La Cooperativa Sociale La Formica di Controguerra (Teramo), in Val Vibrata, ha organizzato la quinta edizione di Teatri paralleli. Festival di teatro delle differenze, serie di spettacoli in corso di svolgimento fino al 10 luglio a Sant’Omero, sempre in provincia di Teramo (le edizioni precedenti si erano svolte nella vicina cittadina di Torano Nuovo).
L’evento – sostenuto principalmente dalla Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo e dalla Pro Loco di Sant’Omero – è uno dei principali punti di riferimento culturali sul territorio. Il direttore artistico Ottaviano Taddei ha risposto alle nostre domande, riguardanti sia il Festival che la sua visione di teatro sociale. (Alfredo Radiconcini)
Com’è nato il Festival Teatri paralleli?
«All’interno del Centro Diurno Socioeducativo della Val Vibrata – gestito dalla Cooperativa La Formica e frequentato da più di venti ragazzi in situazione di handicap – il teatro è una delle attività fondamentali: è stata infatti una delle prime ad attecchire dentro al Centro. Negli anni questa esperienza è cresciuta sempre di più e i ragazzi si sono costituiti in compagnia teatrale – si chiama il Teatro delle Formiche – portando vari lavori non solo sul territorio regionale, ma anche in campo nazionale. Siamo stati in alcuni festival, abbiamo vinto la prima edizione del Festival di Teatro e Handicap Città di Rovigo nel 2007, con uno spettacolo tratto da Filumena Marturano, intitolato Filumè, che ha avuto diverse repliche anche nella nostra zona.
Insomma, tutta questa esperienza ha fatto da traino per andare un po’ oltre, per diventare noi, in qualche modo, “territorio di teatri”. Abbiamo ospitato diverse compagnie teatrali, poiché sin dal primo anno Teatri paralleli si è rivolto a tutto il territorio nazionale. È quindi un festival nazionale che anche quest’anno vede compagnie provenienti da Gorizia, Catania e Roma, un’esperienza che negli anni ha superato la cerchia degli addetti ai lavori. Abbiamo avuto la possibilità di metterci in relazione, in rete con tutta una serie di esperienze di livello nazionale. Sul territorio regionale, poi, è l’unica iniziativa del genere.
Con tutto ciò intendo dire che puntiamo molto innanzitutto sul discorso teatrale, su teatro e disabilità, intendendo il teatro non solo come mezzo, ma come punto d’arrivo di un lavoro artistico. Credo infatti che il teatro sociale sia una nuova frontiera del teatro in senso lato, con i nuovi linguaggi che, a parer mio, passano oramai anche attraverso esperienze legate alla disabilità, alla psichiatria, al disagio in genere.
Il teatro parla dell’uomo, dell’essere umano. Di fronte al cinema prima, alla televisione poi, e oggi a internet, il teatro sembra sempre essere perdente, perché non può arrivare al livello di linguaggio comunicativo di questi altri mezzi. Esso, però mette sempre di fronte a un pubblico l’attore, l’essere umano, il quale non racconta solo una storia, ma racconta anche la propria storia. Per cui se partiamo da questa idea e pensiamo ad attori che partono da difficoltà, e quindi partono da un punto di svantaggio – se così possiamo dire – vediamo che quella verità che è data dall’attore sulla scena in qualche modo raddoppia, triplica. Si moltiplica assumendo una forza comunicativa più importante».
Diversi dei partecipanti al Festival provengono dal campo del disagio mentale. Vi sono altre esperienze?
«Il Festival è naturalmente aperto ad altre disabilità oltre a quella mentale. Abbiamo cercato di includere altre esperienze, ma non ci siamo riusciti. Per esempio esperienze legate al carcere: abbiamo da poco terminato un laboratorio nel Carcere di Campobasso, ma non è stato possibile portarlo fuori da quel contesto. La rassegna è aperta al teatro sociale, ad ogni esperienza di natura sociale».
E dal punto di vista del pubblico?
«Il Festival si è indubbiamente affermato negli anni, con un pubblico molto eterogeneo: famiglie, persone di ogni età e molti giovani, fatto che ci conforta. Noi, poi, fin dall’inizio abbiamo sempre coinvolto le scuole dell’obbligo della località in cui viene realizzato il Festival e quest’anno, oltre a realizzare un elaborato grafico sulla disabilità, che verrà premiato durante il Festival, abbiamo in programma un laboratorio rivolto ai bambini delle scuole elementari, il cui risultato – qualunque esso sia – verrà presentato prima dell’ultimo spettacolo del giorno di chiusura.
Questo è un modo per sensibilizzare e coinvolgere le nuove generazioni perché pensiamo sia fondamentale; e poi è tra le mission di una cooperativa sociale che opera sul territorio ormai da molti anni, fin dal 1994».
Qual è il vostro contributo al Festival?
«Il nostro spettacolo, quello di Terrateatro, vede l’integrazione tra attori professionisti e quattro attori del Teatro delle Formiche, ed è stato coprodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo. Per noi è un risultato notevole e anche un riconoscimento all’impegno degli attori con disabilità. Perché poi a questo non si pensa mai: la loro professionalità e la loro serietà durante il percorso del lavoro della preparazione di uno spettacolo è straordinaria. Credo che ci sia stato un riconoscimento di questo genere e sono molto contento perché innanzitutto è un merito che va al loro grande impegno.
Lo spettacolo di quest’anno, Vivo nel vuoto, è ispirato alla vita di Philippe Petit, il funambolo che effettuò una traversata fra le torri gemelle. Non vi si parla solo di funambolismo, vi si parla di equilibrio, un percorso poetico ancora in fase di completamento».
*Direttore artistico di Teatri paralleli. Festival di teatro delle differenze, in corso di svolgimento, fino al 10 luglio, a Sant’Omero (Teramo). Intervista già apparsa nel portale «Beni culturali per tutti», con il medesimo titolo qui adottato e qui ripresa per gentile concessione, con alcuni lievi riadattamenti.
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