La lunga battaglia per la domiciliarità – e per domiciliarità intendiamo il diritto delle persone con disabilità anche gravissima di vivere a casa propria e di non essere “istituzionalizzate” od ospedalizzate – il 26 maggio, a tarda notte, ha avuto uno sponsor, forse involontario, nel ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Maurizio Sacconi, il quale su Raiuno, durante il programma di Bruno Vespa Porta a porta, ha tranquillamente dichiarato che le persone non autosufficienti assistite a domicilio «costano un settimo di quanto costerebbero se fossero ospedalizzate».
A questo punto viene spontaneo chiedersi come mai allora la domiciliarità dell’assistenza, con un sì alto patrocinio, non sia nei fatti adeguatamente finanziata. Adeguatamente appunto. Se infatti il metro di giudizio del “minor costo” o del “maggior ricavo” viene tranquillamente usato per giustificare le più rocambolesche invenzioni per favorire l’impiego in Italia di capitali provenienti da Paesi con “singolari” regolamentazioni fiscali, perché non applicarlo, ad esempio, destinando alle famiglie metà del risparmio ottenuto quando non si ospedalizza chi può starsene a casa – se debitamente assistito – e usando l’altra metà come contributo delle persone con disabilità per aiutare il nostro Paese in un frangente così difficile? (Giorgio Genta – Federazione Italiana ABC – Associazione Bambini Cerebrolesi).
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