«Sono Alessio un ragazzo di 24 anni affetto dalla sindrome di Down. Stamattina mio padre ha chiamato l’Ufficio del San Paolo [lo stadio di Napoli, N.d.R.] per prenotare un biglietto riservato ai disabili e lo hanno informato del fatto che da quest’anno i biglietti sono riservati solo ai ciechi assoluti e alle sedie a rotelle… noi altri disabili al 100% non abbiamo più nessun diritto… sono rimasto estremamente male alla notizia e vorrei in tutti i modi che venisse estesa a tutti per dimostrare che il nostro amato Napoli… pensa alla tessera del tifoso… agli acquisti… alle vendite… ma non pensa a noi “deboli” tifosi!!!! (scritto con l’aiuto di mia sorella)».
Dopo aver letto qualche settimana fa questa lettera nel sito del quotidiano «Il Mattino», in occasione della prima partita in casa del Calcio Napoli in Serie A, mi sono chiesta: ma cosa sta accadendo? Da un po’ di tempo, infatti, leggiamo continuamente di ragazzi Down cui vengono rifiutati i più elementari intrattenimenti, quasi non avessero diritto a salire su una giostra, ad assistere a una partita di calcio e così via…
Ritengo che dietro queste manifestazioni si celi, in realtà, l’ignoranza (nel senso letterare di ignorare, non sapere) e che l’ignoranza sia una cattiva consigliera perché non sa, non comprende, e quindi agisce di conseguenza.
Nel caso specifico dello Stadio San Paolo e della partita, è evidente trattarsi di una mera azione legata al profitto ed escludere Alessio dai benefìci significa obbligare la famiglia a pagare un biglietto intero, mentre sappiamo bene che le famiglie – il più delle volte – hanno tantissime spese per queste persone e che manca l’assistenza di uno Stato che latita sempre più nelle politiche sociali.
La Dirigenza del Calcio Napoli dovrebbe mettersi una mano sulla coscienza e andare incontro a questi ragazzi che amano la loro squadra del cuore, come qualsiasi tifoso in ogni parte d’Italia; inoltre – dal punto di vista esclusivamente economico – se alla partita non ci va Alessio, non ci va nemmeno il papà o il fratello ad accompagnarlo e quindi, a conti fatti, il tutto diventerebbe una perdita e non più un profitto.
Questo discorso vale per Gardaland [delle vicende legate alle persone con sindrome di Down al parco giochi di Gardaland, il nostro sito si è occupato più volte negli ultimi mesi. L’articolo più recente è disponibile cliccando qui, N.d.R.] e per varie altre situazioni.
Verso le persone Down, dunque, sembra esistere ancora uno stigma sociale a causa di un cromosa in più che genera molti diritti sociali in meno. Nella scuola l’integrazione ha fatto molti passi avanti [proprio la scuola è stata il tema centrale della Giornata Nazionale delle Persone con Sindrome di Down del 10 ottobre, presentata in Superando con l’articolo disponibile cliccando qui, N.d.R.], ma per quanto riguarda il futuro di questi ragazzi ci sono ancora molte pagine della Vita da scrivere. Il mondo del lavoro, ad esempio, nutre ancora tante diffidenze, se parliamo di un vero lavoro di responsabilità e produttivo; è vero che esistono leggi in materia, ma è altrettanto vero che non vengono rispettate e che nessuno si impegna a farle rispettare, e non solo riguardo alle persone con sindrome di Down, ma riguardo a tutti i disabili.
Un disabile, generalmente, viene considerato un peso e non parte del processo produttivo. Vi sono certamente delle ottime eccezioni e per fortuna non tutte le realtà sono uguali, ma in linea di massima le persone con disabilità sono ancora considerate a un livello inferiore, con la preclusione, per loro, di ogni possibilità di carriera.
Ogni persona, invece, è un vero e proprio mondo da scoprire, un insieme di abilità da portare alla luce, un apporto al mondo per renderlo più ricco, e questo vale per tutti, disabili e non.
Occorre dunque saper guardare con nuovi occhi, ascoltare con orecchie attente, toccare e abbracciare con nuove mani, fiutare ciò che c’è di nuovo, assaggiare il meglio. In poche parole… occore vivere e amare con serenità, andando incontro all’altro, chiunque esso sia, senza paura.
*Persona con disabilità grave.