Servirebbe una grande «casa civile»

di Francesco Scarpa
Bene i gruppi, le case-famiglia e altre soluzioni per risolvere il problema del "dopo di noi" riguardante le persone con disabilità, soprattutto mentale o psichica. Ma serve anche e soprattutto una nuova educazione sociale di rispetto verso il "diverso", senza falsi pietismi e senza ipocrisie, partendo dalla scuola e continuando nella diffusione culturale in ambito sociale. Solo così il "dopo di noi" delle persone con disabilità potrà realizzarsi in una società che sia una vera, grande "casa civile"

Uomo di profilo con espressione pensierosaLa più grande preoccupazione dei genitori di un disabile, specialmente se mentale o psichico, è il “dopo di noi”. Che ne sarà di nostro figlio quando noi non ci saremo più? Chi lo accudirà? Chi avrà cura della sua persona e soprattutto del suo esistere? Queste sono domande a cui molti di noi provano a dare una risposta concreta, cercando di organizzare gruppi, case-famiglia e pensando a soluzioni staccate in parte o in tutto dal contesto sociale in cui viviamo e in cui dovrebbero e dovranno vivere i nostri ragazzi.
E tuttavia credo che si debba pensare in tempo anche a un’altra soluzione, che può e deve integrare queste già conosciute e messe in pratica. Quest’altra soluzione è “semplicemente” l’educazione della società al rispetto verso il “diverso”, senza falsi pietismi e senza ipocrisie, cui purtroppo siamo stati abituati da una lunga politica di assistenzialismo economico (neanche tanto mirato) e da una società che pur di non essere “disturbata” dal “diverso” è anche disposta a pagare, costruendo leggi e regole che mirano per lo più ad emarginare ancor di più i soggetti meno uguali degli altri.

Questa educazione deve partire dall’integrazione scolastica dei “normodotati”, non delle persone con disabilità, le quali ultime, a mio avviso, sono le più inclini all’adattamento sociale. È molto frequente, infatti, vedere nelle scuole italiane alunni “normali” che si comportano con una certa superiorità nei confronti di quelli con disabilità, specie se mentale. Tutto questo porta il disabile a rifugiarsi sempre più dentro il mondo particolare che si costruisce, per isolarsi dalle troppe “coccole”, dalle troppe attenzioni che gli vengono rivolte.
Le persone con autismo, ad esempio, vivono in un mondo poco popolato da figure reali e sovrappopolato di figure irreali: perché non possiamo anche noi “normali” entrare a far parte del loro mondo? Bisognerebbe insomma mettere in ballo una concezione del “diverso” un po’ fuori dalle norme: siamo sicuri che sono veramente diversi da noi? O non è che anche noi, tra di noi, siamo tutti diversi e loro sono, tra tutti, quelli “più uguali”, “più nella norma”, cioè normali?

Il dramma che affligge questa società moderna è, secondo me, alimentato dai falsi modelli educativi che ci vengono propinati continuamente attraverso la televisione, internet e altre vie di diffusione culturale, contro le quali non abbiamo alcuna arma di difesa, se non quella di eliminare fisicamente questi mezzi. Ma naturalmente non possiamo mirare a costruirci un mondo perfetto con soli modelli validi e tuttavia dovremmo almeno cercare di filtrare e interpretare le informazioni che arrivano ai giovani, alle nuove generazioni, che sono la base del futuro della società dove dovranno vivere anche i nostri ragazzi.
Elementi culturali propagandati da un certo tipo di personaggi, come quelli che fanno furore in ambienti come Grande Fratello, Amici o le varie Isole dei famosi, contribuiscono letteralmente ad atrofizzare l’umanità innata che c’è nei bambini prima e nei giovani poi. Per questo sarebbe da proporre a chi è al potere di iniziare a fare qualcosa di concreto per una nuova sana educazione della società, partendo dalla scuola, per intervenire poi anche nella diffusione culturale in ambito sociale.
Solo così – penso e credo – i nostri ragazzi avranno la libertà e l’opportunità di vivere in quella grande “casa civile” cui continuiamo ancora a credere, pensando alla società civile, senza essere costretti in spazi e tempi culturalmente ristretti dal finto benessere materiale e morale che vediamo riproposto tutti i giorni dai mass-media.

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