Anche per questo riteniamo quanto mai utile pubblicare il documento conclusivo di un recente incontro-dibattito [se ne legga nel nostro sito la presentazione cliccando qui, N.d.R.] organizzato proprio a Udine dalla Sezione locale dell’Associazione Down FVG, insieme al Comitato Liberalascelta, al Fedilco (Federazione per il Diritto alla Libertà di Cura) e al Comilva (Coordinamento del Movimento Italiano per la Libertà delle Vaccinazioni), denominato Famiglie e scuola in cammino verso l’inclusione sociale degli alunni con disabilità, ove chi scrive ha svolto le conclusioni.
Un testo, va detto, che evidenzia tutta l’importanza dell’integrazione scolastica, rivelandosi assai apprezzabile sia per l’analisi articolata dei problemi che per le proposte operative. (Salvatore Nocera – vicepresidente nazionale FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
L’incontro-dibattito del 6 novembre scorso a Udine (Famiglie e scuola in cammino verso l’inclusione sociale degli alunni con disabilità) ha fatto emergere le criticità dell’integrazione scolastica nella nostra Regione [il Friuli Venezia Giulia, N.d.R.] e, nel contempo, ha indicato una serie di proposte che, con questo documento, vengono sottoposte all’attenzione dei responsabili politici e istituzionali regionali.
Le criticità
L’integrazione scolastica – come tappa fondamentale per l’inclusione sociale delle persone con disabilità – presenta nella nostra Regione disomogeneità di situazioni che, se non affrontate, continueranno a produrre disuguaglianza di opportunità e di risultati.
Le testimonianze delle famiglie, delle associazioni, degli operatori della scuola e dei servizi attestano che è grande la distanza tra la previsione normativa che riguarda la disabilità e quanto caratterizza le prestazioni reali che appaiono tanto lontane dallo spirito e dal dettato delle leggi, se non in contraddizione.
Sono emerse alcune importanti criticità:
– L’impreparazione di pediatri e di neuropsichiatri su forme di disabilità ormai diffuse ritarda gravemente la certificazione e le possibilità di intervento.
– Le procedure di certificazione sono molto farraginose e poco tempestive e avvengono in tempi difformi da quelli richiesti dall’integrazione scolastica.
– Il ruolo dell’Azienda Sanitaria e dei Servizi Sociali si caratterizza per l’esercizio della delega e per l’incapacità di risposte mirate. L’insufficiente offerta riabilitativa da parte dei servizi e delle strutture pubbliche obbliga le famiglie ad assumere oneri economici – che poi non sono riconosciuti – e le spinge alla ricerca di interventi terapeutici alternativi. Scarso inoltre è il supporto alla scuola per la definizione di percorsi scolastici mirati e grave è la disattenzione dei Servizi Sociali alle attività extrascolastiche che potrebbero coinvolgere il bambino con disabilità nel territorio. La presa in carico si riduce, in genere, a formalità burocratica e gli accordi di programma, se presenti, sono più manifestazioni di principio che assunzioni di responsabilità.
– L’inserimento scolastico appare più condizionato dalle esigenze organizzative della scuola che da quelle del bambino, tanto più oggi che l’istituzione scolastica manca di risorse. Nello specifico dell’ambiente scolastico si riscontrano, tuttora, gravi difficoltà derivanti dalla scarsa formazione dei dirigenti e dei docenti curricolari che del mondo della disabilità sono più intimoriti che preparati ad affrontarla. Da qui la diffusa delega alla responsabilità del solo docente di sostegno, il permanere di un monte ore rilevante di lavoro fuori della classe per i ragazzi e l’enfatizzazione delle ore di sostegno come risoluzione di ogni problema.
Le famiglie consapevoli sanno che l’integrazione non dipende tanto dalla quantità delle ore di sostegno quanto dalla consapevole presa in carico di tutti i docenti della classe ed è per questo che a volte “emigrano” alla ricerca di chi, pensano, sappia accoglierli.
– Inoltre, nell’assegnazione regionale degli organici degli insegnanti di sostegno, non si è visto il giusto equilibrio nella distribuzione delle risorse interprovinciali né si sono tenute presenti le segnalazioni fatte dai singoli istituti e persino i criteri stabiliti dal GLIP (Gruppo di Lavoro per l’Integrazione Provinciale), nel caso della Provincia di Udine.
– Si può affermare che la qualità dell’integrazione scolastica, oggi, sia data dal caso perché sono i soggetti reali che compongono la professionalità delle singole scuole. Non vi è una garanzia diffusa. Vi sono istituti che non istituiscono i Gruppi di Lavoro, che non coinvolgono le famiglie nella stesura del PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.], che utilizzano i docenti di sostegno in attività di supplenza, pur in presenza dell’alunno con disabilità.
– La continuità educativo-didattica è aleatoria e anche le migliori esperienze di integrazione vivono il costante pericolo della frammentazione e della precarietà, dovuto all’esistenza di procedure amministrative e di diritti contrattuali contrastanti. Criticità non facilmente superabili riguardano le assegnazioni dei docenti di sostegno e, soprattutto, la loro sostituzione per gli aspetti della qualità e dei tempi. Manca anche il dovuto controllo dell’operato delle persone. Sui meccanismi di valutazione e di selezione nella scuola siamo infatti molto indietro.
– Nelle scuole secondarie superiori molti ragazzi con disabilità possono raggiungere risultati apprezzabili, ma tuttora, negli istituti tecnici e professionali, ogni richiesta di percorsi misti scuola-lavoro rimane inascoltata. Si continua a ignorare che l’idoneità lavorativa va costruita con percorsi specifici e non semplicemente valutata alla fine. Si ricorre, spesso, alla ripetenza scolastica come risposta alle mancanze dei servizi territoriali piuttosto che come completamento del progetto di crescita.
Al termine del percorso di istruzione e di formazione professionale, dunque, le famiglie trovano l’offerta unilaterale dell’Azienda Sanitaria che consiste solitamente nell’inserimento in un centro diurno. Non è considerata la possibilità di supportare progetti alternativi proposti dalla famiglia e dalle loro associazioni. Purtroppo tutto ciò è favorito da molte famiglie che conoscono solo la logica dell’assistenzialismo.
In conclusione, le criticità diffuse rendono preziosi gli esempi di buona integrazione che si colgono nel nostro territorio, ma che sono il frutto della sinergia di singole professionalità più che il risultato di un sistema virtuoso. Il problema generale è proprio la mancanza di un sistema; non vi è alcuna regia territoriale che coordini e governi l’integrazione. Manca addirittura la conoscenza dei dati che caratterizzano la disabilità nella nostra Regione.
Le proposte
Riteniamo che alla base della cattiva integrazione ci sia una scorretta concezione della disabilità. Occorre cioè diffondere la visione culturale della disabilità, com’è espressa dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e dall’ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (International Classification of Functioning, Health and Disability), con azioni di formazione dei responsabili istituzionali, dei dirigenti scolastici e di tutti gli operatori che agiscono nell’ambito dell’integrazione. La conoscenza della Convenzione andrebbe diffusa anche tra i cittadini.
Nell’ambito regionale, poi, la Convenzione e l’ICF devono essere alla base delle procedure di certificazione, recependo quanto previsto dall’Intesa tra il Governo, le Regioni, le Province Autonome di Trento e Bolzano, le Province, i Comuni e le Comunità montane, in merito alle modalità e ai criteri per l’accoglienza scolastica e la presa in carico dell’alunno con disabilità del 20 marzo 2008.
La Regione Friuli Venezia Giulia potrebbe accogliere tempestivamente le proposte già presentate, per rendere più veloci ed efficaci le procedure di certificazione.
Dal canto loro, le associazioni intendono dare avvio ai Comitati di Monitoraggio per l’attuazione della Convenzione ONU, in modo tale da segnalare a chi di dovere là dove le norme esistono ma non sono applicate, là dove c’è invece carenza di norme, soprattutto amministrative e là dove c’è un mancato coordinamento tra queste norme.
Non è più rinviabile la realizzazione di un sistema territoriale integrato per sostenere i progetti di inclusione scolastica e sociale e i progetti di vita. Il riferimento a un’unica responsabilità deve far superare l’attuale scoordinata frammentazione degli enti coinvolti nei processi decisionali. Ed è necessario che la Regione si assuma la responsabilità di governo dei processi d’inclusione attraverso un accordo di programma regionale che dia agli interventi territoriali il coordinamento e l’unitarietà oggi mancanti.
Occorre inoltre rivedere il ruolo dell’Azienda Sanitaria nella gestione dei progetti di vita delle persone con disabilità. Possiede l’Azienda Sanitaria la necessaria cultura del sociale? Va data attuazione, in tal senso, al disposto dell’articolo 14 della Legge 328/00 che affida ai Comuni la predisposizione dei progetti individuali.
Riteniamo che non sia tanto l’individualizzazione, bensì la personalizzazione che costituisce il criterio guida per il processo di inserimento, integrazione e inclusione di ogni persona con disabilità. Occorre tener conto della persona concreta e della sua famiglia, con i loro bisogni, le loro risorse e le loro potenzialità. Non è più accettabile che si proceda sulla base dell’appartenenza a specifiche categorie.
Le Istituzioni abbandonino la logica della deresponsabilizzazione e della delega che sono ampiamente praticate con il ricorso al privato sociale o alle cooperative, magari ricorrendo ad appalti al ribasso e senza l’esercizio di una propria e diretta vigilanza.
Il ruolo e le scelte delle famiglie delle persone con disabilità vanno riconosciuti e tenuti in debito conto, come tutte le norme e i documenti internazionali stabiliscono. Nel contempo la famiglia va sostenuta nel comprendere e accompagnare il percorso d’inclusione. Non a caso si parla esplicitamente di presa in carico anche della famiglia delle persone con disabilità. Occorre cogliere la volontà di collaborazione delle famiglie e delle associazioni, non considerarle controparti.
Sul piano specifico dell’integrazione scolastica si sente l’assoluta necessità di un’effettiva regia dell’Ufficio Scolastico Regionale, anche per una più equilibrata distribuzione interprovinciale delle risorse e per l’applicazione delle Linee Guida per l’Integrazione Scolastica degli Alunni con Disabilità del Ministero, prodotte il 9 agosto 2009, ma in modo tale che siano vincolanti per tutti i destinatari.
Va inoltre valorizzato il ruolo dei GLIP [Gruppi di Lavoro per l’Integrazione Provinciale, N.d.R.], nei quali deve crescere il rapporto con il territorio. Essi, infatti, possono assolvere a compiti rilevanti e non solo di interesse amministrativo interno. I GLIP, per norma, promuovono la formalizzazione degli accordi interistituzionali, organizzano o finanziano azioni di formazione del personale scolastico e delle famiglie, forniscono consulenza alle istituzioni scolastiche e alle famiglie stesse, fissano i criteri d’utilizzo di risorse umane e finanziarie.
Riteniamo poi che anche nell’immediato si possano raggiungere traguardi tangibili, richiamando i dirigenti scolastici al loro ruolo di garanti dell’intero processo di integrazione considerandoli – come sono – responsabili dei risultati conseguiti o degli insuccessi, se dipendenti dalla mancata applicazione delle norme.
Il processo di integrazione scolastica va sottoposto a monitoraggio e valutazione almeno annuale.
E ancora, nelle scuole vanno richiamate la corresponsabilità collegiale dei docenti di classe nel processo di integrazione e, allo stesso tempo, la piena responsabilizzazione di ciascun docente e di ciascun operatore. L’obiettivo primario dev’essere la piena integrazione dell’alunno con disabilità nel gruppo classe, con il superamento di comportamenti – purtroppo diffusi – di delega all’insegnante di sostegno e all’educatore e il loro isolamento.
Va garantita quindi la partecipazione – oggi sempre più problematica – dei ragazzi con disabilità alle gite scolastiche, alle rappresentazioni teatrali, agli stage, che sono banchi di prova della reale integrazione in atto. Questo rimuovendo tutti gli ostacoli che ne impediscono lo svolgimento o lo consentono solo ricorrendo alla presenza delle famiglie.
Infine, l’accesso alle scuole superiori non può tradursi in un inserimento in presenza. Occorre che soprattutto gli istituti professionali e tecnici diano attuazione, in collaborazione con il territorio, ai percorsi misti scuola-lavoro, altrove ampiamente sperimentati, che possono dare a tanti una speranza lavorativa futura. In questo caso le istituzioni regionali e provinciali devono dare attenzione e risposte al problema con precise linee d’indirizzo e risorse.
In conclusione possiamo dire che l’incontro-dibattito del 6 novembre a Udine ha dimostrato la grande volontà delle famiglie e della scuola di cooperare, coinvolgendo gli altri enti preposti all’integrazione.
Desideriamo che si costruiscano ponti, non di quelli che uniscono sponde diverse, ma di quelli che troviamo nei “quadrifogli” autostradali che convergono sull’unico obiettivo, nella strada che diventa comune.
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