Interprete attento, oltre che animatore vigile e instancabile di quella vera e propria “esplosione” che riguardò il volontariato italiano negli anni Settanta, Luciano Tavazza fu prima fondatore del MoVI (Movimento Volontariato Italiano) – nel 1978 – di cui ricoprì per molto tempo la carica di presidente e successivamente, insieme a Pellegrino Capaldo, ideatore della FIVol (Fondazione Italiana per il Volontariato), con lo scopo di «promuovere, incoraggiare e sostenere il volontariato in tutte le sue forme e in tutti i campi, quale espressione dei principi di partecipazione, solidarietà, sussidiarietà e pluralismo sanciti dalla Costituzione».
A dieci anni esatti dalla sua scomparsa – avvenuta il 30 aprile del 2000 – riceviamo e ben volentieri pubblichiamo il discorso di commemorazione pronunciato dall’attuale presidente del MoVI Franco Bagnarol.
Carissimo Luciano, siamo venuti a trovarti dopo dieci anni che ci hai lasciato. Sembra ieri quando ti abbiamo salutato in San Giovanni nella grande celebrazione del commiato. La stima e l’affetto che tu godevi hanno raccolto in quella chiesa un numero grandissimo di amici, di estimatori e di volontari. Salutavano l’amico, il volontario, il credente, il laico maturo aperto al dialogo e al contempo radicato nella fede cristiana.
Il laicismo e il clericalismo tendono a separare nella vita del cristiano la dimensione ecclesiale da quella mondana. In te, Luciano, le due dimensioni, pur distinte e inconfondibili, erano invece ricondotte ad unità nella coscienza e nell’azione di laico maturo e consapevole che il tuo carisma ecclesiale e il tuo ruolo nel mondo sono l’espressione di un unico principio. L’unità nella distinzione fu per te, Luciano, è stato il criterio che ti ha permesso un recupero di efficacia apostolica, ma anche il perno di una proposta educativa e politica attorno a cui costruire nello stesso tempo l’uomo e il cristiano.
Siamo i componenti del nuovo Comitato Nazionale del MoVI, recentemente eletti. Siamo venuti con un po’ di tremore, perché abbiamo accolto la fiaccola che tu hai acceso ancora nel 1978, che è questa esperienza originale del MoVI. Ci rendiamo ben conto che si tratta di una sfida importante e difficile da continuare a fronte dei cambiamenti epocali intervenuti nella nostra società. Non ci ha spinto solo il bisogno di rendere sempre più vivo il tuo ricordo e la tua intuizione, di dare organicità alla grande forza della solidarietà in Italia. Ci serve, questo essere qui a ricordarti, per ricominciare a ricercare anche noi la sapienza del cuore.
Ricominciare dalla sapienza del cuore
Alla domanda da dove ricominciare, in tempi di emergenza, dentro questo bisogno avvertito e sofferto di aria nuova, la parola di Dio sembra indicare la strada preziosa della sapienza del cuore, che ci faccia sfuggire al fascino triste dell’idolatria e della maschere vuote e sia per noi acqua chiara e dolce, in cui lavare i nostri occhi.
Oggi ce li sentiamo sporcati. Tutti, chi più e chi meno, ce li sentiamo sporcati. Se la sapienza di Dio laverà i nostri occhi, se le beatitudini del monte torneranno a illimpidirli, scopriremo tracce e fessure di speranza là dove i nostri occhi, ammaliati e sedotti dai miti mondani, non sarebbero mai andati a scovarli. Li scopriremo in basso, nelle vene più quotidiane della storia, perché proprio tra i piccoli, per uno dei sorprendenti dirottamenti di Dio, ha cercato rifugio La speranza. Lì, in basso, dove solitamente non guardiamo, accade un germogliare tenero e silenzioso. Noi purtroppo troppe volte guardiamo altrove.
Può capitare dunque di avere occhi e non vedere, dì avere orecchi e non ascoltare, di essere sedotti solo dal luccichio delle grandezze mondane, di avere un cuore che non sa meditare. «Donaci, Signore, la saggezza del cuore». E la saggezza del cuore non ci fa ricercare i segni di speranza in alto, ma in basso.
I segni di speranza
Se la salvezza comincia dal basso, sarebbe stoltezza intestardirci a cercare segni di speranza in alto. Sarebbe, ancora una volta, «confidare» – dice la Bibbia – «nei carri e nei cavalieri». Mentre noi – dice ancora la Bibbia – «invochiamo il nome del Signore, nostro Dio» (Sai 20,8). In chi confidare? Nella corazza e nelle vanterie di Golia o nelle poche pietruzze del torrente nelle mani di un Davide disarmato?
I segni della speranza sono in basso, segni spesso piccoli, ma teneri, tenaci, come germogli. Lontani dal clamore, ma vivi nei solchi oscuri della storia, nei territori dove ogni giorno, come volontari, ci sporchiamo le mani.
Segno di speranza la Parola di Dio che ci illumina e il Pane che ci ha nutrito, i fratelli e le sorelle con cui abbiamo camminato. Segno di speranza questo disagio patito, nel più profondo del cuore, da una moltitudine numerosa di credenti, nei confronti di una Chiesa che, nella sua immagine prevalente, non rare volte appare più preoccupata dì sé che del suo Signore e del suo vangelo, più preoccupata dei suoi cenacoli che non delle strade su cui farsi compagna di viaggio delle donne e degli uomini del nostro tempo.
Segno di speranza donne e uomini comuni, gruppi senza nome, nonostante tutto, mettono in gioco la loro fede e la loro responsabilità a servizio di un piccolo seme che cresce nel silenzio e nell’invisibilità della terra e che sì chiama «regno di Dio». Segno di speranza ogni volta che incroci il loro volto. Segno di speranza sono gli occhi luminosi dei nostri bambini e quelli sereni dei nostri anziani. Sono le creature che tu ami, gli amici che ti sono fedeli. Segno di speranza le donne e gli uomini in ricerca, lontani da intrighi e compromessi, le donne e gli uomini del gratuito e del volontariato in una società dove tutto si compera e si vende, dove, se ci si muove, è per un tornaconto, loro liberi da calcoli e da secondi fini, Loro, testardi nel riunire, nel «mettere insieme» in una società che vorrebbe contrapporre e dividere.
Segno di speranza le case e i luoghi educativi dove si generano e si educano donne e uomini resistenti, critici e solidali. Là dove si persiste a insegnare che l’onestà è ancora una virtù, che la giustizia è ancora una virtù, che il rispetto è ancora una virtù. E non nel senso del peso che ti affatica, ma della bellezza, tua e dell’umanità, della bellezza che rende luminosi i volti. Onestà, giustizia, rispetto che vanno onorati. Ci rendono belli. E luminosi. Rendono bella una terra. Là dove ancora si insegna che veramente grande e bello e beato è chi resiste all’involgarimento. E resisti perché tu della dignità hai una idea diversa, così come hai un’idea diversa dell’altro, che sia italiano o marocchino. Della donna hai un’idea diversa, che sia italiana o slava o africana. Del corpo hai un’idea diversa, che sia di un uomo o di una donna. Del denaro e del lavoro, della società e della terra, del tuo popolo e degli altri popoli, della vita, hai un’idea diversa. E non la baratti. E non la cambi secondo che l’aria dei sondaggi spinga in un senso o nell’altro. Non la cambi. Perché tu il sondaggio lo fai nella coscienza. E a condurti è questa voce che ti parla dentro. A condurti – se sei un credente – è la parola del tuo Dio. Che non può benedire menzogna e falsità, corruzione e vanità. Perché tu hai un’altra immagine di umanità e hai, se credi, un’altra immagine di Dio. Che non muta al mutare dei sondaggi.
Uno sguardo positivo
A ridare fiducia al nostro cammino c’è la percezione di un sommerso che non appare, dove Dio è al lavoro. C’è bisogno di questo sguardo di Dio, positivo, che crede in una forza divina che abita le piccole cose, che abita il piccolo seme di senapa, che abita il piccolo grumo di lievito. C’è bisogno di questo sguardo positivo di Dio che sa dare tempo alle crescite dello spirito e della terra.
Forse dovremmo ricordare più spesso a noi stessi che a dare forza al bene, in noi e nel mondo, non sarà mai uno sguardo che incenerisce, quello è solo distruttivo, ma uno sguardo positivo e incoraggiante che sa incantarsi oggi ai piccoli germogli. A volte per eccesso di distrazione e pessimismo non li vediamo. Vengono allora a noi le parole custodite nel rotolo di Isaia: «Ma voi non avete occhi se non per i tempi gloriosi del passato, per i tempi dell’esodo, quando aprivo un sentiero in mezzo alle acque possenti. Ma non vi accorgete di quello che oggi – “oggi!” – sto facendo?». Rimprovero che ci tocca nella carne.
Ed ecco l’invito, da ascoltare, penso sia urgente: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non vi accorgete?» (Is 43,18-19). Non vi accorgete? Dove avete gli occhi?
Avere da un lato occhi all’azione di Dio nella storia e dall’altro fare la nostra piccola parte, dare il nostro contributo, il contributo, in tempi di abbrutimento, a «salvare un piccolo pezzo di Dio in noi e a disseppellirlo nei cuori devastati», può diventare il sentiero da intraprendere.
Questo hai fatto tu nella vita Luciano, questo vorremmo continuare a fare sul tuo esempio.
*Presidente nazionale del MoVI (Movimento di Volontariato Italiano). Discorso pronunciato in commemorazione di Luciano Tavazza a dieci anni dalla sua morte (30 aprile 2000).