Gli studi medici di Medicina Generale, in quanto destinati allo svolgimento di un servizio pubblico, vanno considerati, per ciò stesso, locali “aperti al pubblico” e sottoposti all’obbligo di eliminazione delle barriere architettoniche, secondo quanto stabilito dalla legge.
Lo afferma un’importante Sentenza prodotta qualche mese fa dalla Terza Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Sicilia, Sede di Palermo (la n. 9199 del 5 agosto 2010), che interviene in modo chiaro in merito all’annosa questione dell’accessibilità degli studi dei medici di famiglia e, per analogia, dei pediatri di libera scelta.
Dovendo dunque pronunciarsi in merito a una causa riguardante il mutamento di destinazione d’uso di un immobile riadattato per lo svolgimento di attività sanitarie, il TAR siciliano ha ritenuto necessario fare il punto circa la «sussistenza di un obbligo o meno di eliminazione delle barriere architettoniche da parte degli studi di medicina generale convenzionati con il Sistema sanitario nazionale». Obbligo che le associazioni di categoria dei medici hanno sempre respinto, sulla base di due princìpi: il carattere “privato” degli studi e l’assenza di ogni indicazione in proposito, all’interno dell’Accordo Nazionale stipulato tra il Ministero della Salute e, appunto, le organizzazioni di categoria, che definisce i requisiti per l’idoneità degli studi medici (articolo 36).
Per quanto riguarda il primo punto, il TAR, citando una serie di fonti legislative (tra cui l’articolo 22 del DPR 270/00, l’articolo 24 della Legge 104/92, l’articolo 1, comma 1 della Legge 13/89 e lo stesso articolo 36 dell’Accordo Collettivo Nazionale per la Disciplina dei Rapporti con i Medici di Medicina Generale), conclude che la qualificazione di “servizio pubblico”, riportata anche dagli accordi collettivi, sia da ritenere in quanto tale «incompatibile con l’asserita esclusione dal campo di applicazione della disciplina sulle barriere architettoniche».
Sotto questo profilo, il fatto che questo “servizio” sia svolto all’interno di studi privati non ha alcuna rilevanza, tanto più che tali locali risultano a tutti gli effetti “aperti al pubblico”, ossia «locali presso i quali la generalità degli utenti del servizio pubblico può accedere senza formalità e senza bisogno di particolari permessi negli orari stabiliti».
Quanto poi al fatto che gli Accordi Nazionali non dicano nulla in merito al rispetto degli obblighi in materia di accesso delle persone con disabilità, questo, secondo il TAR, non può significare in alcun modo che gli studi dei medici di famiglia non siano tenuti al rispetto delle normative vigenti in materia. Infatti, un’interpretazione del genere è, innanzitutto, in «insanabile contrasto» con i princìpi della Legge 67/06 che tutela le persone con disabilità da ogni discriminazione (per i giudici, non ha “ovviamente” alcun valore il fatto che, «a richiesta, il medico sia tenuto a recarsi presso il domicilio del disabile non deambulante»).
C’è poi una questione di principio che ha a che fare con un «rigoroso criterio di competenza nel rapporto tra le fonti normative». Infatti, gli accordi collettivi del tipo di quello stipulato tra il Ministero della Salute e le organizzazioni dei medici non sono idonei a regolare materie come quella in discussione, che «attengono unicamente alla sfera legislativa e, in residua parte, a quella regolamentare locale». In altre parole, le leggi vengono prima degli accordi e nessuna delle normative in vigore contiene disposizioni che possano fare ipotizzare «una disapplicazione della disciplina legislativa in tema di requisiti strutturali» degli studi medici.
Un altro punto di grande interesse su cui interviene il collegio giudicante palermitano riguarda la responsabilità dei controlli in merito al rispetto delle normative sulle barriere architettoniche.
Il più volte citato Accordo Nazionale affida alle Aziende Sanitarie Locali la verifica dell’idoneità degli studi medici rispetto ai requisiti previsti dall’Accordo stesso. E tuttavia, secondo il TAR di Palermo, ciò non esime in alcun modo il Comune dai controlli in relazione al rispetto delle normative sull’abbattimento delle barriere architettoniche. Dal momento poi che «l’Azienda Sanitaria Territoriale non è titolare di competenza alcuna in materia di barriere architettoniche», se ne deduce che i suoi interventi di controllo sugli studi medici possono avere efficacia solo rispetto agli aspetti igienico-sanitari. Tocca invece agli Uffici Comunali – e nella fattispecie a quelli del Comune di Licata (Agrigento) – procedere a una «concreta, sostanziale e dettagliata verifica» in materia di accessibilità.
*Coordinatore della UILDM di Udine (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Associazione impegnata da anni in tema di barriere architettoniche.
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