Una progettazione accessibile degli spazi domestici consente a chi ha gravi disabilità di vivere la propria casa senza sentirsene prigioniero. Rampe e carrozzine elettroniche azionabili attraverso joystick o altri sistemi di guida permettono di uscire per andare in ufficio o incontrarsi con gli amici. Mouse a bocca e tastiere virtuali possono essere di grande aiuto per non isolarsi, comunicare con gli altri, tenersi aggiornati navigando su internet. A volte per migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità – e anche dei loro familiari e di chi li assiste – può servire davvero poco: una doccia a pavimento in bagno, un letto ad altezza variabile per più facili spostamenti da e verso la carrozzina, tapparelle e porte che si aprono e si chiudono con un telecomando.
Proprio di domotica e di ausili per la disabilità si è parlato nel convegno organizzato il 26 febbraio scorso a Bologna dalla locale Sezione della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) [se ne legga la presentazione in questo sito cliccando qui, N.d.R.]. Tra i relatori e in platea amministratori pubblici e professionisti della sanità, rappresentanti di associazioni, disabili e famiglie, che si sono confrontati attorno a una domanda di fondo: come diffondere ancora di più le tecnologie per la disabilità?
La risposta, concorde, è stata che è necessario fare squadra, cioè mettere in rete istituzioni e società civile, i servizi sanitari e di comunità con le competenze delle associazioni e i bisogni delle famiglie. «Conoscere gli ausili oggi disponibili – ha dichiarato Antonella Pini, neuropsichiatra infantile e presidente della UILDM di Bologna – diffonderli, facilitarne l’adozione anche attraverso il sostegno economico delle istituzioni, dev’essere una scelta che coinvolge l’intera società. In questo le associazioni possono avere molto da dire».
La dimostrazione dell’importanza di fare squadra arriva proprio dalla UILDM bolognese, con l’ultimo dei suoi progetti, denominato Supporto alla vita indipendente: domotica e ausili. Avviata nel 2007, l’iniziativa è un esempio di progettazione partecipata: ideazione e coordinamento della UILDM; un’équipe multidisciplinare per valutare i bisogni di disabili, familiari e caregiver; competenze specialistiche degli operatori di Corte Roncati, il polo tecnologico per la disabilità di Bologna; finanziamenti da parte di due fondazioni (Carisbo e Monte di Bologna e Ravenna) e anche della stessa associazione, che ha utilizzato parte dei contributi del cinque per mille. Il tutto per un totale di oltre 105.000 euro, che sono serviti sia a realizzare interventi tecnologici e per l’accessibilità nelle case di dieci bolognesi con distrofia muscolare, sia ad acquistare ausili che la UILDM ha messo a disposizione dei propri soci.
«Siamo partiti dall’analisi dei bisogni – ha spiegato la coordinatrice del progetto, Lucia Sciuto – e poi siamo passati a un lavoro di raccordo con le istituzioni, in modo da creare una rete di servizi e di competenze il più ampia possibile, per arrivare alla fine a interventi in linea con le esigenze. Perché questo era quello che ci interessava, fare cose concrete».
Tra i progetti realizzati, l’adattamento degli spazi domestici con pavimentazioni antisdrucciolo, rampe, arredi e sanitari su misura, l’acquisto di una carrozzina elettrica basculante dotata di una centralina per accedere a computer e televisione, l’installazione di software e hardware speciali, la realizzazione di telecomandi universali per accendere il televisore oppure per aprire e chiudere porte, tapparelle e finestre.
«Un aumento del grado di autonomia e di indipendenza – ci spiega Sciuto – è stato espresso sia dagli utenti sia dai loro familiari e dagli operatori che li assistono. Solo in un caso, quello di un assistito con gravi disabilità motorie, i benefìci sono per adesso inferiori alle aspettative». Il motivo? «Forse – risponde – non abbiamo fatto assistenza a sufficienza, ma ci siamo già attivati per spiegare meglio le potenzialità del telecomando multifunzione che abbiamo installato».
Perché le tecnologie siano davvero utili, serve infatti che ogni impianto sia tagliato su misura: va personalizzato e per farlo occorre chi i bisogni li sappia cogliere e valutare e chi se ne faccia carico, trovando le soluzioni migliori. A Bologna e in Emilia Romagna la presenza di competenze diffuse e di fondi locali e regionali per la disabilità rende il compito meno difficile, e meno gravose per le famiglie le spese per ausili e interventi di accessibilità. Ma il problema è nazionale e per risolverlo è fondamentale ridefinire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e rinnovare il Nomenclatore Tariffario, cioè il documento del Ministero della Salute che stabilisce la tipologia di protesi e ausili a carico del servizio sanitario. «Il tariffario è ancora fermo al 1999 – conclude Lucia Sciuto – una versione che era desueta già allora. Il fatto che le tecnologie più recenti non siano presenti comporta non solo che non vengano finanziate, ma che si impedisca la diffusione di una cultura degli ausili e la crescita professionale degli operatori».
*Ufficio Stampa Agenda.
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