Il cosiddetto “dopo di noi” è un problema nato all’interno delle famiglie e delle associazioni di familiari, un termine che ha come soggetto i genitori e che corrisponde a una preoccupazione che via via diventa angoscia. Si tratta di una domanda che nasce spontaneamente per quei genitori che hanno un figlio con disabilità o una persona che non è in grado di badare a sé, dopo anni in cui lo hanno curato e se ne sono occupati. Essi infatti, all’avvicinarsi di un’età avanzata, si pongono spontaneamente una domanda: «Ma dopo di noi, chi se ne occuperà?». Il peso maggiore resta quindi sulla famiglia.
Il “dopo di noi” è senz’altro frutto di una somma di più problematiche e quindi di aspetti, se si vuole, residenziali, ma anche patrimoniali: di quale risorse potrà usufruire? Chi continuerà ad occuparsi di lui? Dove abiterà e con chi abiterà e in quale situazione? Per le famiglie è importante quindi costituire un punto in cui vengano ascoltate perché ogni caso fa storia a sé e i problemi vanno valutati insieme, per capire su quali intervenire subito e su quali invece più tardi. Infatti, in tanti casi non è possibile dare una risposta veloce. Il familiare stesso, poi, si dice preoccupato, ma non vede il problema come immediato, e allora è necessario trovare delle “chiavi di accesso” a una questione verso la quale l’atteggiamento in genere è quello di rimandare.
Bisogna anche tener presente che è aumentata l’età media della popolazione e in proporzione è aumentata ancora di più l’età media delle persone con disabilità. A questo proposito si deve tendere a una migliore qualità di cure e assistenza, vuoi per accrescere le capacità d’intervento, vuoi anche per un cambiamento di tipo culturale, non vedendo più la persona con disabilità come un “oggetto rotto”, ma considerandolo appunto come una persona sulla quale continuare a intervenire. Conosco ultracinquantenni che hanno problemi di disabilità o che comunque non sono autonomi e fanno dialisi per tre volte alla settimana, quando solo qualche tempo fa neanche i medici ne avrebbero preso in considerazione l’opportunità.
L’altro aspetto, nuovo, è di tipo culturale: il “dopo di noi” non esisteva in quanto c’erano gli istituti, veri e propri centri di reclusione ingiustificata! Un disabile entrava lì e lì finiva la faccenda. Evidentemente un familiare che ha promosso e voluto l’inserimento del figlio a scuola, che ha cercato delle risposte rispetto all’inserimento all’interno di esperienze lavorative e riabilitative e dei servizi, non può più accettare di non avere risposte sul futuro. Se poi a livello nazionale il numero di persone con disabilità non autosufficienti si avvicina al 5% della popolazione, parlando di una città come Bologna – capoluogo della Regione di chi scrive – il problema riguarda sicuramente svariate centinaia di persone e forse anche di più, considerando le situazioni di persone non autonome in generale.
Una questione, dunque, che sembra così individuale, credo possa comunque essere supportata da una coscienza comune e in tal senso è quanto mai utile “sensibilizzare” l’opinione pubblica su questo tema. Da un lato se – come ritengo – la disabilità è un problema sociale, indubbiamente la società ha una responsabilità, deve farsi carico dei problemi delle persone con handicap. E questo non vuol dire delegare dei compiti, ma costruire una serie di livelli intermedi, partendo cioè dal livello istituzionale, con lo stanziamento delle risorse appropriate, ma anche attraverso i singoli cittadini con i loro comportamenti o tramite ad esempio il volontariato.
Su questo aggiungerei che, visto che il “dopo di noi” tocca il tema della non autosufficienza in generale, bisogna essere sensibili nei confronti di questa grande fascia di persone che non ce la fanno a reggere i normali ritmi di vita e necessitano di un aiuto, di un sostegno. L’impegno personale non vuol per forza dire “adottare un disabile”, ma ad esempio rendersi disponibili affinché quella persona – non potendo più contare sul sostegno di qualcuno in particolare – possa affidarsi a qualcun altro. E chiunque potrebbe svolgere questo ruolo.
Bisogna ricordare infine che il problema diventa davvero tale quando si nega l’evidenza che la persona con disabilità non è solo “un malato”, ma una persona costretta a vivere in una condizione svantaggiata ed è dunque necessario o civile permettergli di condurre la sua vita al pari di altri. In tal senso coloro che dopo le prossime Elezioni Amministrative affronteranno un nuovo mandato regionale dovranno riflettere e farsi carico di dare risposte concrete anche a tutte quelle famiglie che pongono l’istanza del “dopo di noi”.
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