Sabato 29 e domenica 30 maggio a Ravenna avrà luogo la quarta sessione di formazione – questa volta dedicata alla disabilità psichica – del corso nazionale di formazione per guide e istruttori subacquei della Lega per le Attività Subacquee dell’UISP (Unione Italiana Sport per Tutti).
Si tratta di una delle rare occasioni nelle quali un ente per la promozione sportiva, rivolto alla generalità della popolazione, investe nella formazione, con il fine dell’inclusione delle persone con disabilità nello sport per tutti. Negli incontri già realizzati del corso, sono state affrontate problematiche riguardanti la pratica della subacquea per le persone con disabilità fisiche e il lavoro con i bambini e con le persone con deficit visivo. Ciò anche attraverso attività ed esercitazioni laboratoriali e in piscina. Il training proseguirà con la formazione degli istruttori sportivi all’inclusione delle persone con disabilità psichica e si concluderà affrontando l’universo dello sport integrato con le persone anziane.
Il progetto – che si chiama Sub…normali o Divers…abili??? – è in sostanza un’iniziativa di formazione di istruttori e guide subacquee della Lega Sub UISP, una “didattica” della subacquea [si veda oltre per la spiegazione del termine “didattica” in questo contesto, N.d.R.]. Esso mira allo sviluppo e alla diffusione nei comuni circoli subacquei di competenze tecniche e capacità di inclusione sociale rivolte alle persone con disabilità, agli anziani e ai bambini. Il percorso formativo si propone infatti di formare educatori-guide subacquee che abbiano competenze tecniche e che sappiano favorire una cultura dell’inclusione nelle scuole sub e nei circoli. «L’idea guida non è quindi inventare nuovi brevetti, ma formare ed educare allo sport integrato, guardando ogni uomo per la dignità del suo essere tale e non per le prestazioni che può dare». Una finalità ulteriore è quella che i partecipanti a questa formazione acquisiscano competenze trasferibili anche in altri ambiti dello sport per tutti.
I vari coordinamenti regionali, attraverso le scuole e i circoli della Lega Sub, stanno collaborando sia ospitando a turno le varie sessioni di formazione, sia partecipando con propri istruttori appartenenti alle realtà locali, in modo che alla fine del progetto le competenze siano disseminate sul territorio nazionale. Gli istruttori e le guide – che sono allievi del corso e che a turno ospitano nella propria Regione o vengono ospitati dai colleghi – costituiscono un unico gruppo itinerante in formazione.
Il calendario delle lezioni ha finora visto il corso svolgersi il 27 e 28 febbraio a Marina di Carrara (Massa Carrara), il 20 e 21 marzo a Rosignano Solvay (Livorno), il 24 e 25 aprile a Otranto (Lecce). Si proseguirà, come detto, il 29 e 30 maggio a Ravenna, il 19 e 20 giugno a Trento e si terminerà il 17 e 18 luglio ancora a Ravenna.
La subacquea per tutti
La subacquea in Italia ha subìto un’espansione notevole negli ultimi vent’anni. Si sta andando verso le caratteristiche di un’attività a larga diffusione, connotata da aspetti più ricreativi che sportivi, intesi nel senso classico del termine. Lo svolgimento delle attività subacquee è possibile anche da parte di molte persone con disabilità, in quanto l’idoneità fisica a questa pratica sportiva – precisata dalle varie normative sanitarie regionali – fortunatamente prescinde dalla presenza di alcune patologie invalidanti, come l’assensa della vista o di un arto, mentre, di contro, alcuni piccoli o grandi malanni della popolazione generale, come ad esempio un asma bronchiale o una sinusite mal curata, la renderebbero impraticabile.
L’attività subacquea amatoriale è molto lontana dalla pratica degli sport agonistici, non essendo caratterizzata da competizioni, né a squadre, né individuali. Per questa sua prerogativa, essa si presta alla pratica integrata e inclusiva tra le persone con disabilità e gli altri subacquei, in quanto non è necessario selezionare squadre od organizzare gare tra persone con capacità fisiche equivalenti. Per tutti questi motivi, praticare la subacquea è senz’altro possibile, con adattamenti, a seconda delle condizioni fisiche individuali.
Dal punto di vista sociologico, negli ultimi vent’anni in Europa si è avuto il passaggio da un’attività per “pochi coraggiosi”, caratterizzata dall’altissima prestazione, derivante dalla tradizione degli antichi sommozzatori profondisti corallari del Mediterraneo, con lo spostamento verso un’attività ricreativa, legata al tempo libero e alle vacanze, alla pratica della fotografia, dell’archeologia o della biologia marina, ecc. Osservando il fenomeno, si vede quindi come l’interesse si sia spostato dal piano atletico a quello ricreativo.
Esiste poi un vantaggio secondario di evidente ordine psicologico, relazionale e sociale nella pratica della subacquea; per iniziare dall’ovvio, per praticare un’immersione occorre andare al mare oppure al lago e quindi spesso ciò comporta partecipare a una gita, sia essa di una sola giornata o di un fine settimana, oppure si parte per un viaggio di un’intera settimana (o più) di vacanza. Inoltre, si può frequentare uno dei tanti circoli ricreativi subacquei, contesti nei quali le persone sono accomunate dalla passione per la subacquea e organizzano escursioni di vario tipo, associate anche ad altre attività non necessariamente in ambiente “umido”, come serate a tema, conferenze o semplicemente una pizza tra amici.
E ancora, le persone usano spesso praticare alcuni allenamenti in piscina con periodicità. Tutto questo determina una moltitudine di relazioni sociali e scambi interpersonali, connessi ad attività varie, favorisce un’organizzazione costruttiva e positiva del tempo libero, stimola l’interesse per nuovi luoghi e nuove culture. Dal punto di vista fisico, praticare un’attività sportiva è anche un ottimo motivo per avere un rapporto migliore con la propria fisicità, accudire la propria salute generale, avere cura del proprio corpo, apprezzarlo nelle sue possibilità e percepirlo non solo come il luogo di patologie e deficit, ma anche come fonte di piacere e soddisfazione.
Ebbene, questa attività è stata oggetto di un ulteriore cambiamento, anche da quando le persone con disabilità, attratte dall’interesse verso il mare e verso questa disciplina, hanno iniziato a praticarla. Dapprima si è trattato di casi sporadici, opportunamente accompagnati dal clamore e dai sensazionalismi mediatici, episodi in cui il subacqueo disabile veniva ancora una volta ammantato di “specialità” e “diversità”, proprio perché praticava qualcosa di ben lontano dall’immaginario collettivo del disabile “ammalato, pauroso e bisognoso”. In seguito nel mondo – e dunque anche in Italia – sono nate alcune scuole specializzate nella brevettazione subacquea per disabili e organizzazioni per la pratica subacquea rivolta alle persone con disabilità.
Dobbiamo moltissimo a queste didattiche, perché indubitabilmente hanno dimostrato in modo affidabile che le persone con disabilità motoria o sensoriale possono praticare con piacere e sicurezza questa attività. Pertanto la conoscenza di tale opportunità è ormai abbastanza diffusa tra i medici sportivi, se ne parla talvolta anche nelle riviste specializzate di subacquea e gradualmente le competenze necessarie affinché ciò possa avvenire si stanno diffondendo nell’ambiente.
Non sempre però è noto alle persone con disabilità e ai contesti associativi da loro frequentati, che tutto ciò è possibile. In effetti, il problema è che non esiste una capillare diffusione delle competenze tecniche e di inclusione sociale all’interno delle normali strutture nelle quali si insegna e si pratica la subacquea. Proprio questo è il motivo per il quale molto spesso una persona con disabilità non trova nel proprio territorio di vita un’immediata apertura alle proprie richieste di partecipazione ad attività sportive e ricreative integrate. Ancor più rare sono le occasioni nelle quali le persone con disabilità vengono coinvolte con proposte di partecipazione allo sport per tutti da parte delle normali agenzie sportive, così come si potrebbe fare con qualsiasi altro cittadino.
Inclusione: che fatica!
Per continuare questo nostro discorso, è utile chiarire che lo scenario della subacquea amatoriale e ricreativa per la generalità della popolazione è in maggioranza affidato a varie società private, gergalmente chiamate “didattiche”, riunite a livello internazionale in una confederazione mondiale, la CMAS (Confédération Mondiale des Activités Subaquatiques), fondata nel gennaio del 1959 a Monaco, durante il Congresso Internazionale di tutte le organizzazioni operanti nelle discipline subacquee, per volere di alcune Federazioni e Associazioni di Germania, Belgio, Brasile, Spagna, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Malta, Principato di Monaco, Paesi Bassi, Portogallo, Svizzera e Jugoslavia. La CMAS è membro dell’Unesco e riconosciuta dal CIO (Comitato Olimpico Internazionale).
Alcune di tali società sono di tipo commerciale e altre sono senza scopo di lucro. Esse certificano corsi di subacquea, i quali sono concepiti secondo livelli di destrezza e abilità successivi. I corsi sono realizzati da istruttori autorizzati da quella specifica didattica, che operano come professionisti privati o dipendenti da centri organizzati. Essi pagano alla didattica stessa un fisso per la brevettazione dei loro allievi. I corsi terminano con una certificazione di competenze e infine con la consegna di un brevetto.
I brevetti, pur essendo spesso emanati da organismi del tutto privati, rappresentano una sorta di certificazione riconosciuta della capacità di una persona di svolgere l’attività subacquea secondo determinate condizioni, chiamate “standard”. Le didattiche – oltre a brevettare subacquei amatoriali – formano professionisti, ad esempio Istruttori, cioè coloro i quali insegnano nei corsi ed erogano brevetti. Sempre le didattiche formano e certificano anche le guide altrimenti dette Dive Masters, cioè professionisti nel turismo subacqueo, accompagnatori di turisti in immersioni ricreative, organizzate dalle singole guide o da centri subacquei.
Tutte queste, quindi, sono considerabili come attività commerciali di tipo turistico e ricreativo aperte al pubblico, sottoposte al diritto nazionale ed europeo e – territorialmente – alle leggi regionali, alle disposizioni delle Capitanerie di Porto nelle acque di pertinenza delle zone nelle quali le immersioni vengono svolte e alle eventuali leggi di tutela degli ambienti marini, qualora l’immersione si debba svolgere in un’area protetta.
Il possesso di un brevetto riveste un’importanza concreta, in quanto la massima parte delle legislazioni dei paesi industrializzati prevede che le attività commerciali turistiche consistenti in escursioni subacquee guidate si possano realizzare a patto che il cliente da accompagnare sia in possesso di un brevetto riconosciuto. L’attività delle didattiche, pertanto, come qualsiasi altra attività aperta al pubblico, dovrebbe essere improntata ai principi della non discriminazione e delle pari opportunità, tanto più che il possesso di un brevetto è, anche in Italia, il prerequisito per l’accesso a questo tipo di servizio turistico, sportivo e ricreativo.
Lascio il commento e l’approfondimento di questo aspetto a chie è più esperto di me su tematiche giuridiche. Personalmente questo discorso mi è utile per spiegare quanto sia importante promuovere e valorizzare le attività di inclusione sociale da parte delle didattiche.
Da qualche anno, dunque, alcune di esse stanno iniziando a farlo, giacché cominciano a considerare la possibilità di includere le persone con disabilità nelle loro attività normali, senza necessariamente delegare a organizazioni specializzate l’insegnamento della subacquea e quindi la successiva pratica di questa attività; è ovvio, pertanto, che la brevettazione dei disabili nelle didattiche comuni e il potenziamento della loro presenza e inclusione sociale nei circoli subacquei, sia qualcosa che contribuisce non poco alla loro qualità della vita, così come succede per qualsiasi altra persona che abbia una passione e desideri coltivarla insieme agli amici.
A qualcuno tale discorso potrebbe sembrare ovvio e banale – e probabilmente lo è anche – perché sarebbe come “scoprire l’acqua calda”, come ammettere che è positivo includere i disabili nelle classi comuni delle scuole e delle università. Tutto ciò, quindi, sarebbe ovvio e scontato, visto nell’ambito di un modo di pensare nel quale l’inclusione sociale è tacitamente un obiettivo da perseguire. Fino ad ora, però, le didattiche comuni hanno per lo più delegato a scuole e didattiche subacquee specializzate sull’handicap la brevettazione delle persone con disabilità.
Ciò è comprensibile – come ho spesso modo di specificare – perché “l’inclusione non è gratis”, ossia reca in sé un certo costo (oltre che naturalmente un vantaggio). Sappiamo che esiste tutto il peso del dover modificare le proprie attività in termini strutturali e organizzativi, oltre che la propria visione della vita, in ragione del fatto che esistono persone con diverse capacità fisiche. Tutto ciò non è né comodo né facile, ma ricordiamoci sempre che stiamo parlando di una disciplina non agonistica e di carattere ricreativo e amatoriale.
Sappiamo tutti che la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, all’articolo 30 (comma 5: «Al fine di consentire alle persone con disabilità di partecipare su base di uguaglianza con gli altri alle attività ricreative, agli svaghi e allo sport, gli Stati Parti adottano misure appropriate per: a) incoraggiare e promuovere la partecipazione più estesa possibile delle persone con disabilità alle attività sportive ordinarie a tutti i livelli; […] e) garantire che le persone con disabilità abbiano accesso ai servizi forniti da coloro che sono impegnati nell’organizzazione di attività ricreative, turistiche, di tempo libero e sportive») individua il diritto alla pratica dello sport come una delle aree fondamentali dell’inclusione sociale. Le didattiche operanti in un Paese che abbia firmato quel documento possono derogare a questo principio? Secondo me no, e ciò al di là di ogni sensazionalismo, senza considerare né eccezionale né speciale né spettacolare la formazione di un disabile sommozzatore e la sua conseguente partecipazione alle attività piacevoli di questa disciplina.
Nel panorama italiano alcuni disabili sono stati già brevettati da didattiche comuni, ma ciò ha rappresentato il più delle volte un’eccezione, derivata dalla forte caparbietà di alcuni istruttori i quali, personalmente, si sono presi la responsabilità di certificare la competenza delle persone. Di fatto il tema della modificazione degli standard delle varie didattiche rimane un problema aperto. Infatti, la stragrande maggioranza delle didattiche, implicitamente, discrimina le persone con disabilità, quando presume la capacità di vedere, di sentire, di muovere gli arti in una certa maniera, di svolgere un determinato esercizio in uno specifico modo, di farlo in alcuni tempi, eccetera, eccetera.
A pensar male, si tratta di standard realizzati per lo più in altri tempi, spesso copiati e ricopiati al fiorire di nuove sigle, senza pensare minimamente alle possibili diversità tra le persone. Ma adesso, anche dopo la legge italiana “antidiscriminazione” (Legge 67/06, Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni: articolo 3: «Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone») il problema sta giungendo al pettine. Si può considerare un’azione discriminatoria il fatto che le didattiche non considerino ancora nei loro standard le differenti condizioni fisiche delle persone e presuppongano che siano tutte esenti da menomazioni e disabilità?
Nella storia delle attività sportive e ricreative, si può assistere a un progressivo allargamento della loro fruibilità da parte di una gamma sempre più ampia ed eterogenea di persone. Si possono individuare molte motivazioni alla base di questo fenomeno, tra cui una crescita culturale, alcune importanti modificazioni dello stile di vita, l’allungamento della vita media, l’aumentare della diffusione nella popolazione generale di stati patologici invalidanti che – pur non portando alla morte – condizionano in maniera negativa il funzionamento globale della persona.
Oggi siamo tutti più consapevoli che la diversità di capacità o di quantità di salute tra le persone non determina necessariamente una diversità dei loro bisogni, quanto piuttosto un’altissima diversificazione delle modalità con le quali essi possono soddisfarli. In questo cambiamento sono inclusi anche l’aumento della domanda da parte delle persone disabili di svolgere attività “non strettamente necessarie” o legate alla cura di malattie, ma derivanti dalla tendenza verso un alto livello di qualità della vita, come le altre persone.
Mentre lo sport inizialmente era praticato dalle persone con disabilità perché se n’era accertato il ruolo benefico e riabilitativo, adesso viene inteso non solo come una cura, ma con le stesse motivazioni e aspettative con le quali lo praticano le persone non disabili. Ma lo sport e il tempo libero sono àmbiti che devono evolversi ancora molto per poter rispondere a questi mutamenti.
*Psicologa e psicoterapeuta, esercita la professione clinica, è formatrice in Psicologia dello Sport e consulente per lo sport e il turismo accessibile.
Le immagini a corredo di questo servizio sono tratte dal libro di Aldo Torti, Subacquea & Disabilità. Guida all’immersione per persone disabili, per gentile concessione di HSA Italia (Handicapped Scuba Association International).
– Aldo Torti, Subacquea & Disabilità. Guida all’immersione per persone disabili, Milano, NADD Europe, 1994.
– Giulio Nardone, Maria Luisa Gargiulo, Sott’acqua con un cieco, Roma, CSSI (Cooperativa Sociale Servizi Integrati), 1999.
– Diego Polani, Psicologia dell’immersione, Firenze, Editoriale Olimpia, 1999.
– Gaetano Venza, Salvatore Capodieci, Maria Luisa Gargiulo, Girolamo Lo Verso, Psicologia e psicodinamica dell’immersione subacquea, Milano, Franco Angeli, 2006.
– Manrico Volpi, Il mare da toccare. Guida all’immersione subacquea dei non vedenti. Per una nuova filosofia didattica della disabilità, Firenze, Editoriale Olimpia, 2007.
– Vittorio Gazale, Aldo Torti, Claudia Porcu, Tutti al mare. Subacquea e disabilità in Sardegna, Cagliari, CUEC (Cooperativa Universitaria Editrice Cagliaritana), 2008.
Per una rassegna di articoli on-line dedicati alle implicazioni psicologiche dell’attività subacquea, si può visitare l’area dedicata a questa disciplina del portale Psychomedia, cliccando qui.
Per ulteriori informazioni sul progetto dell’UISP Sub…normali o Divers…abili???: tel. 328 2277829 (Graziano Demarchi).