Vita Indipendente per me significa vivere!

di Francesca Penno*
«"Fare Vita indipendente" - scrive Francesca Penno - a volte non è facile e vuol dire anche sbagliare sulla propria pelle, ma è sempre un modo per sentirsi liberi di gestire la propria vita e le proprie scelte. In poche parole significa "semplicemente" vivere!». Il racconto di una donna affetta da una malattia neuromuscolare, che è stata la prima, in Provincia di Alessandria, ad usufruire del contributo per un progetto di Vita Indipendente e che su questa sua esperienza ha anche realizzato un video

Francesca PennoGià nota ai lettori di Superando per la campagna fotografica dedicata alla disabilità e organizzata da lei stessa e dal noto fotografo Giovanni Battista Sambuelli, con il titolo Rifletti (se ne legga cliccando qui), Francesca Penno ha realizzato anche – assieme al regista Luca Castellotti – un documentario della durata di circa venticinque minuti (Libertà vs disabilità) sulla sua esperienza di Vita Indipendente, sui benefìci psicologici e pratici di questo progetto e sul ruolo che ricopre in esso l’assistente personale. Presidente dell’associazione culturale Ars Vivendi, Francesca fa anche parte del Coordinamento del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).
Ben volentieri le cediamo la parola per raccontare la sua esperienza di persona con una malattia neuromuscolare, che è stata la prima nella sua Provincia (Alessandria) ad usufruire del contributo per un progetto di Vita Indipendente.

Ho 25 anni, abito a Felizzano, un piccolo paese in provincia di Alessandria, sono disabile al 100% e affetta da amiotrofia spinale. La scoperta del concetto di “Vita Indipendente” è stata per me abbastanza particolare. Avevo visto infatti il film Più leggero non basta, con Stefano Accorsi e Giovanna Mezzogiorno, in cui lei interpretava la parte di una ragazza affetta da distrofia muscolare, mentre Accorsi era il suo assistente; una storia molto bella, allo stesso tempo toccante e più che altro reale.

“Purtroppo” ero maggiorenne…
Ebbene, dopo aver visto quel film, ho pensato varie volte a una soluzione di questo tipo che mi consentisse una vita più autonoma. Figlia unica e residente in famiglia con i miei genitori, circa sei anni fa, di comune accordo con loro, ho incominciato a informarmi sulla figura di un assistente personale che mi desse la possibilità dell’autogestione. L’ente cui mi rivolsi rispose poco dopo che questo tipo di servizio veniva dato solo a persone minorenni e con un handicap psichico, che si trattava di un supporto alla famiglia e di qualche ora alla settimana a seconda delle altre richieste. “Purtroppo” io ero maggiorenne e ancor peggio non avevo un handicap psichico…
Per un certo periodo, dunque, lasciai perdere, ma capivo che – nonostante l’ottimo rapporto che ho con i miei genitori – ci sentivamo legati l’una agli altri e per certi versi costretti a fare delle scelte per puro dovere. Ritornai quindi alla carica e mi diedi da fare, cercando in internet situazioni simili alla mia, informandomi, parlandone con alcune assistenti sociali. Alla fine sono riuscita ad entrare nel progetto e ora ne usufruisco dal gennaio del 2006.

La prima nell’Alessandrino
Ad Alessandria il Progetto di Vita Indipendente è gestito dal CISSACA, un Consorzio Intercomunale per i Servizi Sociali. Sono stata proprio io il “primo caso” nell’Alessandrino a usufruire di  questo contributo – in base alla Legge 162/98 – che mensilmente mi viene erogato per poter assumere una persona a mio piacimento finalizzata a tale progetto.
È ovvio che la mia disabilità motoria mi porta a dipendere da altre persone e sarà così per sempre, ma la differenza consiste nel fatto che nel Progetto di Vita Indipendente non viene contemplata un’assistenza tradizionale subordinata alla disponibilità degli operatori, bensì alla disponibilità, alle necessità e ai bisogni della persona con disabilità; in altre parole l’assistente ha la funzione di “sdoppiamento” della personalità fisica del soggetto con difficoltà, sostituendolo nelle funzioni quotidiane e contribuendo in tal modo alla sua autonomia.
Certo, inizialmente le difficoltà ci sono state, nonostante desiderassi con forza intraprendere questo cammino, ma a distanza di tre anni il mio bilancio non può che essere positivo.

Gli “scalini” futuri
Quando si hanno malattie come la mia, si è ben coscienti che non si potrà mai fare a meno di qualcuno per muoversi, avere cura della propria igiene, svolgere attività di studio, lavorative, ludiche, quotidiane ecc. Quel “qualcuno”, però, non potranno essere per sempre i genitori. Avvalendosi quindi del Progetto Vita Indipendente, è possibile tagliare quel cordone ombelicale che rischia di diventare “soffocante”.
Il rapportarsi con una persona in precedenza estranea e di punto in bianco dover dirigere tutte le azioni, anche solo a parole, quando i miei movimenti sono minimi, mi ha portato ad avere una maggiore autostima, un accrescimento culturale e un’indipendenza psicologica e materiale. Secondo me “fare Vita Indipendente” mi ha aiutato a sviluppare sempre più la capacità, la necessità e la voglia di pensare a me stessa come a una donna in grado di vivere in maniera indipendente, sentendomi più attiva, partecipe e responsabile della e nella vita, imparando a gestire anche gli “scalini” futuri.
Ho avuto l’occasione e la possibilità di imparare a fare cose quotidiane, forse banali per i “normodotati”, ma importanti per persone come me. “Fare Vita Indipendente” a volte non è facile, vuol dire anche sbagliare sulla propria pelle, ma è sempre un modo per sentirsi liberi di gestire la propria vita e le proprie scelte.

Significa semplicemente vivere
E tuttavia, affinché il Progetto Vita Indipendente sia efficace e utile alla persona con disabilità, è importante instaurare con l’assistente personale che si è scelto un rapporto di massima fiducia e rispetto reciproci. È assolutamente necessario, infatti, che l’assistente rispetti la privacy della persona con cui lavora e si astenga dal dare giudizi morali, pratici o comportamentali riguardanti le scelte prese dalla persona stessa. Metaforicamente, dovrebbe avere il dono dell’”invisibilità” ed essere solo una “presenza” che consente alla persona con disabilità di agire autonomamente, coordinandone le azioni in tutto e per tutto.
In poche parole posso concludere dicendo che Vita Indipendente per me significa vivere! Libera di vivere come meglio mi appaga, sentendomi una persona capace di autogestire le mie idee, le iniziative, le varie azioni e le emozioni.

*Testo già apparso in «DM» n. 170, periodico nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e qui ripreso per gentile concessione.

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