Ma l’accessibilità è un termine di moda? Lo è certamente, soprattutto quella intesa come un piccolo scivolo che elimini l’impercorribilità di alcuni gradini. Lo è invece molto meno se è intesa come cultura dell’accessibilità, marcatamente tra gli uomini politici che affollano – infatti sono troppi e ci stanno stretti – Camera e Senato, nonché Regioni, Province, Comuni, Consorzi vari e Comunità Montane in riva al mare…
Ancor meno di moda, poi, anzi praticamente assente, è quella che potremmo definire accessibilità cerebrale ovvero il pensare in maniera accessibile.
Senza scomodare Umberto Eco, potremmo forse asserire che quest’ultima breve frase ha significati difformi. Esiste infatti un’accessibilità cerebrale nel senso che il “proprietario” del cervello in questione si esprime con concetti accessibili, che possono cioè essere avvicinati, compresi e magari anche condivisi.
Esiste poi il cervello che pensa in maniera accessibile (con il “proprietario” che magari agisce di conseguenza), dando cioè accesso ai diritti, alle necessità e forse anche ai desideri di tutti.
Ed è questo il tipo di cervello che preferiamo, sia esso proprio degli uomini politici che di qualunque normale cittadino.
*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).
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