Nel 1973 Elena Gianini Belotti pubblicava Dalla parte delle bambine, un testo che indagava e illustrava l’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita. Le differenze di carattere tra maschio e femmina – sosteneva l’Autrice – non sono “innate”, ma sono frutto dei condizionamenti culturali che gli individui subiscono nel corso del loro sviluppo, e tendono a conservare e a trasmettere – tra gli altri valori – anche il “mito” della “naturale” superiorità maschile, contrapposta alla “naturale” inferiorità femminile. Per chi si occupa della cosiddetta “questione femminile” quel testo divenne una “piccola bibbia”.
Nel 2007 esce Ancora dalla parte delle bambine: Elena Gianini Belotti passa il suo testimone a Loredana Lipperini che – coraggiosamente – si assume il compito di verificare e constatare come, a circa trent’anni di distanza, e malgrado le apparenze, le cose non siano affatto cambiate. Le bambine continuano ad essere educate a un ruolo di subordine e quello femminile continua ad essere il “secondo sesso”.
Che Lipperini sia una donna coraggiosa lo dimostra anche l’argomento del suo ultimo libro, la vecchiaia (Non è un paese per vecchie, 2010). «[…] in anni ossessivi come i nostri – vi scrive – si passa dalla giovinezza alla morte quasi di colpo, e la vecchiaia diventa una piccolissima zona prima della sparizione. Ma in quella piccolissima zona, che può durare anni, si scompare anzitempo. Si diventa invisibili. Si viene espulsi» (Lipperini, 2010: p. 15).
È la sua propensione a occuparsi di temi scomodi a suscitare in me una certa simpatia per questa autrice. È la sua abitudine di partire dai dati, dai numeri e dalle osservazioni a conferire sostanza alle sue argomentazioni. Ce n’è abbastanza per farmi venire la voglia di intervistarla, per parlare con lei di bambine, di vecchie, ma anche di donne (quelle disabili) che mi sembra continuino ad essere socialmente ignorate a qualsiasi età. Contattarla è stato semplice. Guadagnare la sua disponibilità, anche. La ringrazio sentitamente per la piacevole collaborazione. (Simona Lancioni)
Gentilissima signora Lipperini, nel testo Ancora dalla parte delle bambine lei afferma: «Parlare – ancora! – di subordinazione femminile sembra un lamento fuori del tempo, il ritorno a vecchie e non guarite ossessioni. Qualcosa di patetico, di disturbante, di pietosamente passato di moda» (Lipperini, 2007, p. 29). Come mai nella nostra società un tema di così grande rilevanza etica e civile, come quello delle pari opportunità tra i generi, non riscuote la considerazione che meriterebbe?
«Le rispondo “non riscuoteva”, perché negli ultimi anni oggettivamente il problema è ritornato nell’attualità dei discorsi. Quando io ho scritto Ancora dalla parte delle bambine, era il 2007, quindi più di tre anni fa, e avevo la sensazione che dai discorsi pubblici la questione femminile fosse scomparsa, e fosse scomparsa nella maggior parte dei casi per un malinteso, perché si riteneva che comunque ogni tipo di parità – professionale, economica e socio-culturale – fosse stata raggiunta. Naturalmente non era così. Non era così, e le cifre, i dati crudi, lo hanno sempre dimostrato. Soltanto non se ne parlava. Io ho scritto quel libro proprio per il disagio di veder data per scontata e per chiusa una stagione di rivendicazioni che invece doveva ancora ricominciare».
Ancora dalla parte delle bambine contiene una grande quantità di dati e osservazioni sulla letteratura per l’infanzia, sui testi scolastici, sui giornali, sui fumetti, sui programmi televisivi, sulla pubblicità, su internet ecc. Qual è il modello femminile prevalente tra quelli che vengono proposti alle bambine di oggi?
«I modelli tornano ad essere due, non soltanto per le bambine, ma anche per le madri. Non c’è quella pluralità di modelli che sarebbe necessaria. Non ci sono le donne normali. Diciamo che le alternative – anche nei testi che sono proposti obbligatoriamente nelle scuole elementari (e riporto i dati nei miei libri) – sono due: o quella della madre, o quella della bella principessa, per quello che riguarda le bambine. C’è poi, quando andiamo nell’immaginario dei fumetti, dei cartoni animati e dei film, la bella maga. La bella maga che è anche, nella maggior parte dei casi, una sexy maga. Non c’è una pluralità e, ancora una volta, parlano le cifre. Nei libri per le quarte elementari la preponderanza delle professioni femminili è quella della madre o della maestra, mentre per gli uomini c’è un’enorme varietà».
Ileni Schofield, un’adolescente che vive a Pistoia e convive con una diplegia fin dalla nascita, è un’accanita lettrice di manga con l’hobby del disegno e della sceneggiatura. Non riuscendo a trovare nei racconti, nei fumetti e nei cartoni animati un’eroina nella quale identificarsi totalmente, dal 2003 ha iniziato a scrivere il manga chiamato Le ruote magiche. L’intento è quello di mostrare al pubblico la disabilità sotto un nuovo punto di vista. Chi vuole modelli diversi se li deve fabbricare da sola?
«Beh, diciamo che quella comincia ad essere un’ottima strada. Con l’opportunità – che è nata soprattutto da internet – di poter narrare attraverso la rete, certamente le possibilità si moltiplicano. Certamente in Italia siamo abbastanza indietro da questo punto di vista, anche se ricordo che era stato fatto un tentativo molto interessante, però finito abbastanza presto, si chiamava Monster allergy. Era stato realizzato diversi anni fa ed era un prodotto della Disney Italia. Era un fumetto e si appaiava alle Witch. Monster allergy aveva per protagonista un bambino asmatico. Questo bambino era l’eroe della serie. Va bene, era un maschio, ma non era il solito eroe e, tra l’altro, aveva una compagna femminile che era abbastanza fuori dagli stereotipi. Quindi era abbastanza interessante. Non era una ragazzina supersexy, era una bambina piuttosto buffa, non canonica. Non so nemmeno se sia ancora pubblicato. Certamente, poi, con il successo delle Winx è stato praticamente spazzato via qualsiasi filone che non andasse in quella direzione. Diciamo che adesso si possono aprire nuove strade».
Può descrivere brevemente i meccanismi che portano una parte significativa del mondo femminile ad accettare e perpetuare – invece che a confutare e modificare – un’organizzazione sociale che danneggia maggiormente proprio le donne?
«Se devo essere molto sintetica su un argomento che necessiterebbe di molte ore di discussione, posso dire solo due cose. La prima è che spesso non c’è la consapevolezza della disparità sociale, professionale, economica e culturale. La seconda – e questo è un problema più ampio – è che siamo ormai in anni – spero giunti alla fine – dove ci si è occupati soltanto dei propri interessi personali, del proprio ambiente personale.
Un’obiezione che mi sono sempre sentita fare mentre presentavo il testo sulle bambine – e anche adesso, quando presento quello sulle vecchie – è stata: “Ma tra i miei amici non funziona così”, “nel mio ambiente non funziona così”. La perdita dello sguardo lungo, l’incapacità di guardare a quello che succede oltre le proprie quattro mura è l’elemento che ha fatto maggiori danni in questo Paese. Più che danni, veramente, ha avvelenato i pozzi. Credo che adesso non ci si possa più permettere di ragionare in questo modo».
Nel testo Non è un paese per vecchie, lei sostiene che nelle società di oggi la vecchiaia viene nascosta e negata e che c’è una notevole distanza tra la rappresentazione della vecchiaia stessa e la realtà. Vuole illustrare questo concetto?
«Oggi la vecchiaia non è rappresentata in quanto tale. Non è rappresentata in televisione, non è rappresentata sui giornali, se non in tre, quattro casi, quando arriva l’estate e ci si preoccupa su cosa faranno i “nonnini” – perché così vengono chiamati – con il grande caldo, quando gli anziani vengono truffati, e quando muoiono, da soli, in casa. Una rappresentazione dell’anziano oggi è inesistente perché la nostra è una società affetta da giovanilismo. Tra l’altro la falsa diceria – che è stata alimentata per anni – secondo la quale sarebbero gli anziani coloro che rubano il posto di lavoro ai giovani, ha creato anche qui dei danni gravissimi perché ha rotto, sta rompendo un patto generazionale su motivazioni che non corrispondono alla realtà. Perché nel nostro Paese non sono certo i pensionati, non sono certo i lavoratori anziani a bloccare le assunzioni dei più giovani, ma è un sistema economico e finanziario che sta mostrando – anzi ha già mostrato ampiamente – la cosa: noi siamo il Paese in Europa dove le persone tra i 54 e i 62 anni lavorano di meno».
“A new kind of generation”: è ammessa un’unica generazione, quella dei cinquanta-sessantenni. Come nasce questa idea che il tempo si possa fermare all’età di mezzo? E soprattutto, come si fa a crederci?
«Come si fa a crederci? Basterebbero le vicende che sono sui giornali di questi giorni per capire come si voglia disperatamente credere che il tempo non passi e che la giovinezza si possa fermare [l’intervistata si riferisce agli scandali sessuali che hanno coinvolto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, N.D.R.].
Diciamo che la generazione dei baby boomers, quella nata dopo il ’48, tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Sessanta, è una generazione che è stata – ed è – rispetto a quelle precedenti, la più numerosa, la più colta e quella con maggiori prospettive. Da quel momento il culto della giovinezza è qualcosa che non ci ha più abbandonato, qualcosa che tra l’altro non aveva precedenti dal punto di vista culturale e storico. Il problema è che non siamo più giovani. Lo stare avvinghiati a questa idea di immobilità fisica e mentale è qualcosa di devastante per tutti noi. Noi abbiamo espulso ogni discorso che riguarda la morte. La morte è un argomento che non si tocca più, un argomento tabù. Eppure è un argomento di cui tutte le civiltà hanno parlato, giustamente. Bisogna riprendere in mano questi discorsi».
Vuole raccontarci qualcosa della cosiddetta “generazione sandwich”, quella delle donne tra i 55 e 65 anni, schiacciate tra la cura dei figli/nipoti e dei genitori anziani?
«L’Italia è un Paese dove il welfare – di cui per altro adesso ci si vuole addirittura disfare completamente – è sempre stato gestito grazie alla presenza delle donne e al volontariato delle donne. L’Italia è un Paese dove l’assistenza ai bambini e agli anziani è sempre stata minima e mal gestita. Bambini e anziani possono essere accuditi, e quindi permettere il lavoro dei genitori, solo grazie alla presenza di questa generazione di donne che contemporaneamente accudiscono i nipoti e i genitori grandi anziani. Ed è una generazione eroica. In nessun altro Paese d’Europa i servizi alle famiglie vengono gestiti dal volontariato femminile».
La Legge 220/10 – meglio conosciuta come Legge di Stabilità per il 2011 – ha azzerato il Fondo Nazionale per le Non Autosufficienze e ha drasticamente ridotto il Fondo per le Politiche Sociali. Un provvedimento legislativo che danneggia in un colpo solo i vecchi nell’ultimo tratto della loro vita, le persone disabili gravi vita natural durante e coloro che (per lo più donne) si prendono cura di loro. C’è una relazione tra la falsa rappresentazione della vecchiaia di cui abbiamo parlato e questo tipo di interventi?
«Da una parte sì, perché non essere portati a conoscenza di un problema significa anche non occuparsene. La notizia di cui lei parla è stata riportata da pochissimi, è stata riportata dall’«Avvenire», è stata riportata da Fahrenheit [il programma radiofonico di Radio Tre condotto anche dall’intervistata, N.D.R.], è stata riportata in rete da alcuni blog, tra cui il mio, ma non è stata riportata dai grandi quotidiani. E questo è già inquietante.
In assoluto mi sembra che il modello sociale e civile che si è venuto prefigurando in questi anni in Italia è stato quello di aumentare la disparità tra i molto ricchi e tutti gli altri. Siamo un Paese dove le disuguaglianze economiche e sociali sono altissime, anche qui abbiamo un primato assolutamente negativo rispetto agli altri Paesi europei. Certo, la relazione c’è, però va inquadrata in un ambito più vasto, che riguarda l’interezza del nostro Paese».
Nei suoi studi le è capitato di “incontrare” bambine, donne o vecchie con disabilità? Se sì, come erano rappresentate? Quali ruoli ricoprivano?
«No, non mi è capitato; è molto vero che se ne parla abbastanza poco; è un argomento che si tende ad espellere. In effetti c’è un’invisibilità nell’invisibilità. Sia nelle rappresentazioni mediatiche, ma anche in quelle narrative, c’è quasi un’assenza. Questa questione, invece, andrebbe riproposta con molta forza».
L’idea di scrivere Ancora dalla parte delle bambine è nata a Bari, davanti a un aperitivo analcolico, quando Elena Gianini Belotti le ha offerto il suo testimone. Quella di scrivere Non è un paese per vecchie è nata anch’essa a Bari, presso la Feltrinelli, quando una signora, dal fondo della sala, si alza e le chiede quando si sarebbe occupata delle vecchie. Se le offro un aperitivo in libreria, nel suo prossimo lavoro – che stando ai post su Lipperatura, il suo blog, dovrebbe vertere sulla maternità – tratterà anche dalla maternità delle donne disabili?
«Vorrei! Però questa volta l’idea non nasce da un aperitivo, ma da una telefonata con una serie di amici che mi hanno sollecitata a concludere la trilogia. E così farò!».
*Testo già apparso, con il titolo di Donne: infanzia, vecchiaia e disabilità. Intervista a Loredana Lipperini, nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti, per gentile concessione della curatrice e dello stesso Gruppo Donne.
Bibliografia di riferimento
– Elena Gianini Belotti Elena (1973), Dalla parte delle bambine, Milano, Feltrinelli.
– Loredana Lipperini (2007), Ancora dalla parte delle bambine, Milano, Feltrinelli.
– Loredana Lipperini (2010), Non è un paese per vecchie, Milano, Feltrinelli.
Risorse in rete
Lipperatura di Loredana Lipperini (cliccare qui)
Loredana Lipperini (da Wikipedia, l’enciclopedia libera) (cliccare qui)
Le ruote magiche (cliccare qui)
(S.L.)
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