In tempi di drastici tagli, ci sono Sentenze da non dimenticare

di Salvatore Nocera*
Una di quelle, ad esempio, è la Sentenza pronunciata nell'estate del 2009 dal Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Lombardia, Sede di Brescia - tra l'altro recentemente confermata dal Consiglio di Stato - con la quale si stabilì che i Comuni hanno l'obbligo di chiedere alle persone con disabilità la compartecipazione alle spese sociali del loro ricovero in strutture residenziali o semiresidenziali, solo in base al loro reddito personale e non del nucleo familiare. Particolarmente interessante la motivazione utilizzata: il TAR, infatti, precisa che il riferimento al reddito personale dell’interessato è stato voluto dal Legislatore per garantire la permanenza in famiglia o comunque un costante riferimento ad essa, senza che ciò debba costituire un danno economico per la stessa. E questa è proprio la logica dell'inclusione, che il Tribunale fa risalire anche alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, Trattato che viene letteralmente "esaltato" in questa decisione

Disegno della Dea Giustizia bendata, con un bilancino in manoNei tempi attuali, in cui i drastici tagli alla spesa pubblica costringono i Comuni a forti riduzioni delle prestazioni sociali anche nei confronti di persone con grave disabilità, nell’interesse di queste ultime sembra quanto meno utile ricordare una Sentenza emessa nell’estate del 2009 dalla sede di Brescia del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Lombardia (la 1470/09 del 13 luglio 2009), che chiarisce la portata dell’obbligo dei Comuni di tenere conto dell’ISEE personale dell’assistito, per le spese sociali del suo ricovero in strutture residenziali o semiresidenziali [l’ISEE è l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente, N.d.R.].

Quella Sentenza è ancora interessante perché affronta vari temi, oltre a quello principale. Innanzitutto in via pregiudiziale viene superata l’eccezione del Comune secondo la quale il ricorso doveva essere notificato entro sessanta giorni dalla conoscenza dell’atto impugnato. Il TAR lombardo ribadisce infatti il principio che in materia di  servizi individuali resi ai cittadini, la competenza dei Tribunali Amministrativi Regionali non riguarda solo gli interessi legittimi (per la cui tutela vale l’onere processuale dei sessanta giorni), ma si estende anche ai diritti soggettivi, con termini ben più larghi.
In secondo luogo il TAR respinge un’altra difesa del Comune concernente la regolarità processuale del tutore che interveniva nell’interesse di una persona interdetta. Infatti, l’autorizzazione del tutore ad agire era stata richiesta al Tribunale ed era intervenuta dopo l’inizio del processo, potendo in tal modo considerarsi tardiva. Il TAR concede invece l’autorizzazione, posta nell’interesse della persona interdetta, per evitarle cause rischiose, oltre che nell’interesse pubblico generale.

Passando poi al merito della questione, il TAR accoglie l’argomento dell’interessato, secondo cui  il Comune  ha l’obbligo di chiedere il concorso alle spese sulla base dell’ISEE del solo interessato e non del suo nucleo familiare. Ciò in base a una lettura ragionevole dell’articolo 3, comma 2 del Decreto Legislativo 130/00, che fissa tale principio.
Invero quella norma prevedeva l’emanazione di un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che regolasse gli aspetti applicativi del principio stesso. Il TAR, però, ritiene quest’ultimo come una norma immediatamente precettiva e quindi applicabile anche in assenza del Decreto che, quando interverrà, regolerà aspetti di dettaglio.
Ciò che è interessante, tuttavia, è la motivazione: Il TAR precisa infatti che il riferimento all’ISEE personale dell’interessato è stato voluto dal Legislatore per garantire la permanenza in famiglia o comunque un costante riferimento ad essa, senza che ciò debba costituire un danno economico per la stessa: è la logica dell’inclusione, che il TAR fa risalire anche alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con Legge 18/09, che viene letteralmente “esaltata” in questa decisione.
Al Comune, quindi, che eccepiva come la persona fosse ricoverata in un centro residenziale, il TAR replica che ciò non impedisce alla famiglia di continuarsi a occupare dell’assistito, come di fatto avveniva. Inoltre l’assistito stesso contribuisce effettivamente al suo mantenimento nella struttura, tramite le proprie condizioni economiche, versando cioè alla stessa tutta la pensione di invalidità e l’indennità di accompagnamento; quindi la famiglia, in quel caso, non era tenuta a contribuire.
Il TAR non nega tuttavia che nei casi in cui la situazione economica della famiglia sia di notevole benessere, essa possa essere chiamata a contribuire, rendendo in tal modo meno rigida l’applicazione del principio, dal momento che lo stesso articolo 3, comma 2 ter del citato Decreto legislativo 130/00 lascia all’emanando decreto tale eventuale possibilità. La Sentenza nega altresì la legittimità della prassi e di quelle norme regolamentari dei Comuni che chiedono i contributi ai familiari, tenuti all’obbligo degli alimenti. Quest’ultimo, infatti, è cosa diversa dal contributo alle spese dei centri residenziali, in quanto gli alimenti sono un diritto che solo l’interessato può far valere, senza che nessuno possa agire per ottenerli, al fine di finanziare delle spese sostenute per l’interessato stesso.

In conclusione quella decisione del TAR della Lombardia – tra l’altro recentemente confermata dal Consiglio di Stato, con la Sentenza n. 551/11 del 26 gennaio 2011 – sembra di piena tutela dei diritti delle persone economicamente più deboli, senza trascurare, all’occorrenza, i patrimoni familiari considerati  più agiati secondo criteri di ragionevolezza.

*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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