I tempi della famiglia, i tempi della città

di Giorgio Genta*
«Trasporti pubblici e privati, parcheggi, percorribilità di strade e marciapiedi per chi si sposta in carrozzina, per chi è ipovedente o per chi ha problematiche intellettive e relazionali, accessibilità e fruibilità di esercizi pubblici e di edifici amministrativi e dei servizi: la maggiore o minore facilità di accesso a tutti questi elementi fondamentali del vivere sociale comporta - secondo Giorgio Genta - una variazione dei tempi, del tempo realmente disponibile». Un'analisi dell'handicap, inteso come "prodotto sociale della disabilità" e di ciò che esso può comportare per le persone coinvolte direttamente nel problema e per i loro familiari

Orologio con lancette e numeri ricurvi, a simboleggiare la dilatazione del tempoLe persone con disabilità vivono come tutti in relazione con  gli altri e con il territorio. L’handicap – prodotto sociale della disabilità – può rendere più difficile, talvolta molto ardua, questa relazione, che tuttavia resta un fattore fondamentale dell’esistenza umana.
In casi di disabilità estreme, questa relazione può essere così tenue da diventare quasi impercettibile e tuttavia in qualche forma essa permane sempre.

La relazione fondamentale della persona con disabilità è quella con la famiglia e attraverso la famiglia essa si allarga generalmente all’ambiente circostante, che è fatto di persone e di luoghi. In altre parole si allarga alla città.
Il grado di disabilità più o meno elevato o complesso può non influire direttamente e proporzionalmente su questa relazione, soprattutto se si individuano adeguati supporti comunicativi e intermediazioni appropriate. E anche se si dispone di tempi adeguati.
Il concetto di tempo nel mondo della disabilità assume spesso una connotazione particolare che parzialmente prescinde dalle unità di misura normalmente utilizzate. Per la persona con disabilità, infatti, il significato del tempo è rapportato – oltre che all’alternanza tra sonno e veglia, attività e riposo – alla quantità necessaria a compiere una determinata azione. Ecco quindi che assistiamo a una “dilatazione personalizzata” del concetto di tempo o meglio della sua misurazione.
Se circa mezz’ora può essere la quantità di tempo necessaria a una persona senza disabilità per lavarsi e vestirsi al mattino, ecco che a una persona con lieve disabilità motoria può non bastare un’ora. Per chi poi è totalmente privo di autonomia, possono essere necessarie due ore e l’intervento di una o due persone. Si tratta di un aumento dei “tempi tecnici” che incide fortemente sulle attività  sociali della persona e poiché la città è il luogo dove la socialità si esplica e si sviluppa, ecco l’importanza dei tempi della città (e della famiglia, nucleo base del mondo sociale e quindi anche della città), che dovrebbero essere compatibili e raffrontabili con quelli di tutti i cittadini.

Naturalmente una persona con disabilità può non vivere in famiglia, come può non vivere in una piccola o in una grande città. Statistiche ufficiali indicano tuttavia che la stragrande maggioranza delle persone con disabilità vive in famiglia (dal 75 al 90%, secondo le fonti) e che le famiglie italiane risiedono prevalentemente in territori organizzati strutturalmente come città, piccole o grandi che siano.
Parliamo allora di “famiglia con disabilità”, un termine di grande attualità sul quale, come ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi), rivendichiamo una sorta di paternità.
Del tema della famiglia con disabilità, infatti, ci occupiamo da molti anni. Ne abbiamo esaminato le dinamiche interne, le necessità dei singoli membri (genitori, fratelli e sorelle – i cosiddetti siblings – altri familiari e naturalmente la stessa persona con disabilità) e i rapporti con il mondo extrafamiliare.
Ragazzo con disabilità insieme a ragazza non disabileQui però vogliamo esaminare i rapporti spazio-temporali della persona e della famiglia con disabilità nei confronti della loro citta, grande o piccola che sia. Rapporti visti necessariamente sotto il profilo della conciliazione, della necessità e della possibilità di reperire un’armonizzazione di tempi, di luoghi e di possibilità che non generi discriminazione, esclusione e rifiuto.

Da una parte, dunque, vi è l’affermazione di alcuni principi basilari, come l’accessibilità e la fruibilità di spazi e servizi e la protezione giuridica contro gli atti di discriminazione. Dall’altra, la difficoltà di rendere davvero esigibili questi diritti, causata anche dalla difficoltà di reperire finanziamenti dedicati.
Il mondo di internet, della comunità in rete, ha contribuito fortemente a creare l’immagine di una società ove le persone (con o senza disabilità) non hanno quasi la necessità di spostarsi fisicamente. Questa immagine, però, è una rappresentazione molto parziale della realtà: “normalmente”, infatti, le persone hanno la necessità di spostarsi per svolgere le attività quotidiane e per una vita di relazioni umane.
Trasporti pubblici e privati, parcheggi, percorribilità di strade e marciapiedi per chi si sposta in carrozzina, per chi è ipovedente o per chi ha problematiche intellettive e relazionali, accessibilità e fruibilità di esercizi pubblici e di edifici amministrativi e dei servizi: la maggiore o minore facilità di accesso a tutti questi elementi fondamentali del vivere sociale comporta una variazione dei tempi, del tempo realmente disponibile.
I servizi prestati a domicilio – l’assistenza domiciliare – contribuiscono a dilatare i tempi della famiglia con disabilità: infatti, i servizi di cura della persona, di assistenza e di accompagnamento – oltre all’indubbio vantaggio per la persona con disabilità – liberano” anche alcune ore ad altri membri della famiglia.
La possibilità di disporre di locali attrezzati e di personale dedicato (educatori, assistenti ecc.) può dar luogo quindi a quello che con brutta espressione si chiama “centro diurno” e che nelle belle realtà in cui davvero funziona, crea uno spazio ove spendere una parte del tempo della disabilità.

Ma il tempo della famiglia con disabilità non è eterno. Ecco quindi il “dopo di noi”, la “casa famiglia”, per quando la famiglia con disabilità non ci sarà più.
A Loano (Savona) abbiamo in avanzato stato di realizzazione Villa Amico [se ne legga ampiamente, nel nostro sito, cliccando qui, N.d.R.]. Si tratta di un “dopo di noi”, una “casa famiglia”, un centro per l’inserimento sociale delle persone con disabilità complesse, un luogo d’incontro e di scambio tra persone con e senza disabilità, una struttura  aperta sulla città e sul territorio, immersa in un grande parco pubblico, ove, speriamo, sarà possibile per tutti spendere proficuamente il proprio tempo, notoriamente la cosa più preziosa che possediamo.

*ABC Liguria (Associazione Bambini Cerebrolesi) – Associazione DopoDomani. Riadattamento di testo che verrà presentato al Convegno di Loano (Savona) del 25 novembre 2010, dal titolo Il tempo della città, il tempo della famiglia.

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