Egregio Professor Joanne Maria Pini, mi occupo di disabilità, oltre a viverla in prima persona, e mi permetto di commentare le sue recenti affermazioni a riguardo [nel social network Facebook, soffermandosi sui «problemi della didattica», Joanne Maria Pini, docente di Teoria dell’Armonia al Conservatorio di Milano, aveva parlato tra l’altro di «pseudoscienza senza bussole che fa comparire organismi che non lo dovrebbero» o di «Rupe Tarpea cui bisognerebbe tornare», N.d.R.].
Concordo sul fatto che l’assistenza scolastica agli alunni con disabilità sia cosa complessa che richiede risposte adeguate, caso per caso; mentre la questione è spesso affrontata con poca competenza e pertinenza. Tale mancanza lede il diritto di giovani cittadini (disabili o meno) e delle loro famiglie a un’istruzione adeguata. Inoltre, fallisce completamente nel costruire un’educazione alla disabilità utile a costruire nei cittadini di domani consapevolezza e rispetto delle diversità.
Concordo anche sull’affermazione che «la scuola non premia né seleziona». Ciò si colloca in una profonda crisi della scuola stessa, di cui gli studenti con o senza disabilità non possono essere il capo espiatorio. Nel ribadire per altro l’imprescindibile diritto a tutti a una seria istruzione, mi permetto di aggiungere l’importanza di una selezione anche a monte, sulle competenze a progettare la scuola e insegnare (non è un attacco personale poiché non conosco il suo lavoro).
È invece pericoloso mettere in un unico discorso tipi diversi di selezione: facilmente si confondono i termini e si precipita spesso in affermazioni che negano diritti fondamentali (l’istruzione, la vita), in nome di eugenetiche ideologiche o reali, come è già accaduto.
Dietro al formale rispetto per i dolori altrui, le sue affermazioni vanno in tale direzione. Le sue letture sulle relazioni tra mente e corpo mi sembrano un po’ parziali, tanto il tema è articolato e non solo biologico, per giustificare certe asserzioni.
La medicina ha fatto fare passi da gigante all’umanità e molte “forme di vita periture” oggi possono vivere (hanno anche allungato la durata della vita). Perché, allora, mettere in discussione gli «innaturali sopravvissuti disabili» e non quelli scampati ad altre malattie o tumori? Non metterei in discussione né gli uni né gli altri. Inoltre, storicamente, una delle principali fonti di annientamento dei disabili non viene dalla natura, ma è prodotto degli uomini e delle società: la Rupe Tarpea a cui lei vuole tornare, l’abbandono, l’infanticidio, le istituzioni totali, i campi di sterminio ecc. Anche “l’obbedienza alla natura” di cui parla è un prodotto sociale: è l’abuso di uomini su altri uomini in nome di scienze o metafisiche. La selezione naturale è un’altra cosa.
Concordo sul fatto che il “politically correct” sia spesso ipocrita. Come il suo contrario, è un atteggiamento che semplicemente valorizza chi pronuncia il messaggio, non è mai un discorso con una presa e una pertinenza sulla realtà.
Mi permetto anche di dire che – nell’attuale arena mediatica e politica in cui sono moneta corrente parole e discorsi da bar – essere politicamente scorretti offre dignità alla volgarità, è triviale, ma anche banale.
Se il suo politicamente scorretto imbandito di letture e citazioni ha qualche presa sulla realtà, nega completamente una questione complessa come quella della disabilità, nega diritti imprescindibili (a vivere, all’istruzione, a ricevere servizi adeguati) dei cittadini con disabilità, cittadini tra gli altri.
Lei «non si dichiara nazista», ma il suo ragionare liberamente ricorda molto quell’ideologia, la filosofia e le concezioni che l’animavano, fondate sulla negazione dell’altro e della diversità e i cui nefasti effetti sono noti. Hanno portato all’uccisione, tra gli altri, di circa duecentomila persone con varie disabilità, considerate “indegne di vivere”.
Lei ha ovviamente il diritto di fare le affermazioni che crede, ma queste ci portano ad un profondo buio della civiltà. Se eventi drammatici che credevamo elaborati e superati, se diritti imprescindibili di recente acquisizione nella storia dell’umanità vengono negati, allora, concordo con lei: «Stiamo vivendo nel periodo più triste della storia dell’umanità».
*Autore di La terza nazione del mondo. I disabili tra pregiudizio e realtà (Milano, Feltrinelli, 2009). Il presente testo già apparso in «SuperAbile» e viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autore e di tale testata.