Per le persone affette dalla malattia di Gaucher di tipo I – rara patologia che causa ritardi della crescita, malformazioni ossee e ingrossamento di alcuni organi interni e della quale si stima che nel nostro Paese siano affette circa 250 persone – si aprono le porte, anche in Italia, della sperimentazione di un nuovo farmaco, una terapia orale invece che endovenosa.
Come pubblicato, infatti, dalla rivista scientifica «Blood», il farmaco (eliglustat) ha superato gli studi di fase I e II con risultati decisamente incoraggianti, sia per la capacità di agire sulla densità delle ossa che per la riduzione della crescita anomala della milza.
A fronte di questi esiti, la casa produttrice del farmaco, la Genzyme, ha deciso di procedere a tre diversi trial clinici di fase III, arruolando 450 pazienti in oltre 25 Paesi – tra cui l’Italia – vale a dire lo studio clinico più ampio mai intrapreso per la malattia di Gaucher di tipo I.
In Italia la sperimentazione verrà attuata all’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine – con il coordinamento di Bruno Bembi, uno dei massimi esperti della malattia – e a Firenze, all’Azienda Ospedaliera di Careggi, dove ad occuparsene saranno Massimo Morfini e Silvia Linari.
Il primo trial sarà effettuato su pazienti adulti che hanno già utilizzato altri tipi di trattamenti, mentre il secondo sarà un doppio cieco* per il confronto con l’effetto placebo e il terzo sarà invece finalizzato a mettere a punto lo schema posologico più adeguato. «Questa terapia – dichiara Bruno Bembi – potrebbe essere utilizzata nei pazienti che hanno ancora un’attività enzimatica discreta. L’eliglustat, infatti, da una parte limita l’accumulo lisosomiale nelle cellule e dall’altra stimola gli enzimi che con il loro malfunzionamento causano la malattia. Al Santa Maria della Misericordia abbiamo già due pazienti pronti a cominciare il trial, ma siamo pronti ad accoglierne altri e contiamo di cominciare al massimo il mese prossimo». (Bic Comunicazione)
*Uno studio in doppio cieco randomizzato confronta due popolazioni di soggetti affetti, a una delle quali viene somministrato il farmaco e all’altra no, in modo casuale, senza che né il paziente né il medico ne siano a conoscenza.
Essa può manifestarsi in modi diversi, che la medicina ha raggruppato in tre diverse tipologie, chiamate di tipo I (la più comune, oggi curabile, non comporta alterazioni neurologiche), di tipo II (gravissima e molto rara: se presente alla nascita, il soggetto in media non sopravvive al secondo anno di vita) e di tipo III.
Per ulteriori informazioni sulla notizia qui pubblicata: bic.comunicazione@fastwebnet.it.
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