiamo sempre più occuparci di quelle migliaia di famiglie che nel vivere la loro esperienza legata a una grave cerebrolesione restano dignitosamente in silenzio, aspettando che il loro messaggio arrivi: al sistema sanitario, ai centri di riabilitazione, al mondo della ricerca, alle associazioni che le rappresentano, ai politici che tanto possono fare per interpretare i molteplici bisogni che richiedono. E a un anno dalla scomparsa di Eluana Englaro, è bene ricordare come sia stata proprio la sua vicenda a insegnare sempre più il dovere di essere vicini a quelle famiglie

Oriella Orazi, Vestita di cielo, 2006Un incontro del 6 febbraio a Udine, cui anch’io parteciperò [“Eluana, il passato e la speranza. Musica e parole”, Sala San Paolino d’Aquileia, ore 18, N.d.R.] permetterà ancora una volta, a poco meno di un anno dalla sua scomparsa, di ricordare e ringraziare Eluana Englaro. Ricordarla per la sua drammatica esperienza di vita e ringraziarla per avere alzato il velo su una condizione – lo stato vegetativo – ai più sconosciuta, una vita gravemente cerebrolesa che viene vissuta dalle famiglie che ne sono colpite (come da chi la vive direttamente) in maniera lacerante, combattiva e disperante, spesso in abbandono e solitudine.

Se Eluana ci ha insegnato qualcosa è proprio il nostro dovere ad essere vicini alle famiglie, ad accompagnarle in un percorso di vita differente, in uno stile di vita che da molte di loro viene rivendicato per una titolarità di cittadinanza attiva, per un ruolo sociale che contempli i propri cari e il proprio vissuto.
Noi dobbiamo cercare di mettere insieme tutto questo, per dare risposte sempre più efficaci, sempre più comprensive e sempre più integrate tra questa minoranza di persone che vivono nel disagio e nella disabilità (parliamo di 2.500-3.000 persone in Italia, anche se non esiste un dato epidemiologico certo) e la “società abile”, che a grandi passi deve affrontare priorità che tengano conto in egual misura dei nostri diritti e delle nostre libertà.

C’è un sistema della nostra vita che ci accompagna fino alla morte. Dobbiamo occuparci di tutto questo percorso, ascoltando il grido di aiuto che proviene dai molti che vivono queste situazioni. Se molto spesso negli organi d’informazione è il gesto disperante o l’urlo più forte ed eclatante che viene raccolto, dobbiamo sempre più occuparci di quelle migliaia di famiglie che sono dignitosamente in silenzio, aspettando che il loro messaggio arrivi: al sistema sanitario, ai centri di riabilitazione, al mondo della ricerca, alle associazioni che le rappresentano, ai politici che tanto possono fare per interpretare i molteplici bisogni che richiedono.

Se una persona non morirà mai fin quando qualcuno si ricorderà di lei, Eluana è oggi più che mai viva tra noi, “purosangue di coraggio”, emblema di un lacerante conflitto che l’ingiustizia della vita sempre più pone davanti ai nostri occhi, invitandoci a guardare dietro le foto belle e sorridenti di chi vive, invece oggi, una condizione diversa. Per invitarci non solo a capire ma, comunque, a fare.

*Direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma dell’Associazione Gli Amici di Luca di Bologna (fulvio.denigris@amicidiluca.it).

Sui temi trattati da Fulvio De Nigris nel presente testo, suggeriamo anche la lettura – sempre nel nostro sito – dell’ampia analisi prodotta dallo stesso De Nigris, con il titolo Gravi cerebrolesioni acquisite: associazionismo e alleanza terapeutica, disponibile cliccando qui.
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