Sono stata molto titubante nell’accettare l’invito a partecipare all’importante convegno Poliomielite e sindrome post-polio: nuove frontiere terapeutiche [Malcesine, 25 settembre 2010, N.d.R.], perché, pur essendo portatrice di esiti di poliomielite e pur essendo medico e specialista in Pediatria e in Neuropsichiatria Infantile, mi sono occupata molto poco di questo argomento, tranne che per un breve periodo, negli anni in cui si cominciò a studiare la post-polio in Italia, perché interessata a promuovere un lavoro di ricerca. Ed è stato in quella occasione che ho contattato la dottoressa Laura Bertolasi all’Università di Verona e successivamente, con lei, i colleghi dell’Ospedale di Malcesine (Verona).
Quando si cominciò a parlare in Italia di post-polio, a seguito degli studi fatti in America, tutti noi, ormai adulti e anziani portatori di esiti di poliomielite anteriore acuta (la malattia di Heine-Medin, come allora veniva chiamata), ci siamo trovati a fare i conti con la progressiva perdita di competenze, con la diminuzione della forza muscolare, con dolori muscolari, con accentuata sensibilità al freddo ecc.
Gianni Selleri, il presidente dell’ANIEP (Associazione Nazionale per la Promozione e la Difesa dei Diritti Civili e Sociali degli Handicappati), la storica associazione nazionale dei portatori di esiti di poliomielite [scomparso nel 2006, Selleri fu per circa quarant’anni alla guida dell’ANIEP e tra i fondatori della FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.], mi contattava spesso, chiedendomi cosa fosse «questa post-polio». Voleva capire se si trattava di una sindrome clinica scientificamente documentata, quali potevano essere le modalità di ricerca, quali le prospettive terapeutico-riabilitative.
Ci ponevamo seriamente il problema di non sottovalutare, di non negare i problemi e nello stesso tempo di non esagerare, di non fare un calderone di tutti i disturbi che insorgono nei poliomielitici quando diventano anziani.
Devo dire con tutta sincerità che non sono aggiornata sulle ricerche più recenti, ma devo anche dire che comunque – tra le finalità della Sezione dell’ANIEP di Vicenza, istituita da pochi anni – la ricerca sulla sindrome post-polio appare sempre fra le prime. Devo tuttavia aggiungere che i pochi polio che siamo riusciti a coinvolgere nella Sezione – persone pur avanti con l’età, ma in piena attività lavorativa, che non mollano di fronte agli impegni e alla fatica, come tutti noi del resto – non intendono parlare non solo di post-polio, ma nemmeno di problematiche dell’handicap, salvo che per ottenere il famoso pass arancione per il parcheggio… Pochi altri, invece, probabilmente sofferenti – o insofferenti – per le perdite progressive, presi dal bisogno o dal desiderio di esami clinici e di interventi riabilitativi e terapeutici o per rivendicare diritti legati alla situazione di disagio, hanno lasciato l’Associazione, che sembra privilegiare aspetti di promozione sociale e culturale, piuttosto che medico-riabilitativi o assistenziali.
Sicuramente l’allungamento della vita comporta la comparsa di nuovi disturbi legati al decadimento generale della persona, disturbi più marcati in coloro che già portano esiti di patologie contratte nell’infanzia. Noi siamo i “reduci” delle epidemie che andarono più o meno dagli anni Trenta agli anni Sessanta del Novecento.
Nella grande epidemia del ’39, insieme a ventisette bambini dell’Asilo Rossi di Schio (Vicenza), accolti nel reparto di isolamento dell’ospedale locale, c’ero anch’io. Nel ‘61 c’ero ancora, ma dall’altra parte, già medico ad accogliere bambini febbricitanti e madri disperate nel reparto pediatrico – sempre dell’Ospedale di Schio – senza poter fare nulla, se non abbassare la febbre a bimbi che nel giro di una notte si ritrovavano con qualche arto o con il tronco paralizzati per sempre.
Poi la vaccinazione su larga scala ha eliminato – almeno da noi – la poliomielite. Dall’82 non ci sono più casi e la Regione Veneto per prima in Italia ha annullato l’obbligatorietà della vaccinazione antipolio, lasciando ai genitori la responsabilità della scelta se vaccinare o no.
E così càpita che i giovani medici non conoscano la poliomielite… Uno mi ha chiesto di recente: «Ma sei sicura di avere contratto la polio?». Se solo ne avesse visto qualcuno, non avrebbe dubbi sulla diagnosi! Arti flaccidi, più piccoli, più corti o accartocciati, come quelli che vediamo in certi bassorilievi dell’antico Egitto. «La testa alta a mordere l’aria», scrive una poetessa polio, le ginocchia ricurvate da far venire i brividi a guardarle… eppure in piedi, avanti… siamo tutti uguali. Qualche artrodesi [fusione articolare, N.d.R.] qua e là, più o meno valide.
C’è stato un periodo in cui gli ortopedici intervenivano con massicce artrodesi, ai piedi, alle ginocchia, alle anche, nell’intento di consentire la deambulazione: tanti pinocchietti tutti d’un pezzo! Poi sono arrivati i tutori, poi le stampelle e avanti, senza mollare mai!
Un fisioterapista mi disse una volta: «Non ho mai capito come fate voi polio a camminare… Se un adulto “normale” viene colpito da una qualche paresi, anche lieve, è un dramma, non si muove più…». Il poliomielitico sviluppa sin dall’infanzia delle competenze compensatorie impensabili, fa degli sforzi immani e inumani, ma non si ferma, a meno che non sia sopraffatto dallo sconforto, dalla depressione, dal senso di vergogna per la sua immagine corporea ferita. Va avanti con il capo eretto “a mordere l’aria”.
Molti di noi, soprattutto in giovane età – ma alcuni per sempre – provano un senso di mortificante vergogna a farsi vedere mentre si muovono arrancando. Non è facile accettare lo sguardo degli altri. «Spalancano gli occhi quando ti vedono per la prima volta, non sai se per sorpresa, imbarazzo, disgusto, fastidio o cos’altro», scrivevo anni fa in un racconto.
C’è sempre la variante della modalità psicologica di reagire di fronte alla malattia, al disagio, alla perdita, che varia nelle diverse persone, a seconda del carattere, del contesto di vita, delle aspirazioni, degli interessi e anche delle possibilità economiche, queste ultime da non sottovalutare!
Alcuni anni fa un convegno organizzato dall’AIAS (Associazione Italiana Assistenza agli Spastici) aveva per titolo La riabilitazione per la vita o la vita per la riabilitazione? Si era arrivati al punto che bambini e ragazzini colpiti da paralisi cerebrale infantile, assieme alle loro famiglie, passavano la vita fra una riabilitazione e l’altra, con i risultati che sappiamo, soddisfatti comunque di fare tutto il possibile e l’immaginabile per migliorare le loro performance e per non avere il rimpianto di non aver fatto tutto il possibile.
Viaggi oltreoceano, di famiglie intere, soggiorni negli Stati Uniti, costi enormi di energie e denaro. La vita per la riabilitazione. Ora, mi dice la madre di un ragazzo tetraplegico, laureato in fisica, continuiamo ad andare ogni anno negli States perché lì c’è un’altra accoglienza e «mio figlio tiene lezioni di fisica»!…
Come esiste un accanimento terapeutico di cui molto si parla in questi ultimi anni, così può esistere un accanimento negli accertamenti diagnostici e nella riabilitazione che impegna investimenti emozionali a volte enormi. Si può scegliere di ignorare fino a negare la sindrome per continuare a vivere tranquilli, oppure si può negare che si tratti di una sindrome incurabile, si può non accettare di perdere competenze, di stare male, di sentire freddo, perché si ha un’immagine onnipotente della medicina e delle terapie.
Credo che ognuno, secondo le proprie caratteristiche, possa scegliere dove stare, ma comunque sarebbe preferibile non esagerare in un senso o nell’altro. Sicuramente disturbi legati alla poliomielite pregressa ce ne sono, ma non sono sicura che siano curabili o eliminabili. Attenuarli forse è possibile, con i tanti accorgimenti che suggeriscono gli specialisti e magari con qualche terapia specifica, si vedrà.
Lentamente, per tutti – mi sembra assodato – c’è una progressiva perdita di forze e di competenze, dalla deambulazione autonoma – sia pure claudicante ma senza alcun sostegno – all’uso di tutori o stampelle e infine, per alcuni, la sedia a rotelle: se questo avviene per vecchiaia o per la sindrome post-polio, andrebbe verificato. Ma molti si rifiutano di approfondire e optano per altre risorse, fra le quali, a seguito di qualche caduta disastrosa, l’uso della sedia a rotelle.
Il passaggio alla sedia a rotelle è duro per i polio, viene rimandato sempre più in là, ma devo dire che porta anche tante belle compensazioni. Vedermi New York comodamente seduta sulla mia sedia a rotelle o sul mio miniscooter è una gran bella soddisfazione. Una cosa che non avevo mai provato nelle mie numerose visite alla “Grande Mela”, allorché appoggiata sulle stampelle non potevo alzare gli occhi all’Empire State Building per timore di cadere ed ero soltanto alla disperata ricerca di qualche panchina dove sostare, ad attendere gli amici che vagabondavano per Manhattan!
Giunti a una certa età e scoprire piano piano che la gamba che credevi buona non ti sostiene più, che per fare un gradino devi aggrapparti forte al corrimano… Cosa si fa? Si va a fare una visita specialistica fisiatrica, se trovi il fisiatra che conosce i polio! Gli dici che le ginocchia “vanno indietro”, le spalle ti dolgono, che non ce la fai ad appoggiarti sulla stampella e nemmeno a smuovere le ruote della carrozzina. Ti dicono che le tue spalle sono malandate, parlano di “cuffia sbrecciata”, di “legamenti sfrangiati”, gli fai vedere i bicipiti ridotti a due “molli salsicciotti” e timidamente chiedi «c’entra la post-polio?»; «quella, forse, ma è un’altra cosa», tagliano corto.
Tu sai bene che è l’età, è il logorio, ma forse c’è anche qualcosa d’altro… ma preferisci non approfondire. Qualche fisiatra ti dice non caricare su quelle ginocchia! Non camminare senza tutori! E chi li vuole i tutori? E allora ti comperi una seggiolina elettrica con il suo joystick e così corri di qua e di là per la casa, senza forzare le tue spalle malandate.
Questo è un modo per affrontare le difficoltà e andare avanti. Altrimenti ti sottoponi alle indagini cliniche, elettrofisiologiche, umorali, liquorali e altro, per verificare se di sindrome post-polio si tratta oppure no, “oppure ni”.
Tempo fa il mio bagnino mi disse: «Perché non prende la carnitina? Guardi che muscoli tengo io!»… La carnitina la prescrivevo ai bambini ipodistrofici quando facevo la pediatra, cinquant’anni fa. E perché no? Magari serve per davvero. Ma io preferisco farmi una fiorentina!
E il peso? Questo sì che è un bel problema! «Non aumentare di peso», me lo diceva sempre il mio amico ortopedico, «le tue gambe crollano, se aumenti di peso!». Ma come si fa a non aumentare di peso, se non consumi calorie? Fare ginnastica, nuotare… Già il lavarsi e il vestirsi al mattino è un gran lavoro di ginnastica, cosa si deve fare di più? Ognuno può scegliere il suo modo di vita oppure fa quello che può… L’importante è non crollare perché la depressione è dietro l’angolo, per tutti.
La scienza ha fatto e sta facendo ottimi servizi alla medicina, ma c’è il rischio dell’illusione “scientista”, che cioè il livello fisico-chimico esaurisca la medicina. Occorre ricomporre il gap tra i protocolli scientifici e la realtà individuale del paziente persona. In altre parole, è auspicabile che la scienza offra rimedi, senza ignorare la dimensione soggettiva della persona. Vedremo così collaborare genetica, biologia, ecologia, sociologia e psicologia, fino a centrare l’attenzione diagnostica e terapeutica sul singolo caso, visto in tutta la complessità delle componenti causali in gioco.
Nel suo libro Per una medicina umanistica [Torino, Lindau, 2010, N.d.R.], Giorgio Israel parla di una medicina come scienza biopsicosociale che mette insieme neuroscienze e psicologia. Sarà questa la via per affrontare le problematiche della post-polio?
Voglio concludere ricordando il motto della poetessa poliomielitica tunisina Canan Tolon: «à chaque pas vous tombez, / mais vous vous redressez comme pour mordre l’air!» [“ogni volta che cadrete / poi vi risolleverete comme per mordere l’aria!”, N.d.R.]. Mi sembra che queste parole centrino in pieno la caratteristica psicodinamica di tutti noi.
*Neuropsichiatra infantile. Presidente dell’ANIEP di Vicenza – Sede di Schio (Associazione Nazionale per la Promozione e la Difesa dei Diritti Civili e Sociali degli Handicappati). Riadattamento di una relazione presentata a Malcesine (Verona), durante il Convegno Poliomielite e sindrome post-polio: nuove frontiere terapeutiche, 25 settembre 2010.