Malattie metaboliche rare: lo screening va eseguito su tutte

Ci sono «pretesi ed errati motivi etici» - secondo le Associazioni che contro di essa hanno presentato un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale - alla base di quella Delibera di Giunta dell'Emilia Romagna che ha limitato a ventitré le patologie metaboliche rare sulle quali sarà possibile effettuare lo screening neonatale, togliendone molte altre, «per risparmiare ai genitori un dolore diagnostico inutile», dal momento che per esse «non esiste la cura». Secondo i ricorrenti, invece, si tratta di una limitazione «inammissibile e ingiusta», perché «espropria i genitori dal diritto costituzionalmente garantito di conoscere la diagnosi e toglie loro la facoltà di determinarsi liberamente e consapevolmente nella procreazione di nuovi figli», oltre a provocare disagi e costi supplementari e comprimendo la stessa ricerca sulle terapie farmacologiche nel campo delle Malattie Rare

Neonato fotografato in bianco e nero«Fra i diritti dei malati più recentemente calpestati in Emilia Romagna – aveva scritto su queste pagine Carlo Hanau, presidente di FederAMrare (Federazione di Associazioni Malattie rare Emilia-Romagna), oltreché componente della Consulta Nazionale Malattie Rare del Ministero della Salute – dobbiamo annoverare anche quello a conoscere la diagnosi della propria malattia. La Delibera di Giunta Regionale dell’Emilia Romagna n. 107 del 1° febbraio 2010, concernente lo screening delle malattie metaboliche rare nei neonati della Regione, contro l’esplicito parere delle associazioni dei malati espresso nell’aprile del 2008 e riaffermato nel novembre del 2009, segue pedissequamente le indicazioni dei suoi “medici paternalisti”. Questi ultimi hanno impiegato ben diciannove mesi per discutere – escludendo deliberatamente la partecipazione delle associazioni e del CCRQ [Comitato Consultivo Regionale per il Controllo della Qualità, N.d.R.] – e rispetto allo screening che avviene da ben sei anni in Toscana su quaranta patologie metaboliche rare, ne hanno tolte diciassette. La motivazione addotta è stata che in questo modo si risparmierebbe ai genitori un dolore diagnostico inutile, in quanto per quelle diciassette patologie (quasi sempre mortali o gravemente invalidanti) non esiste la cura» (il testo integrale di quell’articolo è disponibile cliccando qui).

Oggi quella posizione critica diventa la base per un’azione legale (patrocinata dagli avvocati Giancarlo e Giorgio Muccio), dopo che l’AISMME (Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie), l’ANFFAS di Bologna (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), l’ANGSA di Bologna (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici), la già citata FederAMrare, la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e il Tribunale della Salute hanno presentato un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) dell’Emilia Romagna contro quella Delibera n. 107 – prodotta dalla precedente Giunta Regionale – che ha disposto la spettrometria di massa sulle malattie metaboliche rare, definita Tandem Mass, limitata appunto a ventitré patologie.
«Quel provvedimento regionale – dichiara Hanau – è molto grave perché limita detto screening, per pretesi ed errati motivi etici (quelli di non creare “ansie” alle coppie), a un ristretto numero di patologie, mentre la costosa, apposita apparecchiatura collocata presso l’Ospedale Sant’Orsola-Malpighi di Bologna e il relativo software consentono di eseguirne un numero molto maggiore e di gestirne i risultati, come avviene ad esempio in Toscana, in Umbria, nel Veneto e in Liguria)».

«Tale limitazione – sottolinea ancora Hanau – è inammissibile e ingiusta perché mancando di informare le coppie genitoriali dalle eventuali Patologie Rare riscontrate nei loro neonati, le espropria di fatto dal diritto inalienabile e costituzionalmente garantito di conoscere la diagnosi, strettamente legato al diritto alla salute di cui all’articolo 32 della Costituzione; toglie inoltre alle coppie stesse la facoltà di determinarsi liberalmente e consapevolmente nella procreazione di nuovi figli, che avrebbero probabilità maggiori dell’ordinario di essere portatori della stessa malattia che presenta quel nato; e ancora, provocherà – al momento in cui la malattia si manifesterà – la necessità di effettuare indagini diagnostiche esplorative, non mirate, potenzialmente inutili e costose, con disagi e costi supplementari per le famiglie e per lo stesso Servizio Sanitario; limita infine, per effetto della così provocata compressione della conoscenza della base epidemiologica delle patologie, la stessa ricerca medica e biomedica sulle terapie farmacologiche nel campo delle Malattie Rare». (S.B.)

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