Che senso ha stare insieme se alla prima crisi le nostre migliori intenzioni e i progetti per il futuro si dissolvono come neve al sole? Che Governo è quello che per non precipitare nell’abisso della crisi dei mercati finanziari getta fuoribordo la “zavorra dei non produttivi”, di coloro che non contribuiscono a far decollare il Prodotto Interno Lordo? Che impediscono – secondo una visione distorta del bene comune – di rientrare tempestivamente nei parametri stabiliti dall’Unione Europea? Poco importa se in questo caso la popolazione dei “nominati”, protagonisti inconsapevoli di questo “reality da macelleria sociale”, sia costituita per la maggior parte da chi darebbe l’impossibile per avere una vita normale, come quella dei propri coetanei.
Una vita che permetta di ottenere un diploma, di trovarsi un lavoro e di farsi una famiglia. Tutto questo non è consentito alle persone con disabilità intellettiva e relazionale che nella maggioranza dei casi versano in situazione di handicap grave, come coloro che sono affetti da autismo. La loro condizione di svantaggio è superabile solamente se il contesto in cui vivono si adatta e modifica per diventare comprensibile e accessibile al loro modo di interagire con l’ambiente e con le persone che in esso vivono.
Un percorso in salita fin dalla nascita, quando si manifestano i primi segnali di compromissione delle capacità relazionali e che richiede una diagnosi precoce che permetta l’avvio di programmi educativi speciali e tagliati su misura, volti a insegnare passo-passo le abilità che tutti gli altri bambini imparano spontaneamente e che limitino o prevengano lo svilupparsi di un deficit intellettivo. Un percorso molto oneroso anche sul piano personale, che grava per la maggior parte sulla famiglia e che le provvidenze economiche riconosciute in quanto persone non autosufficienti compensano solo in parte.
Così, fare cassa sulle persone con disabilità, proponendo di innalzare la percentuale di invalidità utile al riconoscimento dei benefìci di legge e tagliando i trasferimenti agli Enti Locali, è doppiamente insopportabile. Perché si individua una categoria di “sub-cittadini” prevalentemente destinatari di diritti a geometria variabile e per lo più assimilati a “parassiti” che nulla portano alla società italiana, anche se sappiamo che la presenza di un ragazzo o di una ragazza con disabilità all’interno di una classe migliora le relazioni tra i pari.
In secondo luogo perché si colpiscono duramente tutte quelle politiche volte a favorire la loro inclusione nella società, che si concretizzano nei progetti del “durante e dopo di noi”. Considerando poi che il risparmio previsto dall’innalzamento della percentuale di invalidità sarà vergognosamente esiguo, nasce il sospetto che ancora una volta si voglia cavalcare l’onda dei falsi miti e dei grandi proclami senza giungere a scalfire il nocciolo della questione della spesa pubblica in relazione agli sprechi che sono sotto gli occhi di tutti.
Fa pensare infine che la maggioranza parlamentare – che si è schierata a favore della vita e ha impedito in tutti i modi la morte per eutanasia – oggi si proponga di spegnere lentamente le persone con disabilità, negando loro un futuro dignitoso. Il tutto nel silenzio dell’opinione pubblica, distolta com’è dalla notizia clamorosa del “cieco sorpreso a leggere”.
Manca solo il coraggio di chiamare la proposta con il suo nome: “soluzione finale” potrebbe andare bene.
*ANGSA Veneto ONLUS (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici). Testo già presente, con il titolo La zavorra viva, nel sito dell’ANGSA Lombardia.
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