«La normalità non esiste, esiste solo una moltitudine di diversità»: questo è il motto di David Anzalone, nato a Senigallia (Ancona) nel 1976, in arte Zanza, “professione: handicappato, segni particolari: nessuno”. Forse oggi si riesce a ridere dell’handicap grazie a persone come David, ma il bagaglio storico e culturale pesa come un macigno: basti ricordare quando la gente pensava che la disabilità fosse contagiosa…
Zanza vive l’handicap in prima persona e non lo considera solo un limite; porta in scena uno spettacolo teatrale, ha scritto un libro, è andato in TV («anche per trovare più gnocca», dice lui). Sin da bambino Anzalone ha compreso che il modo migliore per integrarsi, per non far “guardare storto” era quello di prendere con ironia la vita e far ridere chi tendeva a emarginarlo. Ha iniziato così il suo percorso nel teatro, uno strumento anche di lotta, cassa di risonanza per la voce degli esclusi, non solo disabili. Con sottile ironia ha poi fatto il resto, dando vita nel 2005 a Targato H, spettacolo comico prodotto da CAPA Produzioni. La “H” dell’handicap di una tetraparesi spastica dalla nascita, che per tanti è una difficoltà insormontabile, è diventata la forza di Zanza, che in Italia sta spazzando i pregiudizi su handicap e normalità attraverso teatro, televisione, internet, editoria cartacea. E sia a teatro che in televisione, su internet o tra le pagine di un libro, Zanza è una valanga travolgente, rompe gli schemi perché fa dell’handicap un’insolita materia comica.
«Sul palcoscenico David Anzalone racconta gli equivoci quotidiani su handicap e normalità senza far leva su facili moralismi o astuzie perbeniste. Anzi, la sua arma è un concentrato di sagacia, di osservazione e riflessione, di capovolgimenti e inattesi colpi sull’ottusità con cui ci accontentiamo di pensare la “normalità”». Questo è quanto possiamo leggere in tante recensioni che lo riguardano. Dal teatro alla carta stampata, poi, il passo è stato breve. Lo spiritoso Handicappato e carogna, edito per la collezione Biblioteca Umoristica Mondadori (BUM) e scritto a quattro mani con Alessandro Castriota, racconta aneddoti personali e quotidiani pregiudizi, con quella stessa irresistibile ironia e autoironia che si ritrova sul palcoscenico.
In TV, in prima serata, ha esordito con A noi il lavoro non lo danno così facilmente perché… perché… diciamoci la verità… noi… non abbiamo voglia di fare un cazzo! Ed è stato subito boom di ascolti, un successo strepitoso, che ha reso Zanza un personaggio famoso, fino alla recente apparizione in Vieni via con me, di Fabio Fazio e Roberto Saviano, uno dei programmi RAI più seguiti dell’attuale stagione televisiva [se ne legga in questo stesso sito anche cliccando qui, N.d.R.].
Zanza, una battuta al volo?
«Ve ne faccio una tripla: io sono buono, la mafia non esiste, Berlusconi s’è fatto da solo!».
Come hai capito che facendo ridere avresti abbattuto le barriere mentali?
«”PROFESSIONE: HANDICAPPATO. SEGNI PARTICOLARI: NESSUNO”. Questo è quello che mi hanno scritto sulla carta d’identità… Veramente! Come fai a non fare il comico?
Il rapporto fra il mio corpo e la società è ciò che mi ha sempre affascinato. Capii che il mio corpo handicappato, se allenato, poteva diventare un mezzo di comunicazione esplosivo. L’ho allenato e con lui racconto storie che cercano di mettere a nudo me stesso e perciò anche gli altri».
Ci parli del Progetto Targato H? La disabilità, nei tuoi spettacoli, è il tema principale?
«Nel monologo comico Targato H, scritto assieme al mio regista Alessandro Castriota e che stiamo portando in teatro, cerco di smascherare le ipocrisie, dettate dal pregiudizio, che la società manifesta nei confronti degli handicappati. Ci siamo accorti, poi, che l’handicap era diventato solo un pretesto, un mezzo e non un fine, per parlare a tutto tondo della paura dei “diversi”. Partendo dal tentativo di distruggere il tabù che “l’handicap è una tragedia sulla quale non si può ridere ma si deve averne pietà”, cerchiamo di ridicolizzare la paura e il buonismo allo scopo di fare incontrare le umanità in modo crudo, ma autentico. Certo, queste tematiche si tirano dietro anche alcune critiche, ma, ve lo assicuro, la maggior parte delle persone che incontriamo a teatro non vedeva l’ora di sentirsele raccontare così».
Stai girando l’Italia con i tuoi spettacoli? In quale teatro ti piacerebbe esibirti?
«Alla Scala… col tutù!…».
La gente è ancora così tanto “sorda”, piena di pregiudizi, in una parola, c’è ancora tanta discriminazione o qualcosa sta cambiando?
«La discriminazione in Italia si sta allargando a macchia d’olio e non solo alla categoria degli handicappati… La paura è stata fomentata da ogni parte e, appena qualcosa differisce dai canoni dettati dalla TV, scatta questo meccanismo e il diverso diventa un nemico. Ma credo nel riscatto!».
Con tutta questa notorietà, sei ormai un divo. Almeno “rimorchi”?
«Certo! Ho voluto darmi al teatro proprio per rimorchiare… Sono uno che ce l’ha fatta!».
La faccia del barista quando chiedi la cannuccia?
«Eh, come faccio? Questa è un’intervista scritta, mica un video!».
Il libro Handicappato e carogna, come dire disabili “bastardi dentro” un po’ come tutti. Ce ne parli?
«Il titolo del nostro libro Handicappato e carogna, scritto sempre assieme ad Alessandro Castriota, ha proprio questa spiegazione: essendo nato col forcipe, handicappato mi ci hanno fatto… Di essere carogna l’ho scelto! Quindi, compratelo!
Nel libro, come a teatro, amiamo chiamare le cose con il loro nome e detestiamo gli eufemismi che spesso nascondono ipocrisia. Questo addolcire la pillola copre il pregiudizio e, soprattutto, alimenta la paura del diverso: la paura può essere legittima, ma va superata con l’incontro reale fra le persone, senza eufemismi che fanno da air-bag. E poi, se i cosiddetti normali sono quelli che leggiamo oggi giorno nei quotidiani: il politico che fa i festini hard, il senatore mafioso, il calciatore cocainomane… io non solo non sono normale, ma non ci tengo neanche ad esserlo!».
Ma cos’hai contro i “paraplegici Superman”? Cos’è questa polemica verso le persone in carrozzina?
«Ma no, dai, è solo un’iperbole comica per cercare di smontare un’altra ipocrisia e cioè che gli handicappati sono tutti uguali… Detesto l’omologazione in tutte le sue forme!».
Un po’ come dire che ogni persona, disabile e non, è una persona a se, con i suoi limiti, ma soprattutto con le sue potenzialità. (Dorotea Maria Guida)
*Intervista realizzata per conto dell’Associazione Prodigio di Trento (con il titolo Ridere dell’handicap con David Anzalone), qui ripresa, con alcuni riadattamenti, per gentile concessione.