Il mio grido nel deserto

di Giulia Mineo
«Don Chisciotte dell'era moderna»: ecco come si possono definire in Italia i familiari di una persona con gravi problemi di disabilità, soprattutto in alcune Regioni del nostro Paese. Sono "grida nel deserto" che testate come la nostra raccolgono e diffondono quotidianamente, ma che ancora non riescono a trovare ascolto presso gli organi d'informazione definiti come "generalisti". E torna alla mente anche la dura provocazione lanciata in questi giorni su queste stesse pagine da Franco Bomprezzi: «Forse in futuro dovremmo cominciare a corrompere gli architetti, gli ingegneri, i consiglieri comunali, i parlamentari, i funzionari ministeriali. Pagandoli profumatamente probabilmente riusciremmo a vivere in un mondo migliore!»

Giovanna Lacedra, Lo sconfortoMio fratello Giorgio è una persona di 28 anni con disabilità intellettiva grave e invalidità del 100%. La sua vera sfortuna, però, è quella di essere nato in Sicilia, una Regione che non offre nulla alle persone più deboli i cui diritti dovrebbero essere tutelati.
Sono un medico e vivo a Torino da poco tempo; molti mi dicono che qui in Piemonte l’assistenza ai disabili è ottima, con Centri Diurni funzionanti, attivi, eccellenti. Oggi hanno comunicato alla mia famiglia che Giorgio non potrà più andare in uno dei pochi Centri esistenti e aperti anche ai disabili a Palermo (a pagamento, è ovvio) e pertanto mio fratello deve stare a casa in assenza di alternative. Un peccato, visto che è andato a scuola, è stato seguito, aiutato a crescere e vivere una vita dignitosa e appagante nonostante la disabilità.
Il mio cruccio è che dovrò probabilmente sradicarlo dal posto in cui è cresciuto, per trovare per lui qualcosa da fare durante il giorno e portarlo al Nord, anche perché mia madre – che se ne occupa – nonostante la Legge 104 non riesce più a trovare una collocazione per lui nelle ore in cui deve andare a lavorare.

Mi provoca molta  rabbia sapere che in Sicilia niente e nessuno muoverebbe neanche una più timida protesta. Se provassi a segnalare (a chi? Dove?) le mancanze dello Stato nei confronti dei più deboli – che comunque sono familiari di persone che lavorano, produttive per il Paese in cui viviamo: mia madre ed io siamo medici – tutto cadrebbe nel silenzio e nell’indifferenza generale.
Quali strumenti ha il familiare di una persona con disabilità in un’Italia in cui i ministri parlano di cose lontane dal Paese, ci invitano a produrre, parlano di etica e di morale, giudicano le scelte drammatiche degli altri paragonando lo stato vegetativo persistente a una condizione di “disabilità” (sono un’anestesista). L’acqua e il cibo sono un diritto? Bene, allora anche una vita dignitosa lo è e non è riconosciuto a molti disabili nel nostro Paese, specialmente a quelli così sfortunati da essere nati al Sud.
C’è un modo per far sì che qualcuno ascolti il mio “grido nel deserto” e parli di queste cose? Sono scoraggiata dalle battaglie che ho visto combattere da mia madre, un perfetto “Don Chisciotte dell’era moderna”, come tutti i genitori di chi, in modo “politically correct”, viene definito “diversamente abile”, ma nel sentire comune resta sempre un handicappato.

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