«Solo un miracolo – leggiamo in un lancio dell’ANSA dell’Ultim’Ora – può salvare la vita a Teresa Lewis. Dopo il governatore della Virginia, anche la Corte Suprema ha negato la grazia a questa disabile mentale di 41 anni, condannata a morte sette anni fa con l’accusa di aver organizzato l’omicidio del figliastro e del marito. L’esecuzione è fissata per oggi [23 settembre, N.d.R.], e solo su internet si lotta ancora per salvarle la vita. Alla Corte Suprema, a suo favore hanno votato solo due giudici, Sonya Sotomayor e Ruth Bader Ginsburg. Contro gli altri sette. Così, a meno di improbabili sorprese dell’ultimo momento, questa sera, notte in Italia, il boia metterà fine alla sua esistenza, iniettandole in vena una soluzione letale. Una brutta storia che si sta concludendo qui negli States, in un clima di sostanziale indifferenza».
È esattamente quella «sostanziale indifferenza» che anche noi avevamo rimarcato qualche settimana fa (se ne legga cliccando qui), facendo nostro l’appello lanciato il 7 settembre da Amnesty International, rivolto al governatore della Virginia Bob McDonnell. Un appello che, a quanto pare, è stato (finora) drammaticamente ignorato.
Da parte nostra, ben volentieri riprendiamo quanto scritto dal nostro direttore responsabile Franco Bomprezzi nel suo blog FrancaMente, ove sottolinea, tra l’altro, che in questa vicenda – ove la condannata a morte è una persona con un quoziente d’intelligenza ai limiti della disabilità psichica, prima donna ad andare incontro a questa sorte in Virgina dopo quasi un secolo – c’è anche, oltre a tutto il resto, «una palese violazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità», trattato sottoscritto, anche se non ancora ratificato dagli Stati Uniti d’America. E a New York, nel Palazzo delle Nazioni Unite, si è concluso solo ieri il Summit Mondiale sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio… (S.B.)
Teresa, una morte nel silenzio
di Franco Bomprezzi
Amnesty e gli avvocati americani dunque non ce l’hanno fatta. Domani, giovedì [oggi, 23 settembre, N.d.R.], Teresa Lewis sarà “giustiziata” in Virginia, la Suprema Corte ha respinto la richiesta di convertire la pena in ergastolo. Ma, a parte la testata «Vita», quanto silenzio attorno a questa vicenda! Soltanto Superando.it aveva sollevato il caso, spiegando, opportunamente, che la donna è una persona con disabilità mentale, certificata in modo non equivoco. Un quoziente intellettivo bassissimo, che spiega come mai sia stata facilmente circuita dagli esecutori materiali del delitto, gravissimo, di cui è stata ritenuta responsabile, ossia l’uccisione del marito, nel 2002. In quella circostanza venne ucciso anche un figlio di Teresa, una vicenda balorda e drammatica, molto simile ad alcune delle storie “familiari” che riempiono in questi giorni le nostre cronache.
I killer in pratica hanno convinto la donna che era possibile uccidere il marito per impadronirsi dell’assicurazione, movente classico di tanti delitti apparentemente inspiegabili. In Virginia nessuna esecuzione capitale da cento anni [di una donna, N.d.R.]. E domani, dunque, un’iniezione letale porrà fine alla vita di una donna debole, incapace di intendere e di volere. In violazione palese della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, firmata anche dagli Stati Uniti [non ancora ratificata, N.d.R.]. E soprattutto in spregio alla condanna morale della pena di morte, una condanna che tarda a farsi strada nelle coscienze dei cittadini americani. Anche perché la pressione dell’opinione pubblica internazionale è davvero scarsissima.
Poche settimane fa, sia pure a singhiozzo e tardivamente, tutti ci siamo appassionati alla vicenda di Sakineh, donna iraniana condannata alla lapidazione nel paese dominato da Ahmadinejad. Una pressione dell’opinione pubblica e dei governi che ha portato almeno alla sospensione della pena, e sicuramente a una forte irritazione del regime di Teheran per la cattiva pubblicità che questa e altre esecuzioni capitali stavano facendo in tutto il mondo occidentale.
Perché i giornali italiani non hanno trovato spazio né interesse per questa vicenda americana? Che cosa rende così diverso il destino di Sakineh e di Teresa? Io credo che ci sia un notevole torpore intellettuale, un desiderio di non imbarcarsi in campagne di stampa destinate a disturbare i “manovratori del potere”, a tutti i livelli. Amnesty da sola non basta, le associazioni delle persone disabili non sono ascoltate quasi mai neppure per problemi più locali.
Forse è ora di ricominciare dai fondamentali. Dal diritto alla vita, non solo quando ci fa comodo. Sempre.
Ulteriori informazioni sulla vicenda di Teresa Lewis, insieme all’appello lanciato il 7 settembre da Amnesty International per la commutazione della condanna a morte, si raggiungono cliccando qui.