L’8 dicembre, di buon ora, ho ricevuto sul cellulare l’sms di un giovane frate. Ecco il testo: «La purezza di Maria – commenta Paolo VI – è profondamente inserita nell’essere e nella storia di questa creatura eccezionale. Ma anche noi – prosegue – possiamo e dobbiamo portare questa purezza nel cenacolo dei nostri cuori, dove nascono i nostri desideri profondi e dove siamo realmente noi stessi. Lì possiamo e dobbiamo far spazio al puro amore per Dio e per i fratelli». Era il suo modo di augurare una buona Festa dell’Immacolata. Giulio Giovanni Marcone – è questo il nome del frate di Sarno, conosciuto in Facebook -, riesce sempre a sorprendermi, e a farmi pensare.
Anche perché la sera precedente, prima di spegnere il computer, chiudendo le tante finestre aperte sul web, mi sono imbattuto, sempre in Facebook, in alcune frasi così tristi da sembrarmi pericolosamente drammatiche, di un “amico” che non conosco personalmente: «Dimmi cosa c’è che non va in me. Ho le gambe fragili e le lacrime pronte a esondare, non ce la faccio più a sentirmi così. Inutile. Stupido. Sbagliato, perché è questo che sono, io, un essere umano con un difetto di fabbrica, una vena collegata male o il cuore troppo pesante. Sì, ecco cosa sono: indesiderato; come un temporale quando il raccolto è maturo, buono solo a fare guai». Al posto della sua foto, nel profilo, compariva l’8 dicembre proprio un’immagine della Madonna. Dunque la domanda a Lei era rivolta. La sera prima, invece, l’immagine era quella di Edward “mani di forbice”…
Ho cercato, non senza un po’ di timore, di dialogare con questa persona, intuendo un momento particolarmente duro. Sono riuscito anche a strappargli un sorriso e qualche ammissione. Il problema, come avevo intuito, era in quel momento l’ennesima delusione d’amore, il suo essere, come uomo, irrimediabilmente “vergine”.
Non so quale sia il suo aspetto fisico. Ho capito – almeno penso – quale fosse il suo stato d’animo: «Inutile. Stupido. Sbagliato». Mi sono sentito in colpa. Io, fortunato sentimentalmente e umanamente, nonostante un’evidente condizione di disabilità fisica, non sapevo quali argomenti trovare per convincerlo, alla Benigni, che «la vita è bella».
Dopo uno scambio di parole molto schiette, il mio amico mi ha congedato tranquillizzandomi: «Non farò nessuna cretinata, manco volendo…». Immagino dunque, e mi fermo sulla soglia dei sentimenti, un dolore cupo, una mancanza feroce di affetto, di amore. E una sensazione di impotenza, perfino rispetto all’ipotesi di farla finita.
L’amore “puro”, dunque, per molte persone non è una scelta, è una necessità. Non c’è alternativa. O meglio, sembra che sia impossibile vivere, almeno una volta nella vita, una condivisione amorosa che non sia la pura amicizia, o la solidarietà.
Fra i tanti diritti negati delle persone con disabilità c’è sicuramente quello dell’amore. Non sempre, non per tutti. Ma spesso. Un diritto negato che brucia più di tutti gli altri. Basta andare a vedere le statistiche dei forum dei siti dedicati alle persone con disabilità. Il rapporto è di 10 a 1 fra i post dedicati alle “anime gemelle”, alla ricerca di amore, rispetto ad esempio alla mancanza di lavoro, alle barriere, agli ausili, insomma alle questioni delle quali così spesso ci occupiamo.
Io stesso, che ho avuto la fortuna incommensurabile di una vita affettiva ricca e normale, non posso dimenticare che il primo amore corrisposto è arrivato quasi a trent’anni. Durante l’adolescenza, e anche dopo, fino a quel momento di svolta, ho vissuto tante cocenti delusioni, tanti amori platonici, e quella struggente malinconia che sempre si accompagna alla mancanza di qualcosa che si ritiene indispensabile, quasi una caratteristica essenziale dell’essere uomini e donne.
Credo si debba ragionare serenamente su quanto, ad esempio, manchi ferocemente l’esperienza – per tanti giovani assolutamente banale – di un bacio vero, di un bacio non sulle guance o in fronte, ma sulle labbra. Gesto ostentato nei film, nella pubblicità, in televisione, ovunque, anche per strada. Non sto neppure parlando di un’esperienza sessuale completa, ma solo di un semplice bacio. Che diventa, amplificato dall’immaginazione e dalla mancanza, motivo quasi di ossessione, di pensiero cupo, di malinconica rinuncia alla motivazione per vivere.
Le donne con disabilità vivono la sessualità con molta dignità e forza e spesso riescono a reagire con una spiccata femminilità, trasformando con grinta questa identica carenza in una risorsa morale, e comunque riflettono in modo intelligente e maturo, proponendo soluzioni, modelli, esperienze. Basti leggere nel sito della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) i contenuti davvero notevoli raccolti dal Gruppo Donne di quell’Associazione. Per gli uomini è diverso, terribile, lacerante.
Io credo che questo dipenda soprattutto dal modello di virilità che appartiene alla nostra società. L’uomo si realizza attraverso la propria sessualità di “maschio”, sia pure tra mille difficoltà, che sicuramente appartengono alle generazioni degli adolescenti di oggi, ma che nella disabilità grave trovano un’esasperazione drammatica.
Il diritto all’amore (sì, proprio l’amore, non l’amicizia affettuosa) purtroppo non si può garantire per legge. Al massimo, in alcuni Paesi (pochi) si può provare a consentire meglio la sessualità (attraverso una specie di “prostituzione sociale”), ma l’amore no. Non trovo perciò oggi parole che siano consolatorie. Penso però che sia giusto e doveroso parlarne, con sincerità e rispetto.
Vorrei che tutti, a partire dalle famiglie, si interrogassero seriamente sulle conseguenze di questo sacrificio umano, di questa “reclusione dei sentimenti” che può portare alla depressione, alla tristezza cronica, alla rinuncia a voler vivere. Non perché ci sia una ricetta a portata di mano (l’amore non si può imporre, ma a volte si manifesta in modo imprevisto e meraviglioso, quando meno te lo aspetti), ma perché ognuno di noi si adoperi per riempire la vita di valori autentici, di passioni, di sentimenti veri, di relazioni umane non solo virtuali (ma anche virtuali).
Interrogarsi sul mistero di Maria, l’8 dicembre, vuol dire anche porsi la domanda più profonda: «Può, ognuno di noi, quale che sia la personale situazione fisica, sensoriale, intellettiva, vivere pienamente il miracolo dell’Amore? Può, ciascuno di noi, scegliere liberamente quale sia la forma di questo Amore?».
*Testo apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di Vita.blog, con il titolo Amore “puro”, senza scelta e qui ripreso con alcuni adattamenti.
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