La classe è costituita da tutti gli alunni: è ambiente educante e formativo per eccellenza. È nella classe che si attua e si realizza l’integrazione scolastica, dove si inizia a costruire la società inclusiva, quella contemplata nella nostra Costituzione.
Il Disegno di Legge n. S 2594, presentato dai senatori Francesco Bevilacqua e Antonio Gentile (Disposizioni per favorire il sostegno di alunni con disabilità), mira invece a frantumare questa realtà, creando un luogo in cui prima della persona e della sua dignità appare ciò che lo rende “diverso”, stigmatizzando il funzionamento individuale. Infatti, la non-classe disegnata dai due senatori proporrebbe “alunni con…”, suddivisi per fasce o per gruppi, ciascuno con la sua caratteristica specifica.
Ma quella proposta non si limita solo ad annullare la dimensione sociale del gruppo-classe come identità impegnata nel percorso formativo, essa va oltre, tentando di sottrarre agli insegnanti i compiti per i quali sono chiamati a impegnare congiuntamente, per tutti gli alunni, la loro professionalità. E riappare, sempre più vicino, lo spettro delle classi differenziali come luogo di “raccolta della diversità”, separata secondo il criterio di “alunno con…”. Vediamo di seguito perché.
Depositato il 2 marzo scorso e attualmente in discussione presso la Settima Commissione del Senato, il Disegno di Legge n. S 2594 lascia perplessi fin dalle prime righe. «Non si privatizza il sostegno», è il grido d’allarme che echeggia nel web da parte delle Associazioni delle persone con disabilità, delle loro famiglie e di tanti professionisti che operano nel settore. Ma in che cosa consiste esattamente questa proposta? Qual è, in ultima analisi, il nocciolo della questione?
I due senatori del Popolo della Libertà – appellandosi alla normativa italiana in materia scolastica e partendo dall’assioma anticipato dalla Legge 104/92 (articolo 12, comma 4), ossia che «L’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap» – ingarbugliano le affermazioni successive, mescolando normativa, profili professionali e indicazioni pseudo-operative.
Certamente quello che balza agli occhi con chiarezza, è l’opportunità offerta al privato di poter entrare – finalmente e in misura sempre più massiccia – nel pubblico. A costo zero per il bilancio, afferma il comma 2 dell’unico articolo contenuto nel Disegno di Legge.
E la preoccupazione più volte “lanciata e gridata” dalle famiglie, così come dagli insegnanti, sulla mancata continuità educativo-didattica viene fatta propria da questa proposta, ma esclusivamente sotto il profilo educativo. La formulazione della norma si àncora infatti alla sola componente educativa, lasciando intendere al lettore distratto che questa contenga anche quella legata alla sfera didattica, specificità propria della scuola, assolta unicamente dagli insegnanti.
Utilizzando poi quale paravento l’autonomia scolastica, il Disegno di Legge tenta di scardinare le ultime resistenze, giocando ancora in controluce, lasciando intendere, ma omettendo. In tale contrasto, entrano in scena anche gli Enti Locali e le ASL, indicati come coloro che «debbono sostenere gli interventi scolastici», auspicando che il coordinamento venga assunto dalle Istituzioni Scolastiche.
Ed è qui che si mette in atto lo scacco finale. Vista la nuova opportunità offerta alle Istituzioni Scolastiche, perché non pensare anche agli alunni con disturbi specifici di apprendimento (DSA)? Perché non “creare” un’altra categoria (leggasi “opportunità per il privato”)?
Ci si arrampica persino sugli specchi, tentando di evidenziare come i “progetti” realizzati con la collaborazione dei privati possano andare a rispondere ai bisogni formativi degli alunni con DSA (bisogni, invece, ai quali devono rispondere “tutti e ciascun” insegnante della classe. Per questo non è stata prevista un’ulteriore figura a supporto della classe nel suo insieme!).
Ma i due cofirmatari – nel cercare di persuadere sulla bontà della loro proposta – ne declinano addirittura l’obiettivo, così come lo si può rintracciare nell’ultimo capoverso della presentazione: «…si propone pertanto una disposizione volta a favorire l’inserimento ottimale degli alunni diversamente abili, per migliorare la qualità dell’integrazione degli stessi e di tutti gli allievi con bisogni educativi speciali» (e qui vorremmo evidenziare il termine ottimale, in forte contrasto con i criteri di “qualità” da sempre perseguiti dalla scuola pubblica italiana).
Il primo comma
Il primo comma dell’unico articolo del Disegno di Legge autorizza i Dirigenti Scolastici ad avvalersi, «per il sostegno di alunni con disabilità», della «collaborazione di privati» mediante specifici progetti, facendo riferimento all’articolo 5 del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) del 24 febbraio 1994, articolo che riguarda l’elaborazione del PEI (Piano Educativo Individualizzato), al quale partecipano, per legge: gli insegnanti della classe, il docente psico-pedagogista, se presente, la famiglia e gli operatori dell’ASL.
La Proposta di Legge apre sostanzialmente due fronti: uno dal punto di vista educativo-didattico, l’altro da quello organizzativo. Essa, di fatto, racchiude più contraddizioni, tendendo anzi ad anticipare prospettive che – rispetto alla normativa fino ad oggi emanata – introducono una vera e propria inversione di tendenza. Affermare infatti che la continuità (e solo sul versante “educativo”) debba e possa essere affidata a non ben definite professionalità esterne, debitamente riconosciute, però, come appartenenti al settore privato, la dice lunga sull’integrazione degli alunni con disabilità nelle classi comuni.
Sostanzialmente e formalmente, il testo contraddice quanto segue:
1. che l’alunno con disabilità appartiene al gruppo-classe, di cui anzi è parte organica e che per questo non può essere “pensato” all’interno dell’ambiente formativo come “elemento estraneo” e ancor meno come “elemento aggiunto”;
2. che il docente incaricato su posto di sostegno è un insegnante di tutti gli alunni della classe: una contitolarità e non una compresenza. Continuare ad insistere sulla continuità correlata unicamente a coloro che sono incaricati su posto di sostegno, equivale poi a coltivare nell’opinione pubblica – ma anche fra gli operatori scolastici e sanitari e fra le famiglie – l’idea che il docente per il sostegno sia “docente personale dell’alunno”. Ritenere in altre parole che la continuità sia una questione limitata a uno solo dei docenti della classe, significa annullare e negare contestualmente il processo di integrazione scolastica, iniziato una quarantina di anni fa e che non ha nessuna voglia di “andare in pensione” e ancor meno di scomparire nell’oblio).
Le Linee Guida del MIUR
L’inclusione scolastica – come ha richiamato con forza il ministro Gelmini nelle Linee Guida per l’Integrazione degli Alunni con Disabilità dell’agosto 2009 – fa perno tanto sulla corresponsabilità di tutti gli insegnanti della classe, quanto sull’importanza dei ruoli che ciascuno è chiamato a svolgere secondo le rispettive competenze.
Le stesse Linee Guida ben specificano i ruoli di coloro che – sulla base del PEI – sono chiamati a formulare i rispettivi progetti personalizzati a favore dell’alunno con disabilità: il progetto riabilitativo, a cura dell’ASL (Legge 833/78, articolo 26); il progetto di socializzazione, a cura degli Enti Locali (Legge 328/00, articolo 14); il piano degli studi personalizzato, a cura della Scuola (Decreto Ministeriale 141/99, come modificato dall’articolo 5, comma 2 del DPR 81/09).
La dimensione inclusiva della scuola prevede, condicio sine qua non, la partecipazione attiva e fattiva delle componenti qui richiamate. Ma non solo. La loro assenza, infatti, in termini di collaborazione e coordinamento, così come ventilata dal Disegno di Legge, non è ipotizzabile, perché secondo le Linee Guida del ministro Gelmini essa costituirebbe «una concezione distorta dell’integrazione». Ed è di così pregnante rilievo questo aspetto, che il Ministro richiama più volte alla responsabilità inclusiva il Dirigente Scolastico, attribuendogli una serie di compiti inderogabili. Viene posto poi l’accento sul ruolo di ciascun componente la comunità scolastica, degli organi collegiali e degli organismi preposti, come il GLH di Istituto [Gruppo Lavoro Handicap, N.d.R.] fino al GLH operativo, al quale partecipa, di diritto, la famiglia.
I due senatori cofirmatari del Disegno di Legge riaffermano la necessità di una continuità educativa da attribuire a un “progetto” che il Dirigente Scolastico può attivare con il privato. Ma chi sono queste figure che dovrebbero realizzare questo progetto “di continuità” a favore del processo di integrazione? Quali compiti e quale ruolo avrebbero? Non solo le famiglie, infatti, ma anche gli insegnanti gradirebbero sapere con chi sono chiamati a confrontarsi o, eventualmente, a collaborare. E soprattutto dovrebbe essere esplicitato il profilo professionale di questi operatori. Quali competenze dovrebbero possedere? Quanti parteciperebbero al progetto per ciascuna classe?
Contemplando – come i due cofirmatari ricordano – «l’esercizio del diritto all’istruzione e all’educazione», il percorso scolastico prevede che agli alunni con disabilità venga assicurato un percorso di qualità sotto il profilo educativo e degli apprendimenti al tempo stesso. E nella scuola gli apprendimenti – così come gli aspetti educativi – attengono al compito e alla responsabilità degli insegnanti. Anzi, costituiscono il loro compito fondamentale: educare e istruire.
Non si può entrare nella scuola privi di formazione idonea e ancor meno si può pensare che agli alunni con disabilità sia sufficiente assicurare solo il percorso educativo. Abbracciare questa prospettiva, infatti, vuol dire negare la dimensione valoriale delle persone con disabilità, stigmatizzarne la presenza e incrinare la loro dignità di persone.
Da tempo nella scuola si respira, con preoccupazione, un ritorno alle scuole speciali e alle classi differenziali. Molte, troppe cattive prassi si stanno affermando in molte, troppe scuole: prassi che le Linee Guida Ministeriali hanno stigmatizzato in modo secco e senza replica.
Nessuna attività scolastica può essere riservata a gruppi di studenti composti da soli alunni con disabilità o da questi insieme ad altri scolasticamente più fragili: questa prassi è contraria alle norme di legge. E il Ministro, al riguardo, è così convinto di tale affermazione da ribadire che questa modalità operativa non è applicabile neppure per limitati periodi di tempo: proprio perché l’integrazione scolastica dev’essere attuata all’interno delle classi, insieme ai compagni, sotto la responsabilità di ciascun docente della classe. E se dal punto di vista della didattica, i passaggi precedenti rilevano l’incompatibilità fra la proposta dei senatori Bevilacqua e Gentile e la prassi di una scuola inclusiva, a completamento si potrebbero porre alcuni rilievi anche sotto il profilo organizzativo.
In tal senso, a chi competerebbe la coordinazione del processo di integrazione? Già molti stanno creando grande confusione in merito ai compiti degli assistenti ad personam (figure assegnate all’alunno e non alla classe; figure che non hanno fra i loro compiti quello della didattica, ma solo compiti legati all’autonomia e alla comunicazione).
Vi è più di un caso riguardante assistenti che, presentandosi a scuola, si propongono come “il riferimento dell’integrazione” e, talvolta, pretendono di sostituire il docente anche sotto il profilo didattico. La presenza degli assistenti, invece, va ponderata e calibrata sulla base delle effettive necessità. Non sempre, infatti, questa figura è necessaria e ancor meno la si può pensare come il prolungamento del docente specializzato, proprio perché non ne ha le competenze né la professionalità. Gestire inoltre all’interno della classe più figure, può diventare problematico e complicare l’attività scolastica piuttosto che facilitarla.
In sintesi, questo Disegno di Legge tende a destabilizzare un sistema complesso e articolato, caratterizzato da criticità e potenzialità molteplici. Vi si avverte una sorta di sottrazione della dimensione formativa, a svantaggio degli alunni con disabilità e ad esclusivo vantaggio del privato.
Leggiamo infine con perplessità la nota diramata nei giorni scorsi dall’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) [il nostro sito l’ha ripresa, con il titolo Inaccettabile privatizzare il sostegno, a firma di Salvatore Nocera e Mario Berardi ed è disponibile cliccando qui, N.d.R.].
Non possiamo infatti condividere l’apertura offerta per gli alunni con disturbi specifici di apprendimento (DSA), concedendo quale contropartita una richiesta non solo strumentale, ma ostinatamente bloccata al solo docente per il sostegno. Se è condivisibile la tesi dell’attribuzione ai docenti (di ruolo e precari) di un servizio “continuato” nella stessa classe per il periodo di durata del ciclo scolastico (ovviamente le assegnazioni dovrebbero partire dalle classi prime!), è difficile vedere nel vincolo decennale una soluzione per la continuità. Certo, si può anche transitare sul curricolo o sul posto comune – professionalità a vantaggio di tutto il sistema scuola – ma occorre ricordare sempre che l’incarico, all’inizio di ogni anno scolastico, viene attribuito dal Dirigente Scolastico il quale può optare come ritiene, ancor più se il docente è in possesso di competenze professionali per il sostegno.
Va aggiunto, in conclusione, che è un falso mito, una vera e propria “leggenda metropolitana”, ritenere che la continuità riguardi solo il docente di sostegno il quale, nella classe, resta solo per poche ore (4, 5, 6, 9…).
Impariamo dunque a guardare i veri aspetti della questione: la continuità, unitamente alla formazione, riguarda tutti gli insegnanti della classe. Pertanto, se veramente si ha a cuore l’integrazione, è su questo fronte che occorre agire. Altrimenti si fa demagogia. Oppure si prepara, in modo subdolo, la strada per togliere dalle classi comuni gli alunni con disabilità, un disegno sommerso che appare palese. Ed è contro questo disegno che bisogna lottare, diffondendo davvero la cultura dell’integrazione, quella cultura che riconosce l’alunno come alunno della classe, frequentante cioè una classe in cui tutti i docenti siano in grado di rispondere ai suoi bisogni e dove il docente per il sostegno svolga sostanzialmente il suo ruolo di insegnante, meglio, di “regista dell’inclusione”.
*Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno.
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