La medicina difensiva e la persona con disabilità grave

di Giorgio Genta*
Sembra che siano ormai addirittura 8 su 10 i medici a temere una denuncia e forti richieste di indennizzo, in caso di errore sanitario. Questo sta portando al crescente sviluppo della cosiddetta "medicina difensiva", con una pletora di esami di laboratorio e strumentali, talvolta non necessari e non pertinenti. Sul fronte invece delle persone con disabilità grave, spesso succede che il problema si inverta: infatti, si tende magari a prescrivere pochi esami, con la convinzione sottaciuta che difficilmente il paziente potrà protestare. Bisogna dunque cercare, con umanità e professionalità, un difficile equilibrio tra questi estremi, a tutela della salute e della miglior vita possibile per le persone con disabilità grave

Di fronte un medico, di spalle, in primo piano, due persone che ne attendono la rispostaDi fronte alla maggiore presa di coscienza dell’utenza nei confronti dell’errore medico – poco importa se addebitabile al medico o alla struttura nella quale egli lavora – si è enormemente sviluppato, negli ultimi decenni, il ricorso alla cosiddetta “medicina difensiva”: il medico, cioè, preoccupato non poco dall’eventualità di commettere un errore e che ciò gli venga contestato con forti richieste di indennizzo (anche di alcuni milioni di euro), ricorre a una pletora di esami di laboratorio e strumentali, talvolta non necessari e non pertinenti. Una questione che, ad esempio, testate specializzate come «Doctor News 33» hanno recentemente trattato, con articoli intitolati significativamente Medici sotto pressione: 8 su 10 temono una denuncia.
Tale pratica del “massimo accertamento strumentale possibile” non sarebbe di per sé errata, se non andasse a infrangersi  su due veri scogli: il costo enorme per il Servizio Sanitario Nazionale e le diminuite capacità professionali nel campo della diagnosi.

Nello specifico settore della disabilità grave, si può dire che i problemi spesso si invertano: infatti, si tende magari a prescrivere pochi esami, con la convinzione sottaciuta che difficilmente il paziente potrà protestare. Altra “inversione” del problema – fortunatamente non così frequente – quando qualche medico si “ostina” a pervenire a una diagnosi certa, ricorrendo magari a esami invasivi e rischiosi, anche se poi, nei fatti, il raggiungimento della diagnosi spesso non migliora le possibilità di cura.
Questo naturalmente non significa che le patologie più rare non debbano essere indagate coscienziosamente e che soprattutto nel settore neonatale vadano effettuati prontamente gli atti necessari, anche a costo di reprimende da direttori sanitari, ASL e Regioni.

Un difficile equilibrio, quindi, ma che va ricercato con umanità e professionalità, a tutela della salute e della miglior vita possibile per la persona con disabilità grave.

*Ufficio Stampa Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).

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