Le notizie di cronaca rappresentano, molto spesso, una vera e propria “cartina al tornasole” della nostra realtà, di quel che ci circonda e accade, ossia di quel che avviene attorno a noi. In questi giorni sono due le notizie che, pur nella loro diversità, credo debbano far riflettere.
La prima è stata pubblicata il 30 marzo da «Corriere della Sera.it» [“Francia: due sorelle costrette a viaggiare in treni diversi perché disabili”, disponibile cliccando qui, N.d.R.] e riguarda la Francia: due sorelle con disabilità hanno dovuto viaggiare su due treni diversi, pur dovendosi recare nello stesso luogo alla stessa ora, perché i convogli ad alta velocità hanno solo un posto per persone disabili che viaggiano in carrozzina. Le due ragazze si sono giustamente lamentate perché la loro situazione non dovrebbe precludere il piacere di viaggiare in treno assieme.
L’altra notizia, riportata dall’Agenzia Reuters e ripresa da SuperAbile [“Cina: cento nani impiegati in un parco a tema. Le associazioni insorgono”, disponibile cliccando qui, N.d.R.], informa invece che in Cina è stato creato un parco a tema, chiamato “Il regno della piccola gente”, la cui peculiarità è che le persone che vi lavorano e che vi “danno spettacolo” sono tutte affette da nanismo.
Nel primo articolo, dunque, si mettono in evidenza, ancora una volta, le difficoltà pratiche e oggettive di chi, disabile, deve e vuole viaggiare puntando l’obiettivo su strutture, infrastrutture, decisioni organizzative e gestionali, fino ad arrivare a quelle progettuali, che rendono evidente quanto i limiti dipendano anche dal livello di attenzione che un Paese offre ai cittadini in difficoltà. Nel secondo, invece, si centra e si focalizza un aspetto ben più complesso e, per certi versi, quasi “atavico”: ciò che è “diverso”, chi non è “come noi” – da sempre – attira, incuriosisce. Infatti, sin dai tempi più antichi ci sono giunte notizie di spettacoli o riti che avevano per oggetto persone disabili o semplicemente diverse.
L’ideatore-gestore-finanziatore del parco cinese afferma che, in realtà, il suo villaggio offre a queste persone affette da nanismo l’indipendenza economica e che a suo avviso non si tratterebbe di discriminazione, ma solo di un’opportunità di lavoro.
Credo certamente che la retribuzione e quindi il lavoro siano elementi importantissimi che possono aiutare ad essere autonomi, indipendenti ossia, in una parola, liberi. Quel che tuttavia crea dissonanza nel pensiero e nel cuore di chi da sempre crede nell’importanza dell’uguaglianza delle persone – sia pure con la dovuta attenzione alle difficoltà tangibili e oggettive individuali – è il fatto che, ancora oggi, un parco di questo tipo riscuota tra gli spettatori tanto successo. Lo stesso clamore, ad esempio, che aveva suscitato tempo fa Cast offs, una sorta di “isola dei diversi” di cui si era occupato anche Superando [se ne legga nel testo di Franco Bomprezzi intitolato Quei disabili «scartati» su un’isola deserta, disponibile cliccando qui, N.d.R.].
Ebbene, anni di battaglie e di sacrifici sono stati fatti per arrivare oggi a discutere di integrazione tra persone con disabilità e persone “normodotate”. In tal senso l’aspetto economico è riconosciuto da tutte le associazioni come elemento fondamentale per raggiungere la propria autonomia. E tuttavia, se per centrare questo obiettivo si va contro la dignità dell’essere umano, il suo scopo inevitabilmente finisce per fallire. La retribuzione, e più in generale il lavoro, sono e devono restare dei mezzi per raggiungere un fine non il contrario. E ciò vale per tutti.
È sicuramente vero che ogni Paese ha una sua cultura che va presa in considerazione e rispettata, ma è anche vero che il rispetto dell’individuo – di qualunque individuo – è un valore universale, proprio come lo sono tutti i diritti che ad esso sono sottesi. I temi trattati negli articoli citati – ossia da un lato il diritto all’indipendenza economica e il rispetto di se stessi, dall’altro il diritto a viaggiare e a spostarsi in libertà dall’altro – sono fondamentali, ma credo che sia altrettanto importante osservare in quale modo quel risultato/diritto venga di volta in volta raggiunto. Spetta ancora una volta alla società, e quindi a tutti noi – oltre che a un Paese nel suo insieme – rendere realmente possibile la convivenza di un concetto astratto ma fondamentale, come il rispetto dell’essere umano, con i diritti e i doveri che da esso derivano.