Il turismo accessibile è una materia seria e complessa. Ha un significato profondo di inclusione e uguaglianza e implica che le strutture di accoglienza dei turisti – così come i mezzi di trasporto necessari per il viaggio – siano stati pensati in modo da permettere a chiunque, in qualunque condizione fisica, di beneficiarne. Quella del turismo accessibile è una materia che fa parte dei diritti umani delle persone con disabilità.
«Quando mi trovo in un luogo che non è casa mia, sono molto rigoroso nel pretendere l’accessibilità a norma di legge», spiega Giampiero Griffo, del Consiglio Direttivo della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), componente anche dell’Esecutivo Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International). «Se devo partecipare a un convegno e il palco ha anche un solo gradino mi rifiuto di salire. Potrei farmi prendere in braccio, far sollevare la carrozzina. Ma mi rifiuto. È una questione di principio. Solo così le persone si rendono conto e si sensibilizzano al cambiamento».
A volte però ci sono luoghi che non possono essere resi accessibili. La cima di una montagna, ad esempio, a meno che non ci siano funivie. Anche luoghi molto antichi possono risultare ostici e intervenire per modificarli significa invaderne la conservazione, che ha un significato dal punto di vista storico.
«In questi casi – continua Griffo – la logica si rovescia. Non solo mi faccio aiutare, ma ne sono ben lieto. Mi rendo conto che mi trovo in un luogo non a norma, ma capisco anche che non potrebbe essere altrimenti. L’aiuto esterno diventa l’unico passaggio possibile per rendere il luogo “un pochino più accessibile”».
Quando una persona con disabilità decide di raggiungere una zona impervia di questo tipo lo fa, chiaramente, a suo rischio e pericolo. È un’assunzione di responsabilità personale perché non c’è alcuna tutela di legge né alcuna regola di sicurezza. Potremmo chiamarlo “turismo estremo”, o d’avventura. Griffo ogni tanto si concede a questo tipo di vacanza. In vari Paesi in cerca di sviluppo, infatti, sta nascendo un’attenzione particolare per i viaggiatori con disabilità.
«All’inizio del 2011 – ci racconta – il congresso del Consiglio Mondiale di DPI si è tenuto a Lima che è la capitale del Perù, visto che peruviano è il presidente mondiale dell’organizzazione [Wilfredo Guzman Jara, N.d.R.]. Quando ho prenotato il biglietto aereo, ho deciso di prendermi anche alcuni giorni in più per visitare un luogo tanto lontano e dove chissà mai se sarei più ritornato… Il viaggio per raggiungere Lima è complicato. Ho cambiato volo ad Amsterdam e poi per undici ore non sono più sceso dal velivolo».
Che impressione hai avuto del Perù?
«È una repubblica molto grande e muoversi al suo interno non è facile, anche perché è montuosa e costruita ad altezze elevate, e poi per quanto ci sia stato uno sviluppo economico recente, rimangono molte sacche di povertà, soprattutto nelle zone rurali. Quasi metà della popolazione è povera. Le grandi città, invece, sono moderne e raggiungono standard vicini ai nostri. È un Paese dinamico e giovane. Ho visto moltissimi giovani e i trend demografici confermano questa mia impressione. Il retaggio della conquista e successivamente quello coloniale sono stati digeriti e oggi la Spagna è accettata come un Paese amico».
L’accessibilità dei trasporti è buona?
«Non è così semplice. Esistono sistemi di trasporto accessibili grazie soprattutto al lavoro delle associazioni, ma il servizio pubblico non lo è. Io mi sono spostato con il taxi, ma questo perché sono in grado di muovermi dalla sedia al sedile dell’auto. Chi non riesce a gestire questa manovra dovrà rivolgersi alle associazioni. L’agenzia turistica cui mi sono appoggiato ha un pulmino accessibile e attrezzato, che però ha un costo».
E l’accessibilità degli alberghi?
«Ho chiesto alla stessa agenzia di segnalarmi alcuni alberghi accessibili. In realtà sarebbe più corretto dire che sono “meno inaccessibili degli altri”, ma lo stesso è facile che ci siano qua e là dei gradini e anche le camere possono avere gli ingressi al bagno troppo stretti e i bagni non predisposti».
I siti turistici?
«Ce ne sono di accessibili, ma molte realtà presentano gradini nel primo ingresso o all’interno. Di recente nei siti più visitati hanno installato delle rampe. In generale devo dire che l’accessibilità non è così sviluppata e complessivamente sarebbe necessario avere un accompagnatore».
Quali sono i ricordi più gradevoli della tua vacanza?
«Senz’altro il cibo, che è ottimo. Moltissimo il pesce, molta anche la carne, di tutti i tipi. Soprattutto nelle Ande cucinano il porcellino d’india, il “cuy”, che è un cibo tipico tradizionale. Hanno però anche molte verdure, pasta, patate e riso. La gente è ospitale, come in tutto il Sudamerica. Ho visitato le zone più turistiche, credo che sia ancora più ospitale in campagna dove c’è maggiore povertà».
Si sente la presenza della cultura tradizionale?
«Gli elementi tradizionali sono stati un po’ stravolti dal turismo, ma rimangono un sacco di posti e luoghi interessanti. Nelle città trovi la popolazione vestita come noi, ma ogni tanto vedi anche delle donne con abiti tradizionale, colorati e con dei simboli che cambiano a seconda delle regioni di provenienza».
Dove ha avuto luogo il tuo turismo “d’avventura”?
«A Machu Picchu».
Sei stato a Machu Picchu? E come può un posto del genere essere accessibile?
«Infatti, non lo è. Ma ho deciso di andarci lo stesso e naturalmente l’ho fatto a mio rischio e pericolo. È stato bellissimo e molto emozionante».
Machu Picchu è uno dei più famosi siti archeologici al mondo. È costituito dai resti di una città della civiltà Inca, costruita a scale sulla cima di un picco montuoso alto circa 2.500 metri. Il cucuzzolo è stato tagliato e le pietre sono state utilizzate per edificare. Altre pietre più fini sono state caricate e trasportate fino a lì, così come la terra di coltivazione delle terrazze. Esistono anche dei percorsi sotterranei pensati per un’eventuale evacuazione.
Secondo alcuni studiosi si tratterebbe di una città costruita prima dell’arrivo degli Spagnoli, mentre per altri sarebbe stata realizzata proprio per sfuggire alla loro invasione. Si trattava di un luogo abitato da persone nobili e colte, con molte aree adibite al culto, all’astrologia, ma anche alla vita quotidiana e alle faccende amministrative. A un certo punto, e non se ne sa il motivo, venne abbandonato, per venire riscoperto, ormai in rovina, solo all’inizio del secolo scorso.
Il turismo massiccio sta ora rovinando quello che resta della costruzione e pare che le autorità chiuderanno prossimamente il sito che a quel punto si potrà visitare solo sorvolandolo.
Per visitarlo occorre prenotare e prepararsi a un viaggio che comprende alcune ore di auto e di treno. Per chi ha voglia, e non è in carrozzina, c’è anche la cosiddetta “Strada degli Incas”, da percorrere in circa quattro o cinque giorni, ma, quella sì, è totalmente inaccessibile.
Come hai fatto a organizzare il tuo viaggio a Machu Picchu?
«Mi sono rivolto a un’agenzia. La consiglio, perché ha informazioni utili per le persone con ridotta mobilità e mette a disposizione degli assistenti pronti ad aiutare il cliente con gli spostamenti fisici. Da loro ho prenotato il posto in un treno, anche questo a numero chiuso e senza servizi specifici, se non quelli del personale ordinario. Il treno non è accessibile. Mi sono fatto sollevare di peso. Non esiste un posto dedicato per la carrozzina: ci sono degli spazi liberi, ma mancano i ganci».
Com’è iniziato il viaggio?
«Di primissima mattina. Con l’auto abbiamo raggiunto uno dei primi treni che partivano quel giorno e in quaranta minuti siamo arrivati ad Aguas Calientes, la città che sta ai piedi del sito archeologico, prettamente turistica e in cui sconsiglio di dormire perché dubito ci siano ambienti accessibili. Da lì in qualche modo ho raggiunto il pullman e anche questa è stata un’avventura perché non tutte le strade del paesino sono accessibili. L’autobus è privo di pedana. Insomma, tutto quello che questo viaggio offre è la disponibilità delle persone ad aiutarti. Ma di ausili neanche l’ombra. Con il veicolo siamo saliti per una stradina sterrata fino alla cima del monte».
Una volta arrivato, il più era fatto?
«Per niente. Non era ancora cominciata la vera avventura, direi. Per arrivare a Machu Picchu a quel punto bisogna salire delle scale e l’unica possibilità è farsi caricare a braccia. Poi ci sono terrapieni, si sale e si scende e le varie parti della città sono collegate tramite scale».
Chi ti ha aiutato?
«C’erano il mio assistente personale, la guida del sito archeologico e due persone fornite dall’agenzia».
Avranno fatto una gran fatica!
«Immagino di sì. C’è da dire però che sulle Ande, per l’altura così elevata, tra i 2.000 e i 3.000 metri, è diffuso l’uso di masticare foglie di coca. È una pratica legale e la sua funzione è quella di alleviare la fatica. Naturalmente la sedia a rotelle dev’essere manuale. Per chi ne ha una elettrica si può chiedere il trasferimento in una manuale fornita dall’agenzia».
È stato pericoloso?
«Certamente. Attorno al sito c’è uno strapiombo! E i corrimano in legno traballante, dove ci sono, sono ridicoli! Ma io, ripeto, avevo deciso fin dall’inizio di fidarmi e affidarmi. È questo il senso dell’avventura. Se una persona non se la sente, basta che cerchi altro tipo di esperienze».
Sei stato contento di aver corso questo rischio?
«Contentissimo. È stata un’emozione assoluta. Davvero, non avrei mai pensato che ci sarei riuscito. Ho assaporato il gusto vero dell’impresa, come chi attraversa un oceano o scala una montagna. Il posto, poi, è emozionante di per sé, ti trovi in mezzo alle montagne, vedi il fiume sotto e sei immerso nella Storia. La natura è imponente ed è molto bello imparare il rapporto particolare che gli Incas avevano con essa, interessati a leggerla e conoscerla e a integrare queste conoscenze nella vita quotidiana. Erano una civiltà evoluta e misteriosa. La loro capitale – Cusco (o Cuzco) – ha le mura a forma di pantera. I nobili e i sacerdoti venivano mummificati, seduti con le gambe strette al corpo. Leggevano gli astri e avevano calendari. Ereditarono i rituali dei sacrifici umani che poi trasformarono in offerte di animali. Avevano una propria medicina ed erano maestri nelle costruzioni antisismiche».
Per chi volesse contattare l’agenzia a cui si è rivolto Griffo: http://www.mosoqhuayratravel.com/; per accedere direttamente alla pagina del sito dedicata alle persone con disabilità clicka qui.
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