La disabilità grave «in famiglia»: vivere, sopravvivere o vivere bene?

di Giorgio Genta*
Se "convivere con la disabilità grave" è fonte di fatica, stress, deterioramento delle capacità mentali e fisiche, invece "vivere per la disabilità grave" può trasformare un fattore indubbiamente negativo in una potenziale risorsa per la società, una sorta di "laboratorio di ricerche avanzate" su come la società stessa potrebbe e potrà essere

Donna insieme a figlia con disabilità graveI concetti che definiscono sentimenti, situazioni dell’animo e percezioni sono, per loro natura, difficilmente definibili ed estremamente soggettivi. Più facile, invece, è determinare con dati reali e valutabili le conseguenze di queste componenti della natura umana nella vita quotidiana.
Nel campo della disabilità grave “in famiglia” (un settore in cui possiamo ragionevolmente ritenerci “esperti”), assistiamo a un fenomeno apparentemente inspiegabile: la gravità della disabilità – concetto anche questo assai difficile da definire, perché ricco di implicazioni in ogni settore delle scienze umane – non influisce particolarmente sulla qualità della vita delle famiglie o per lo meno non ne è il fattore principale. Qual è allora questa discriminante che può trasformare un’esistenza normalmente infelice in una tragedia umana oppure in un’esistenza piena e persino appagante?
Crediamo di conoscere la risposta o almeno una parte di essa: la differenza è data da come la disabilità grave viene vissuta: una situazione con la quale convivere o per la quale vivere.

Convivere con la disabilità grave è fonte di fatica, stress, deterioramento delle capacità mentali e fisiche. In tal senso la mera convivenza con la disabilità grave genera un altro tipo di disabilità all’interno del nucleo familiare. Vivendo invece per la disabilità grave, si trasforma un fattore indubbiamente negativo in qualcosa di potenzialmente persino positivo.
Certamente vivere per la disabilità grave significa in primis vivere per quella persona che è gravemente disabile. Significa poi trasformare la disabilità in interesse di vita, approfondendone la conoscenza di cause ed effetti, studiandone le implicazioni cliniche, sociali, economiche, legali e politiche. Diventare insomma “esperti in disabilità grave”, parlarne, discuterne, scriverne. Proporre punti di vista, interventi, soluzioni. In altre parole, trasformare la disabilità grave in una risorsa per la società, in un laboratorio di ricerche avanzate su come la società potrebbe e potrà essere.
Questo è quello che fanno, talvolta inconsapevolmente, le nostre famiglie e che permette loro di sopravvivere, vivere e talvolta persino vivere bene.

*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).

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