Da molti anni l’ANMIL (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro), in occasione della Festa della Donna dell’8 marzo, intraprende iniziative volte a studiare e a dare visibilità alla condizione delle donne che hanno riportato una disabilità a seguito di un infortunio sul lavoro. Quest’anno, ad esempio, è stato lanciato il 7 marzo a Roma il Concorso Foto-Biografia, promosso insieme all’INAIL, con l’obiettivo di fare il punto sulla sicurezza del lavoro al femminile e di far conoscere le condizioni delle donne all’indomani di un infortunio, al fine di comprendere meglio come prevenzione e tutela rappresentino due aspetti imprescindibili di uno stesso problema che richiede un forte impegno sociale e istituzionale (se ne legga nel nostro sito cliccando qui).
Su questo e altro abbiamo parlato dunque con Franco Bettoni, presidente dell’ANMIL, che descrive il fenomeno degli infortuni al femminile in modo lucido, fornendo anche numerosi spunti di riflessione.
In numerose occasioni l’ANMIL ha voluto analizzare la condizione delle donne infortunate nella società, con l’obiettivo di evidenziare, per superarle, le diverse difficoltà che una donna incontra, rispetto a un uomo, sia nell’ordinaria gestione del lavoro e della famiglia, sia nel superare un evento traumatico quale può essere un incidente sul lavoro. Ce ne può parlare in dettaglio?
«Tutte le nostre riflessioni partono da un presupposto fondamentale: il riconoscimento che la donna svolge sistematicamente due attività di pari dimensione e gravosità lavorativa, prima ancora che sociale: quello di lavoratrice e quello di casalinga, ruoli che producono, allo stesso modo, ricchezza e valore aggiunto per la comunità. Infatti, accanto all’attività propriamente professionale che le donne svolgono fuori casa, vi è quella di cura della “società familiare”, che è loro affidata in via spesso esclusiva in virtù di una specifica missione riconosciuta anche a livello costituzionale. E questo duplice impegno, secondo l’ANMIL, richiederebbe un cambio di passo a livello normativo e amministrativo, che prendesse le mosse dallo studio delle reali esigenze delle donne, di quelle “differenze di genere” non più da negare, ma da cui partire per garantire alle donne lavoratrici la pienezza dei propri diritti, sia nel momento della prevenzione sia in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale da recuperare».
Che cosa ci può dire, invece, riguardo alla situazione italiana delle donne con disabilità per quanto riguarda l’inserimento lavorativo?
«Purtroppo, nulla di buono. Da alcune nostre indagini, condotte su oltre 750 donne infortunate in tutta Italia, risulta che su 10 donne che hanno subito un infortunio oltre i 50 anni d’età, 6 hanno smesso di lavorare. Sotto i 50 anni il dato è più contenuto, ma ugualmente molto grave, e si attesta al 40%.
Questo è il frutto di una doppia discriminazione: nei confronti dei disabili, come testimonia l’ultima Relazione al Parlamento sull’applicazione della Legge 68/99, che su oltre 700.000 iscritti alle liste di collocamento solo 20mila sono stati avviati al lavoro; e nei confronti delle donne; infatti, ogni mese l’ISTAT ci ricorda che in Italia metà di loro non lavora. Aggiungo inoltre che in una delle nostre ricerche, La condizione della donna infortunata nella società, è emerso dalle intervistate che avvertono di essere particolarmente discriminate sia come donne che come donne disabili».
Quale tipo di proposte avete avanzato a livello istituzionale per far fronte alle problematiche emerse dalle vostre ricerche? C’è stata, ad oggi, qualche significativa risposta?
«Sono numerose le battaglie storiche di cui l’ANMIL, da quasi settant’anni, si fa ideatrice e promotrice per migliorare le condizioni di salute e di tutela dei lavoratori nonché la vita degli infortunati all’indomani di un incidente sul lavoro.
Una recente iniziativa di cui sono molto orgoglioso è la presentazione dei risultati di un recente studio sulle conseguenze psicologiche di un infortunio sul lavoro. Lo studio, commissionato dall’ANMIL e dalla Fondazione Sosteniamoli Subito ONLUS, è stato condotto da un gruppo di esperte del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Padova ed è iniziato ben cinque anni fa. Fondamentale è stato il contributo dei nostri Soci che, individuati dalle Sezioni territoriali secondo rigorosi criteri dettati dai ricercatori, si sono sottoposti a questionari, interviste e test vari, facendo riemergere ricordi, paure, dolori, emozioni non piacevoli.
L’esigenza di questa importante ricerca è nata dalle criticità e dalle problematiche, soprattutto di natura psicologica ed emozionale, emerse proprio dalle telefonate pervenute da vittime del lavoro all’équipe di psicoterapeuti del Servizio di Sostegno e Consulenza Psicologica, istituito ben dodici anni fa dall’ANMIL, attraverso un numero verde completamente gratuito a disposizione non solo di vittime del lavoro, ma anche dei loro familiari. È dunque con grande soddisfazione che posso affermare che l’ANMIL è l’unica istituzione in Italia ad aver dato per prima importanza ad un fattore ancora troppo trascurato come il trauma psicologico post-infortunio sul lavoro. Questa lungimiranza è infatti il frutto della consolidata esperienza dell’ANMIL stessa a stretto contatto con gli infortunati e i familiari, che ci ha permesso di capire che all’evento traumatico sono collegate problematiche legate alla sfera emotiva, relazionale e sociale e la conseguente difficoltà al reinserimento nella vita lavorativa. Basti pensare che in questi dodici anni di attività sono stati effettuati 6.254 colloqui clinici, di cui 4.647 con gli infortunati, 379 con i coniugi, 1.228 con altri familiari e altri utenti. E di questi contatti il 25% erano donne che hanno avuto il coraggio di telefonare ed aprirsi e raccontare i propri drammi personalissimi, causati da un incidente sul lavoro, sia in quanto vittime sia in quanto familiari.
Ci tengo ad aggiungere che ormai da dieci anni per dare voce anche ai diritti e alle problematiche specifiche delle donne infortunate sul lavoro – oltre a promuovere concorsi e campagne – portiamo avanti proposte di legge come quella già presentata all’attuale Governo per il riordino della normativa a tutela dai rischi professionali».
Com’è la situazione italiana riguardo la “politica della prevenzione”? Che cosa è più faticoso? Sensibilizzare l’opinione pubblica? Responsabilizzare il lavoratore? Contrattare a livello ministeriale? Far rispettare le norme di sicurezza al datore di lavoro?
«Innegabilmente di passi in avanti ne sono stati compiuti, anche rispetto a pochi anni fa. I datori di lavoro, e in particolare quelli delle grandi aziende, appaiono molto più consapevoli e responsabili rispetto al problema. Rimangono, tuttavia, alcuni grossi ostacoli. I media, ad esempio, accendono i riflettori sul tema della sicurezza solo a fronte di tragedie di enormi proporzioni, come quella della Thyssen, mentre sembrano ignorare che il fenomeno degli incidenti, soprattutto non mortali, è quotidianamente drammatico, con 2.500 incidenti al giorno. Ma di questo fenomeno è difficile che l’opinione pubblica abbia una corretta percezione. E poi c’è il problema, anche questo di grande rilievo, dei controlli: gli ispettori sono troppo pochi e la frequenza di verifiche per ogni azienda è davvero risibile».
L’AMNIL, da un po’ di anni, dedica particolare attenzione alla Festa della Donna. Che cosa si è fatto, quest’anno, per celebrare l’8 marzo?
«Anche quest’anno abbiamo ritenuto fondamentale sottolineare che questa data non deve ridursi semplicemente a un momento consumistico, ma dev’essere un’importante occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche del mondo del lavoro femminile e sulle relative politiche per l’occupazione, la sicurezza sociale e l’assistenza. Partendo quindi da un’intuizione del Gruppo ANMIL per le Politiche Femminili, abbiamo lanciato – in collaborazione con l’INAIL – il Concorso Foto-Biografia. Dopo il successo del Concerto Note scordate che l’anno scorso a Roma ha esaltato la forza e l’impatto della musica, questa volta abbiamo scelto di affidare alla “bellezza” femminile e al potere evocativo delle immagini e delle parole un tema complesso e delicato come quello del lavoro delle donne e il mondo dei rischi che esso comporta. Fino al 10 maggio 2001, quindi, le donne infortunate sul lavoro o quelle colpite da malattia professionale di tutte le età potranno partecipare alla nostra iniziativa inviando due foto e un racconto della propria storia secondo quanto indicato nel regolamento, scaricabile sul portale dell’ANMIL [cliccare qui, N.d.R.]. Una giuria – composta dal sociologo Domenico De Masi, da Susanna Zeller, vicecapo gabinetto del Ministero del Lavoro, da Rosalba Veltri del Dipartimento per le Pari Opportunità, dalla giornalista RAI Maria Luisa Busi e dal presidente della Maison Gattinoni Stefano Dominella, valuterà sia i ritratti che le storie per selezionare le dodici protagoniste – ovviamente tutte vittime del lavoro – di un Calendario ANMIL 2012. Quest’ultimo sarà realizzato grazie alla professionalità e alla creatività di un noto fotografo il cui compito sarà quello di immortalare la femminilità e la bellezza di queste donne e di uno scrittore che si occuperà di redigere le storie.
Ci auguriamo che un linguaggio immediato come quello delle foto e delle storie abbia la forza e il merito di far riflettere, commuovere, stupire, sensibilizzare sulla condizione delle vittime del lavoro “rosa”. Noi sappiamo quanto sia difficile oggi essere donna, madre, moglie, lavoratrice e casalinga e quanto lo sia ancora di più per una donna a cui manca un arto o che sia stata colpita da una malattia invalidante. Il nostro storico impegno – in particolare nei confronti delle tematiche al femminile – è quello di dimostrare che le ferite e le cicatrici di un infortunio sul lavoro non sono solo quelle visibili sul proprio corpo, ma anche quelle che emergono nella quotidianità, quando fare le cose più semplici diventa un’impresa, un percorso a ostacoli per superare il quale nessuna donna dovrebbe mai rimanere sola, per non perdere la stima e la fiducia nelle proprie forze e negli altri».
Solitamente una ricorrenza è l’occasione per lanciare un’idea, un messaggio, una richiesta. Oppure per fare il punto della situazione su determinate problematiche e fissare nuovi obiettivi. È durante tutto il resto dell’anno che continua il lavoro per concretizzarli. Ad oggi, in tema di donne vittime di incidenti sul lavoro, che cosa sentite di aver faticosamente ottenuto e per cosa invece state ancora lottando?
«Innanzitutto, l’ANMIL ritiene che sarebbe opportuna l’istituzione di un luogo di confronto permanente sulle tematiche legate alla prevenzione degli incidenti sul lavoro al femminile e sulle problematiche legate al post-infortunio, come un osservatorio presieduto dal Consigliere Nazionale per le Pari Opportunità, composto da rappresentanti di enti pubblici, parti sociali e rappresentanti di associazioni nazionali di lavoratori infortunati e invalidi; ovvero da tutti quei soggetti che, a vario titolo, sono coinvolti nel miglioramento dei livelli di difesa del lavoro femminile.
Per quanto riguarda invece la tutela assicurativa, non si tiene conto dei diversi riflessi che un infortunio sul lavoro o una malattia professionale hanno su una donna piuttosto che su un uomo: dalla perdita di un arto, ad esempio, ad una cicatrice, alla riduzione di funzionalità, che ledono capacità e abilità, ma prima ancora dignità personale e sociale. Per fare un esempio, i tumori tipicamente femminili, come quelli della mammella, richiedono una mastectomia totale. Eppure, nella Tabella delle Menomazioni valgono al massimo 10 punti su 100, sia per l’uomo che per la donna, in quanto la definizione è generica (“neoplasie maligne che si giovano di trattamento medico e/o chirurgico locale, radicale”). Ma l’asportazione totale del seno in una donna può essere valutata così poco e messa sullo stesso livello di quella dell’uomo? Per questo l’ANMIL ha più volte ribadito che nella valutazione dell’evento lesivo debba essere considerata anche la specificità di genere, perché variabile della complessiva situazione personale del lavoratore. Solo da questa prospettiva è possibile fornire alla lavoratrice infortunata tutte le cure necessarie e utili, nel rispetto per altro della pluralità degli impegni cui la donna deve assolvere nel lavoro dentro e fuori casa.
Ci sono poi danni diversi da quelli fisici, forse meno evidenti, ma non meno importanti. Mi riferisco in primo luogo alle conseguenze dell’infortunio sul piano psicologico, del segno che inevitabilmente un evento tanto traumatico lascia sulla persona, che per una donna può comportare ancora maggiori difficoltà di pieno reinserimento nella vita sociale e lavorativa. Si tratta in questo caso di una storica battaglia dell’ANMIL, ora supportata dai risultati di un recente studio condotto assieme al Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova, che ha messo in luce la maggiore vulnerabilità degli individui che hanno subito un incidente sul lavoro allo sviluppo di disturbi d’ansia e, in particolare, di un disturbo da stress post-traumatico, oltre che depressione, riduzione della capacità di concentrazione e difficoltà nel fronteggiare situazioni stressanti. Problemi che, se non affrontati adeguatamente, potrebbero compromettere l’intero processo di recupero del “valore persona”, che per una donna ha innegabilmente aspetti peculiari da affrontare con specifica attenzione. Per non parlare poi delle inevitabili conseguenze che un incidente sul lavoro determina sulla vita familiare di una donna, che vedrà purtroppo compromesse anche le sue potenzialità di accudire i figli e gestire le faccende legate alla conduzione domestica. Si tratta di danni concreti, anche se mai presi in considerazione dall’assicurazione infortuni. Per questo l’ANMIL si batte anche per il riconoscimento giuridico di questi aspetti della tutela risarcitoria, ad esempio attraverso l’istituzione di una speciale integrazione temporanea della rendita per l’infortunata madre di figli di età inferiore a tre anni, proprio per la peculiare condizione di bisogno che può scaturire in un periodo della vita in cui i figli sono affidati quasi sempre esclusivamente alle cure materne.
Il quadro di presa in carico della donna infortunata deve poi necessariamente completarsi con idonei percorsi di reinserimento lavorativo e sociale, che consentano alla donna infortunata di rientrare quanto prima nel mondo del lavoro, valorizzando competenze e formazione e rimuovendo ogni ostacolo al pieno recupero delle proprie capacità lavorative».
*Intervista già apparsa, con il titolo di Invalidità per infortunio sul lavoro: la condizione femminile, nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Viene qui ripresa, con minimi riadattamenti, per gentile concessione del Coordinamento Gruppo Donne UILDM, che l’ha curata e che oltre al presidente dell’ANMIL Franco Bettoni, ringrazia, per la disponibilità Marinella de Maffutiis, responsabile dell Comunicazioni e Relazioni Esterne dell’ANMIL.