I gravissimi: chi sono e quanti sono?

di Giorgio Genta*
Secondo una recente ricerca svolta a Torino, sono «coloro che necessitano di assistenza continua 24 ore su 24, a volte prestata anche da più persone contemporaneamente, l'interruzione della quale, anche per un periodo molto breve, può portare a complicanze gravi o anche alla morte». E "contare" queste persone - che alla fine, guardando all’intera popolazione italiana, risultano una vera e propria "goccia nel mare" - diventa molto importante, in questi tempi di magre risorse, che evidenziano la necessità di salvaguardare maggiormente chi ha più bisogni, specie in campo assistenziale

Bimobo con gravissima disabilità in braccio alla madreLi abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, sono all’interno delle nostre famiglie, lo siamo noi stessi – alcuni nei corpi, altri nell’anima – eppure abbiamo difficoltà a rispondere con precisione alla domanda: chi sono i gravissimi?
Non si tratta semplicemnente di trovare una definizione condivisa della persona con disabilità gravissima, si tratta anche e soprattutto di poterne definire le caratteristiche, in modo – detto un po’ brutalmente – da “poterli contare”, da cercare di capire quante, tra le persone con disabilità grave “certificata”, possano essere definite “gravissime”.

La chiara finalità di quanto sopra va ricercata nella tristezza dei tempi: nel riparto delle sempre più magre risorse, bisognerà infatti salvaguardare maggiormente le esigenze di ha maggiori necessità, soprattutto in campo assistenziale.
Il recente testo Caregiving familiare e disabilità gravissima. Una ricerca a Torino (se ne legga anche su queste pagine cliccando qui) dedica molte pagine alla definizione del concetto sopra esposto: alla fine le Autrici [Cecilia Maria Marchisio e Natascia Curto, N.d.R.] scelgono la seguente definizione: «È persona con disabilità gravissima chi necessita di assistenza continua 24 ore su 24, a volte prestata anche da più persone contemporaneamente, l’interruzione della quale, anche per un periodo molto breve, può portare a complicanze gravi o anche alla morte».
La definizione – nominalmente di chi scrive, ma in realtà frutto dell’esperienza delle nostre famiglie – ha permesso di evidenziare l’aspetto assistenziale, facendolo prevalere su quello clinico. Un passaggio, quello della demedicalizzazione della disabilità, da anni portato avanti dalle associazioni aderenti alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e che a noi appare ovvio e scontato, ma che incontra ancora forti ostacoli nel mondo politico e in quello clinico, soprattutto proprio in relazione ai gravissimi.

Ora dunque che abbiamo adottato una definizione operativa delle persone con disabilità gravissima, proviamo “a contarle” e per farlo è necessario individuare altri criteri operativi.
La citata indagine di Torino li identifica così:
– che vivano in famiglia;
– che abbiano un’età tra 0 e 65 anni;
– che siano noti ai Servizi (se no come si fa a contarli?).
Ebbene, sulle 630 persone in alta fascia assistenziale, note ai Servizi di Torino, 38 sono risultate, in base ai criteri adottati, con disabilità gravissima; rapportando poi questi dati al numero degli abitanti, si parla di un disabile gravissimo ogni 18.000 abitanti. Estrapolando infine tale rapporto a livello nazionale – con tutte le precauzioni e i distinguo possibili – si avrebbe un numero di persone con disabilità gravissima attorno ai 3-4.000. Una “goccia nel mare” dei 60 milioni di italiani.

*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).

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