Dopo trent’anni al montaggio dei circuiti elettrici delle locomotive alla Brown Boveri di Savona, hanno deciso di andare a godersi la meritata pensione nelle amene terre della Riviera di Levante o nelle campagne dell’entroterra ligure.
Giovanni e Claudio (nomi di fantasia) sono due operai che, come tanti dalle loro parti, una volta andati in pensione quattro anni fa, hanno preferito lasciare la città per una vita più serena e in qualche modo più adeguata all’incedere dell’età. Anche le loro carriere lavorative non sono state diverse da quelle dei loro colleghi, se non per un piccolo particolare: quel cromosoma in più che caratterizza le persone affette da sindrome di Down. A parte questo si tratta di lavoratori come tutti gli altri e, tutto sommato, neppure tanto speciali, dal momento che sono tante le persone Down che svolgono regolarmente un lavoro. Insomma, non uno stage o una borsa lavoro, ma un impiego vero e proprio, di quelli che oggi quasi non si trovano più, con tanto di contratto a tempo indeterminato, contributi pensionistici e TFR.
Su questa linea si muove il Centro Italiano Down ONLUS (CEPIM) di Genova che da oltre trentacinque anni si occupa di favorire l’integrazione e la vita indipendente delle persone con sindrome di Down, con una particolare attenzione al lavoro. «Crediamo nella necessità di assumere una forte identità lavorativa e siamo fortemente contrari a qualunque forma di assistenzialismo», spiega il direttore scientifico dell’associazione Aldo Moretti. «Non vogliamo che i nostri ragazzi vivano in una nicchia protetta, ma che comprendano a pieno che nel lavoro ci sono sia diritti che doveri».
Questa idea della centralità del lavoro ha fatto sì che il CEPIM seguisse passo passo non solo l’inserimento, ma anche lo svolgimento e il mantenimento dell’attività lavorativa nel corso degli anni successivi. «Attraverso un costante servizio di monitoraggio e accompagnamento – prosegue Moretti – siamo riusciti a prevenire eventuali situazioni di rischio. Ma abbiamo anche avviato percorsi congiunti con i sindacati, nell’ottica di offrire una formazione continuativa ai giovani lavoratori».
I risultati di tale impegno non si sono fatti attendere e sono tante le aziende pubbliche e private che hanno deciso di assumere lavoratori Down, con reciproca soddisfazione di entrambi. Alcuni lavorano nelle cooperative sociali di tipo B, ma molti sono impiegati nel settore dell’industria e del terziario: si va dalle aziende dei trasporti pubblici all’ospedale, dall’Università al supermercato, dalle assicurazioni all’Agenzia per le Entrate.
Enzo (ancora un nome di fantasia) lavora come magazziniere all’AMT, l’Azienda Pubblica per la Mobilità e i Trasporti di Genova. «Fa una vita completamente normale – racconta il direttore scientifico del CEPIM -, ha ormai una professione perfettamente equivalente a quella dei colleghi e ha anche avuto alcune promozioni».
Per non fare tardi al lavoro che comincia alle 7.30 del mattino, Enzo si sveglia ogni giorno alle 5.30. «Abita dall’altra parte della città e per raggiungere la sede dell’ATM è costretto a prendere vari mezzi di trasporto». Ma il lavoro è il lavoro, anche quando comporta qualche sacrificio. «Se qualcuno gli levasse la sindrome di Down con la bacchetta magica – conclude Moretti – si troverebbe di fronte un lavoratore esattamente come tutti quanti gli altri».
*Testo pubblicato da «Redattore Sociale», con il titolo di In pensione i primi lavoratori down, qui ripreso, con lievi adattamenti, per gentile concessione.
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