In Italia l’arteterapia si rivolge soprattutto a pazienti psichiatrici, oncologici, agli anziani, a chi soffre di depressione o ha delle dipendenze. Se una persona non si può muovere, generalmente si ritiene che l’arteterapia non faccia per lei. Per questo Helena Wenk, quarantaduenne italiana con origini tedesche, pittrice e donna con disabilità motoria affetta da un’atrofia muscolare spinale (o amiotrofia spinale, SMA) di tipo II, è andata “contro corrente” fin da quando si è iscritta al Centro di Formazione nelle Artiterapie di Lecco.
«Ho incontrato delle resistenze forti – ci racconta – perché prima del mio arrivo non c’era mai stato nessuno studente disabile. Le persone con disabilità, casomai, erano viste come possibili utenti, non certo come potenziali terapisti. Nessuno pensava che sarei stata capace di sostenere i tre anni di studio e sono rimasti tutti meravigliati quando mi sono diplomata con una tesi molto apprezzata».
Helena è stata dunque la prima studentessa con disabilità del Centro e il suo percorso di studi è servito ai colleghi e agli organizzatori della scuola come testimonianza di una possibilità che in molti non avevano contemplato e che invece all’estero è una strada già esplorata. «In America – prosegue – c’è una scuola totalmente dedicata a questo campo, dove si impara a far disegnare persino le persone non vedenti. In Italia c’è qualcosa a Milano, ma attualmente credo di essere una delle poche, se non l’unica, specializzata nell’arteterapia rivolta a persone con disabilità motoria grave».
Come mai questa specializzazione?
«Perché mi appassiona, perché credo che possa essere un’esperienza importante per chi non riesce a muoversi ed è infelice, si sente inutile, non trova un senso o un piacere nel vivere. Lo so perché dipingere è stato fin da piccola un elemento fondamentale nella mia vita e poi, più di recente, ho potuto assistere a dei bellissimi risultati con dei pazienti. Il mio sogno e la mia sfida è lavorare con pazienti motori gravi, bambini molto piccoli che non hanno nessuna speranza di fare niente, per i quali sembra che tutto sia inutile. Perché secondo me, invece, in questi casi l’arteterapia è utile».
Pratichi da molto la tua professione?
«No, sono agli inizi. Ho cominciato a studiare tardi, quando io per prima sono riuscita a raggiungere la mia indipendenza. Ora faccio parte del Comitato Lombardo per la Vita Indipendente e usufruisco di due assistenti personali. Senza di loro non potrei esercitare e prima ancora non avrei potuto studiare, solo un ausilio fondamentale. Mi aiutano a preparare i colori, ad esempio, e in generale mi accompagnano nel lavoro. Senza la Vita Indipendente la mia professionalità sarebbe impensabile».
Quindi stai iniziando ora?
«Sì, ma già durante i tre anni di scuola ho fatto esperienza come tirocinante e attualmente ho due pazienti, due ragazze, una con la tetraparesi spastica e l’altra con la distrofia muscolare dei cingoli. La seconda è completamente paralizzata. Muove solo il pollice della mano sinistra di pochissimi millimetri. Poco a poco, lungo un percorso che è durato un anno, sono riuscita a farla disegnare con il computer tramite un mouse particolare. Quando l’ho incontrata era una persona depressa, chiusa in se stessa. Non usciva mai di casa e non voleva fare niente. Già dopo pochi mesi di sedute ha riscoperto la gioia di vivere attraverso l’atto creativo del disegno. Ha scoperto le sue capacità, visto che è diventata molto brava al computer, è cresciuta la sua autostima, ha cominciato a uscire di casa, avere amici, ha fatto persino una crociera».
E nella tua vita la pittura che ruolo ha e ha avuto?
«Vengo da una famiglia di artisti. Mio padre, mio zio e mio cugino dipingono. Mia madre è direttrice di una scuola d’arte. Fin da piccola la pittura ha fatto parte della mia vita. Ho cominciato con i pennelli e le matite, come tutti i bambini, poi verso gli undici anni ho avuto un insegnante privato, un pittore che mi ha insegnato l’olio su tela e la tecnica impressionistica. Non ho mai camminato e se non avessi avuto il disegno, le mie giornate sarebbero state molto più vuote. Passavo ore intere a disegnare. Inoltre, nel disegno a scuola ero anche tra i più bravi. Anche questo è stato utile per me, perché non potevo giocare o saltare con gli altri bambini e avrei potuto sentirmi inferiore a loro; invece, attraverso il disegno, mi sentivo lodata, ammirata e mi sono creata un’autostima attraverso questa capacità. E gli altri bambini si relazionavano come me anche grazie alle mie capacità artistiche».
Dipingi anche oggi?
«Certo. Ma adesso che la malattia è progredita, faccio più fatica a dipingere con i pennelli. Ci riesco ancora ma ho più difficoltà. Allora ho cominciato a interessarmi alla Computer Arte, una nuova corrente contemporanea che sta avendo successo e che mi appaga perché posso ottenere risultati espressivi interessanti con minor dispendio di energie».
Come hai cominciato a interessarti di arteterapia?
«Ho intrapreso un percorso spirituale e sono diventata buddhista. È a partire da questo percorso che è nata in me l’esigenza di dare un senso al mio essere artista, di cercare un modo di mettere la mia arte a servizio degli altri. Anche se esponevo i miei quadri nelle mostre e avevo qualche piccolo guadagno, non mi bastava sentirmi artista e basta».
In che cosa consiste una seduta di arteterapia?
«Innanzitutto non è una lezione di pittura. Capita che io dia dei consigli artistici, mettendo a disposizione la mia competenza di pittrice, ma la finalità non è insegnare a disegnare bene. Quello che conta nell’arteterapia è il valore espressivo, e cioè quello che il paziente riesce a trasmettere. La seduta si crea attraverso la relazione che si instaura tra me e il paziente. Si parla poco e si comunica soprattutto attraverso il disegno, attraverso le immagini e i simboli e non le parole. Disegno io e disegna lui. Si cerca quello che il paziente riesce a tirare fuori dal proprio inconscio, dalle sue preoccupazioni. Le immagini senza la mediazione delle parole sono un mezzo profondo di espressione dell’inconscio, che infatti nei sogni si esprime proprio attraverso le immagini. Possono emergere temi molto forti, come la morte o l’ansia, il panico».
Di solito un percorso di arteterapia come si sviluppa?
«Gli incontri di solito sono a cadenza settimanale e dovrebbero durare per almeno sei mesi. La singola seduta con pazienti con disabilità motoria dovrebbe durare almeno due ore, visto che la limitatezza dei movimenti possibili comporta un allungamento dei tempi per il compimento di ogni singola azione».(Barbara Pianca)
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