La Magistratura e la Legge 40 sulla Procreazione Assistita

a cura di Barbara Pianca*
È notizia di questi giorni quella riguardante la decisione della Corte Europea di Strasburgo, secondo cui il divieto di fecondazione eterologa (ovvero con l'ausilio del seme di un donatore o dell'ovocita di una donatrice), imposto dalla Legge italiana 40 del 2004, sulla Procreazione Medicalmente Assistita, «contrasta con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo», violando «il diritto al rispetto della vita familiare e quello a non essere discriminato». Una decisione destinata certamente a rinfocolare il dibattito su una norma discussa sin dalle sue origini, che fu anche oggetto di un referendum popolare. In attesa dunque di un'altra ondata di polemiche e di prevedibili ricorsi, vediamo - in questo ampio servizio - quando coppie fertili, ma portatrici di malattie genetiche hanno chiesto nel nostro Paese di accedere alla Procreazione Medicalmente Assistita, ammessa dalla Legge 40 solo in caso di sterilità, e vediamo soprattutto quando e perché la Magistratura ha detto di sì

Silvia e Fabio, genitori di Pietro, scomparso nel 2008, gestiscono il blog «Legge 40 toccala!»Negli ultimi mesi, di fronte al ricorso giudiziario di due coppie – l’una portatrice di distrofia muscolare di Duchenne e l’altra di amiotrofia spinale di tipo 1 (SMA 1) – la Magistratura ha acconsentito alla diagnosi preimpianto, nonostante si trattasse di coppie fertili e pur non essendo questo possibile secondo la Legge 40/04 sulla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA).

Diagnosi preimpianto
Si tratta di un metodo di analisi dell’embrione generato in vitro prima dell’impianto nell’utero materno. Come la diagnosi prenatale in gravidanza, essa indaga l’eventuale presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche, ma, a differenza di quest’ultima – sempre legale – è ammessa solo per le coppie sterili e per quelle dove l’uomo è portatore del virus HIV o di quelli delle epatiti B e C. Tale ammissibilità è stata sancita nel 2008 tramite le Linee Guida applicative della Legge 40. Quest’ultima – va ricordato – disciplina la Procreazione Medicalmente Assistita, definendone significato e applicazione, vale a dire quegli atti medico-chirurgici che favoriscono «la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità umana» non rimuovibili altrimenti. Essa stabilisce quindi le modalità in cui può essere attuata nel nostro Paese.
Si tratta di una legge controversa e contestata prima ancora della sua approvazione, della quale, nel 2005, un referendum tentò di abrogarne alcuni aspetti sostanziali, senza però raggiungere il quorum.

La Corte Costituzionale
Le citate decisioni dei due giudici ordinari di ammettere la diagnosi preimpianto per altrettante coppie non sterili si basa su un’imprescindibile decisione della Corte Costituzionale, l’organo giudiziario che valuta la conformità delle leggi alla Costituzione, abolendone le parti che la contravvengono. Infatti, nessuna norma in Italia può contraddire i contenuti e i princìpi della Costituzione stessa.
Il 1° aprile 2009, dunque, con la Sentenza n. 151, la Corte ha dichiarato l’illegittimità dei commi 2 e 3 dell’articolo 14 della Legge 40, che vietavano la crioconservazione degli embrioni (il loro congelamento) e imponevano un unico impianto di un massimo di tre embrioni. Secondo la Corte, in quei punti la legge entrava in conflitto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione. Con l’articolo 3 – che sancisce il principio di uguaglianza – per violazione del «canone di ragionevolezza», quando si dichiarava da una parte di voler favorire la soluzione di problemi riproduttivi e dall’altra si limitava la produzione degli embrioni al numero di tre, «prescindendo da ogni concreta valutazione del medico sulla persona che intende sottoporsi al procedimento, e preoccupandosi solo di evitare il ricorso alla crioconservazione». Tale contraddizione avrebbe violato il principio di uguaglianza inteso come parità di trattamento, perché una donna fisicamente più forte e sana ha una probabilità maggiore di ottenere una gravidanza con un numero basso di embrioni impiantati (tre, appunto).
Il conflitto con l’articolo 32 della Costituzione – che sancisce il diritto alla salute – sarebbe nato invece dal fatto che i commi 2 e 3 dell’articolo 14 della Legge 40 non tutelavano la salute della donna. Infatti, inserendo in un impianto solo un massimo di tre embrioni, ogni volta che non si fosse riusciti a ottenere la gravidanza (e secondo le fonti scientifiche su cui si basa la decisione della Corte, ciò è «non improbabile»), sarebbe stato necessario ricorrere a un nuovo impianto e le stimolazioni ripetute avrebbero potuto portare alla cosiddetta «sindrome da iperstimolazione ovarica». Ma veniamo alle due decisioni con cui abbiamo aperto il nostro articolo.

Tribunale di Bologna
Martelletto del giudiceUna coppia porta il lutto di un figlio morto all’età di 9 anni a causa della distrofia muscolare di Duchenne. Con l’intenzione di avere un altro figlio, si rivolge a un Centro che applica le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita e chiede la diagnosi preimpianto. Il Centro rifiuta, perché la coppia non è sterile, e questa fa ricorso al Tribunale di Bologna.
Il 29 giugno 2009, dunque, la Sezione I di quest’ultimo, con Ordinanza del giudice Cinzia Gamberini, autorizza la diagnosi preimpianto e la fecondazione assistita. Appoggiandosi alla citata Sentenza della Corte Costituzionale n. 151 del 2009, stabilisce infatti che gli embrioni impiantati debbano essere minimo sei (la precisa scelta numerica andrà poi fatta «in considerazione dell’età e del rischio di gravidanze plurigemellari pericolose»). L’impianto degli embrioni, inoltre, non dovrà essere contestuale e obbligatorio. Sarà  invece possibile (non obbligatorio) congelare un embrione malato e preferire ad esso il trasferimento di un altro sano.
Quanto alla diagnosi preimpianto, il suo divieto «pare irragionevole e incongruente col sistema normativo», scrive il magistrato nelle motivazioni, «se posto in parallelo con la diffusa pratica della diagnosi prenatale, altrettanto invasiva del feto, rischiosa per la gravidanza, ma perfettamente legittima».

Tribunale di Salerno
Una coppia fertile e portatrice di amiotrofia spinale di tipo 1 (SMA 1) con un figlio sano, dopo avere interrotto tre gravidanze per gravi anomalie del feto che secondo la diagnosi prenatale sarebbe nato morto o vissuto per pochi mesi, e dopo avere seppellito una figlia di 7 mesi con la stessa patologia, si rivolge al Tribunale per avere accesso alla diagnosi preimpianto. Con l’Ordinanza del 9 gennaio 2010, prodotta dal giudice Antonio Scarpa, essa ottiene l’autorizzazione.
A questo punto chiediamo all’avvocato Filomena Gallo, vicesegretario dell’Associazione Luca Coscioni, che ha assistito la coppia, di spiegarci il valore dell’Ordinanza. «Ordinanze e Sentenze hanno valore per il caso concreto. La portata generale si ha solo quando si impugna un atto amministrativo e si ottiene una risposta dal TAR, oppure con una Sentenza della Corte Costituzionale. Si tratta di decisioni di cui un giudice ordinario poi non potrà non tenere conto. Invece, Ordinanze e Sentenze creano giurisprudenza e possono venire citate come precedenti nei processi».

Ci saranno delle conseguenze politiche?
«No. I giudici interpretano una norma, non influiscono sul suo cambiamento. Il giudice Scarpa non ha stravolto la norma, ha solo dato un’interpretazione della Legge 40 costituzionalmente orientata. Ha detto che è vero che essa vieta la Procreazione Medicalmente Assistita alle coppie non sterili, ma se questo divieto fosse rispettato, si lederebbe il diritto costituzionale alla salute della donna, citato anche dalla Corte Costituzionale nella Sentenza dell’aprile 2009. Si tratta di un’interpretazione che rinuncia alla tutela assoluta dell’embrione, mediandola con la tutela per la salute della madre».

L'avvocato Filomena Gallo è vicesegretario dell'Associazione Luca CoscioniPerché il giudice ha ritenuto ammissibile la diagnosi preimpianto?
«Nelle motivazioni l’ha equiparata alle analisi cliniche sul feto, che la legge italiana ammette per tutte le donne».

L’Ordinanza è stata contestata dal punto di vista giuridico?
«No. Ci sono state critiche sul piano politico e ideologico. Giuridicamente non è stata commentata da nessuno. È stata vista come una decisione rispettosa delle leggi in vigore nel nostro Stato».

L'”effetto Pietro”
Il dibattito sulla Legge 40 affronta temi delicati e personali. In internet, singoli e associazioni hanno aperto degli spazi dedicati all’argomento. Il blog Legge 40 toccala! è gestito da una coppia di Montebelluna (Treviso), Fabio Callegari e Silvia Poloni, genitori di Pietro, nato il 5 agosto 2007 grazie alle tecniche della Procreazione Medicalmente Assistita, secondo le normative della Legge 40 prima delle Linee Guida del 2008, e quindi senza poter accedere alla diagnosi preimpianto.
In assenza della diagnosi, i coniugi concepirono Pietro nel 2006 e tre mesi dopo il parto, lo scoprirono affetto da una grave forma di amiotrofia spinale di tipo 1, di cui non sapevano di essere portatori sani. Pietro è morto il 22 gennaio 2008, ancor prima di compiere i 6 mesi. I suoi genitori hanno deciso di aprire il blog per condividere la loro storia, per informare altre coppie sullo stesso percorso e per chiedere una modifica della Legge 40.
«Il mondo della fecondazione assistita – ci raccontano – è coperto di tabù. Chi vi accede tende a nasconderlo anche a familiari e amici. Mettersi a disposizione per consigli e confronti ci è sembrato un modo per sostenere altre coppie e favorire un cambiamento rispetto al pudore che accompagna spesso questo processo. Inoltre, vogliamo informare sulla diagnosi preimpianto, che rivela eventuali malformazioni genetiche dell’embrione, così da permettere ai genitori di scegliere consapevolmente, soprattutto quando la malattia è di una gravità tale da portare alla morte il feto in gravidanza o il neonato nei primi mesi di vita. Seguiamo poi il recente dibattito sulla fecondazione eterologa (con seme di un donatore), tecnica ammessa prima della Legge 40. Stanno infatti aumentando i ricorsi che ne chiedono l’applicazione, quando l’uomo è portatore di una malattia genetica».
Da sette mesi Silvia e Fabio sono genitori di Agata Sofia. È stata concepita inaspettatamente, senza il ricorso alla PMA, per la quale stavano per iniziare un ciclo in Belgio, ed è sana. Anche dopo la sua nascita, il loro interesse per la Legge 40 non si è esaurito. Sia per quello che loro chiamano l'”effetto Pietro”, sia perché i due desiderano altri figli e vorrebbero poter essere informati sullo stato genetico dell’embrione.

*Testo già apparso in «DM» n. 170, periodico nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e qui ripreso per gentile concessione.

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